CORNER, Giacomo
Nacque a Venezia nel novembre del 1483 dal patrizio Giorgio di Marco e da Elisabetta Morosini di Francesco. Il prestigio e la potenza economica del genitore (onorato del titolo di "padre della patria" e di cavaliere di S. Marco, per aver persuaso la sorella Caterina a rinunciare al regno di Cipro in favore della Repubblica, nei primi anni del XVI sec. era comunemente considerato l'uomo più ricco di Venezia) gli schiusero le porte delle massime cariche politiche, di cospicue parentele, di importanti amicizie, alle quali si sarebbe aggiunto l'onore del cardinalato ottenuto dai fratelli Marco e Francesco. La famiglia era dunque all'apice della stima e della considerazione quando il C., il 25 marzo 1509, sposava Marina Morosini di Orsatto, "herede... - annota il Sanuto - di dotta... da tutti desiderata", ma la crisi seguita alla battaglia di Agnadello, nella quale il padre aveva ricoperto l'incarico di provveditore in campo, contribuì probabilmente a ritardare il suo ingresso nella vita pubblica, che avvenne solo dopo numerosi prestiti da lui effettuati per soccorrere la Repubblica nelle emergenze della guerra. Mancata l'elezione a podestà di Chioggia, il 24 ag. 1515, perché, nonostante "le spexe fatte per caxa sua in angarie, et armar galie", il Maggior Consiglio "voleva el Corner desse più danari", qualche giorno più tardi divenne senatore con l'esborso di 1.300 ducati, e il 7 ottobre fu nominato luogotenente della Patria del Friuli.
L'incarico non appariva dei più tranquilli, per il perdurare dello stato di guerra con gli Imperiali e delle tensioni che serpeggiavano tra la riottosa nobiltà locale; il C. cercò invano di rifiutare l'elezione, poi di rinviarla: finalmente partì, alla volta di Udine, il 23 sett. 1516. Le angustie economiche, causate dalla necessità di corrispondere il soldo alle truppe, costituirono per lui la maggior fonte di afflizione e divennero ricorrente motivo di lamentela in tutti i suoi dispacci. In effetti la regione, dopo tanti anni di guerra, non era assolutamente in grado di provvedere, con le sue sole forze, al mantenimento dell'esercito; di qui i frequenti ricorsi del C. alla Signoria, per avere aiuti, nonostante si rendesse ben conto di quanto inopportune e sgradite giungessero, a Venezia, le sue richieste. Avesse potuto, in qualsiasi modo, farne a meno, "lo haveria fatto tanto volentiera - così scriveva il 10 febbr. 1517 -, poiché altro non penso che sparagnare el danaro de Vostra Excelientia et darle mancho molestia mi sia posibile. Ma... la camera è tanto impoverita che non si puol spetar alcun socorso da quella, et se pure ghe qualche debitor, è necessario expectare al tempo del racolto, per esser tuti consumpti da diverse angarie de taxe". Ad aggravare questi mali contribuiva, in larga misura, l'ostinato rifiuto dei feudatari a corrispondere le gravezze imposte, e contro le loro immunità egli nulla poteva: "Però, si... havesse auctorità sopra di loro, li faria dar fuora in tanto urgente bisogno"; ne era talmente convinto, che non esitò a chiedere al Senato poteri straordinari, "poiché con le bone non si pol aver nulla". Alternando le blandizie alle minacce, riuscì comunque a sanare, almeno in parte, la situazione, e al ritorno in patria, il 9 marzo 1518, poteva presentare al principe un bilancio sostanzialmente positivo del suo rettorato, come testimonia il Sanuto: "venuto con bona fama; ha fato bon rezimento".
