CARRARA, Giacomo da
Primogenito di Marsilio, figlio di Giacomo, nacque a Padova intorno al 1264; apparteneva a una potente famiglia di parte guelfa, che per le ingenti proprietà e le forti aderenze arrivò a ricoprire un ruolo di primissimo piano nel quadro dell'agitata vita politica padovana agli inizi del XIV secolo.
La zona di territorio lungo la quale si trovava la maggior parte dei possedimenti carraresi era situata intorno alla villa di Carrara, che aveva al centro un importante castrum di cui troviamo menzione nei documenti fin dagli inizi dell'XI secolo. Il "castrum Carrarie", dal quale continuarono, per secoli ad essere denominati i signori che lo avevano eretto, rappresentò il centro amministrativo, economico e militare di tutti gli altri beni fondiari della famiglia, i quali col tempo si accrebbero, cosicché oltre alle ville di Arquà, Montegrotto, Pernumia, Bertipaglia, Bovolenta, Gorgo, che costituirono, per così dire, il nucleo primitivo, essi si estesero alle ville di Agna, Anguillara, Bagnoli, Conselve, Verzegnano, Melara di Sacco, Solesino, Cartura, Montagnana e molte altre ancora. Forti dunque di un solidissimo patrimonio fondiario, che li faceva annoverare tra i più ricchi domini del contado padovano, i Carrara potenziarono vieppiù la loro posizione sociale nella prima metà del secolo XII, quando, inurbatisi, entrarono a far parte della curia vassalorum, divennero cioè vassalli del vescovo di Padova. Tale posizione, che la famiglia riuscì a mantenere anche nel corso del XIII secolo, si rafforzò in maniera decisiva agli inizi del successivo, quando a Padova, come in altre città dell'Italia centrosettentrionale, il ceto feudale riuscì a conquistare il controllo del governo.
La vicenda politica del C. si sviluppa proprio in quest'ultimo periodo della vita comunale di Padova, caratterizzato da un canto da forti contrasti interni tra l'antico ceto municipale e i nobili, dall'altro dalle lotte che la città si trovò a sostenere contro l'espansione delle vicine signorie. In particolare contro Cangrande Della Scala, il quale, dopo aver conquistato Vicenza ed esserne divenuto vicario imperiale, minacciò la stessa Padova a partire dal 1312.
Le prime notizie sul C. si riferiscono alla guerra di Padova contro lo Scaligero. Nel settembre 1314 il C. - che aveva acquistato in città una posizione politica di rilievo - tentò di recuperare Vicenza. Sconfitto, venne fatto prigioniero insieme con il nipote Marsilio, con Albertino Mussato e altri cavalieri. Cangrande, comunque, accettò di aprire trattative con lui. Il C. fece ritorno a Padova e dopo aver sostenuto gravi lotte in Consiglio contro la fazione che si batteva per la prosecuzione della guerra, fazione capeggiata da Maccaruffo Maccaruffi, ottenne voto favorevole alla propria linea politica: il 14 ott., arbitri i Veneziani, fu stipulata la pace con lo Scaligero sulla base dello statusquo.
Ancora più decisivo fu il suo intervento nel febbraio del 1318, quando l'esercito di Cangrande, conquistate Monselice, Este, Montagnana e altre fortezze, pose campo a Ponte San Nicolò, a due miglia da Padova. Si intromise la Repubblica veneta per trovare un accordo tra i contendenti e il C., con altri fautori della pace, fu deputato a definirne le condizioni. E nuovamente, a conclusione di iterati scontri con il partito avverso, egli riuscì a farle approvare. La pace, conclusa il 13 febbraio e ratificata poi a Venezia il 14 marzo, previde tra l'altro il richiamo in patria dei fuorusciti, reintegrati nei loro beni ed ammessi a tutte le cariche pubbliche: clausola che maggiormente guadagnò al C. il favore della pars ghibellina, cui appartenevano i revocati in città.
Ma con il rientro degli extrinseci divampò subito più accesa la lotta tra le fazioni rivali. La vendetta dei riammessi colpì molte famiglie guelfe, che abbandonarono la città (come i Maccaruffi e i Mussato); il pisano Obizzo degli Obizzi, che nell'urgenza del pericolo era stato nominato capitano del Popolo, rinunciò alla carica; e intanto non subiva battute d'arresto l'ostinata offensiva di Cangrande. Fu proprio davanti alla doppia necessità di fronteggiare energicamente la situazione interna e la pressione scaligera che il sistema di governo entrò in crisi. E nacque il governo signorile, chiamato, almeno inizialmente, a svolgere una funzione di pubblica difesa e a provvedere all'integrità politica e territoriale del Comune minacciato. Tale funzione, che sarà espressa dal titolo di capitaneus, nel quale la caratteristica dominante è quella del potere militare, venne affidata al rappresentante di una famiglia del ceto nobile, ceto che grazie ai suoi feudi, ai suoi homines, ai suoi muniti castelli, poteva vantare una efficace forza militare.
La scelta cadde sul C. che aveva già dato prova di capacità politiche e diplomatiche, era guelfa per tradizione familiare e nel contempo era gradito ai ghibellini; era per di più sostenuto da Venezia, avendo sposato Elisabetta, figlia del doge Pietro Gradenigo e ottenuto la cittadinanza veneziana, né lo stesso Cangrande gli era contrario (anzi, secondo il Cortusi, p. 27, l'assenso dato dal partito ghibellino al C. sarebbe stato in gran parte dovuto proprio all'intervento dello Scaligero). Così il 25 luglio 1318, dopo un discorso del giudice e preumanista Rolando da Piazzola, il C. venne eletto dal popolo capitano generale a vita e signore di Padova, con il conferimento dei pieni poteri.
Ma tale elezione non portò che a una prima e provvisoria affermazione della signoria carrarese. La debolezza militare e politica di Padova di fronte agli attacchi esterni impose alla città la ricerca di sicure alleanze e protezioni. Appena un anno dopo, il 4 nov. 1319, Padova, dietro suggerimento dello stesso C., accettò la signoria di Enrico di Gorizia e in seguito, il 5 sett. 1321, quella di Enrico di Carinzia, quali rappresentanti di Federico d'Asburgo, re dei Romani. Furono signorie, queste, più nominali che di fatto, durante le quali il C. prima, e suo nipote Marsilio poi, continuarono a conservare una posizione di primo piano in città e ad esercitare sulla vita politica padovana un'influenza spesso decisiva. Ma proprio la loro presenza, in quanto testimonia il bisogno di far ricorso a una tutela forestiera, denuncia l'intima debolezza da cui è afflitta fin dal suo sorgere la signoria carrarese e che le impedirà anche in seguito di sfuggire alla condizione, poco sicura, di tollerata o protetta da parte di potenze esterne.
Il C., comunque, assolse "la funzione di assicurare l'indipendenza del Comune o di evitarne il completo assoggettamento" (Ercole, p. 61).Morì il 22 0 23 nov. 1324. Privo di discendenti maschi (l'unico, di nome Milone, nato nel 1318, morì poco dopo), istituì erede il nipote Marsilio, affidandogli quattro figlie legittime: Taddea, che il 1º sett. 1328sposerà Mastino Della Scala, nipote di Cangrande, Maria, Donella e Maddalena, e due figli naturali, Perenzano e Guglielmo.
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