Negli anni immediatamente successivi, la sua figura sembra nuovamente defilarsi dal mondo della politica: nel '19 acquista un mulino a Rosà, l'anno dopo è provveditore di Comun, nel '21 gli muore il figlio Giorgio (un altro, cui verrà imposto lo stesso nome, gli nascerà il 13 apr. 1523, e toccherà a questo il compito di assicurare la continuità della famiglia: il primogenito Andrea aveva intrapreso la carriera ecclesiastica, che lo porterà, nel 1544, al cardinalato); ma dal '23 al '26 ricopre ininterrottamente, nel secondo semestre dell'anno, la carica di savio di Terraferma, e in questa veste, tra il dicembre del '24 e l'ottobre del '25, viene deputato a trattare con l'ambasciatore cesareo, Caracciolo, le pendenze relative ai beni dei fuorusciti, confiscati dalla Repubblica. Il felice esito della trattativa (ed un prestito di 1.500 ducati, opportunamente disposto a favore del pubblico erario) gli valse, tra l'ottobre del '26 e il settembre dell'anno seguente, l'elezione al Consiglio dei dieci, carica alla quale fu confermato nell'ottobre del '28 e del '30. Designato poi capitano a Verona, il 2 giugno 1528, rifiutò a motivo della malferma salute; accettò invece, qualche mese più tardi, la nomina a provveditore sopra le Artiglierie, e l'8 genn. 1531 diventava savio del Consiglio. Cade in questo periodo l'accusa, dalla quale non riuscì completamente a discolparsi, di aver abusato della propria autorità, quand'era capo del Consiglio dei dieci, per liberare un delinquente, e questo gli valse, il 27 sett. '31, il bando per due anni da quella magistratura ed una ammenda di 1.500 ducati; nell'agosto del '32, poi, una nuova disgrazia si abbatté sulla sua casa, stavolta sotto forma di un incendio che distrusse completamente il sontuoso palazzo sul Canal Grande, a S. Maurizio.
L'opera di ricostruzione non fu indolore neppure per il solido patrimonio del C., come testimoniano una supplica da lui presentata al Consiglio dei dieci, per riavere almeno una parte della dote costituita dalla famiglia per la zia Caterina, in occasione del matrimonio con il re di Cipro, e la divisione della facoltà paterna alla quale pervenne, assieme ai fratelli Girolamo, Giovanni e Francesco, il 6 febbr. 1539.
Intanto, dopo la condanna subita dal Consiglio dei dieci, nel luglio 1533 gli era stata rifiutata l'elezione a consigliere; così, per recuperare il prestigio perduto, dovette accettare la nomina a capitano di Padova (1535-1536).
Il C., come già aveva dimostrato a Udine, seppe dar prova di intelligenza e abilità: riuscì anzitutto a far fronte alla carestia, che minacciava gli strati più deboli della popolazione, costringendo i proprietari terrieri a rifornire di grano il mercato cittadino; inoltre ottemperò all'ordine di ricostruire parte della cinta muraria riorganizzando, nel contempo, un'opportuna canalizzazione delle acque e promuovendo un piano regolatore che contemplava ampliamenti di strade, con portici ed erezione di palazzi.
Al termine del mandato ottenne quindi la nomina a procuratore di S. Marco, il 14 giugno 1537, sia pure mediante l'esborso di 16.000 ducati, secondo la prassi vigente in tempo di guerra. La Repubblica, infatti, era stata nuovamente aggredita dal Turco e, nella circostanza, il C. volle, ancora una volta, dimostrare la propria disponibilità di uomo e di cittadino offrendosi, nel '39, di inviare a Costantinopoli il riscatto di alcuni sopracomiti di galera.
Il C. morì a Venezia nel 1542, e fu sepolto nella tomba di famiglia, ai Ss. Apostoli.
Fonti e Bibl.:Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., III, pp. 3, 34, 61; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 165, c. 91v; per l'elezione a procuratore, Ibid., Segretario alle voci. Elezioni del MaggiorConsiglio, reg. I, c. 79v; sull'attività di luogotenente della Patria del Friuli e poi di capitano a Padova, Ibid., Lettere di rettori ai capi delConsiglio dei dieci, b. 169, nn. 156-158, 259-260; b. 81, nn. 179-182, 187-189, 193-194; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti..., I, cc. 193v-194r; per la divis. della fraterna, Ibid., Mss. P. D. c 2397/7; M. Sanuto, I Diarii, Venezia 1882-1903, VIII, XX-LVIII, ad Indicem;F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare..., Venetia 1663, pp. 148-149; F. Policini, I fasti gloriosi dell'Ecc.ma casa Cornara..., Padova 1698, p. 16; A. Berruti, Patriziato veneto. I Cornaro, Torino 1953, p. 78.