CARRARA, Giacomo da
Secondo di questo nome, nacque a Padova da Nicolò agli inizi del sec. XIV. In seguito alla rivolta del padre, che si alleò con Cangrande Della Scala e i fuorusciti ai danni di Padova, nel luglio del 1327 fu fatto prigioniero e inviato in Germania insieme al fratello Giacomino. Liberato dopo due anni grazie al denaro sborsato da Nicolò, visse con lui a Chioggia e a Venezia. Recatosi infine a Mantova presso i Gonzaga, vi rimase sino al luglio del 1340, quando il cugino Ubertino gli concesse il ritorno in patria.
Il conferimento della signoria a Marsilietto Papafava da Carrara, avvenuto il 27 marzo 1345 per volontà di Ubertino, in ciò consigliato dal suo vicario Pietro da Campagnola, privò il C. del diritto alla successione, che gli sarebbe spettato per il legame di parentela. Diritto che egli rivendicò quarantuno giorni dopo, uccidendo Marsilietto nella notte del 6 maggio 1345. La mattina seguente il C., che si era già di fatto impadronito del governo avendo ottenuto il giuramento di fedeltà dagli ufficiali del morto e preso possesso, per mezzo di nuovi capitani, dei castelli e delle fortezze del territorio, convocò il Consiglio e ricevette la formale elezione a signore. Al fine di guadagnarsi il favore dell'opinione pubblica provvide subito concedendo un'amnistia generale, richiamando in città molti fuorusciti e imparentandosi con la potente famiglia padovana dei Buzzacarini attraverso il matrimonio del proprio figlio Francesco con Fina, figlia di Pataro. L'opposizione, già indebolita dopo l'arresto dei parenti e dei più validi sostenitori di Marsilietto, venne definitivamente stroncata con la scoperta e la repressione di una congiura capeggiata dai fratelli Enrico, Francesco e Nicolò Maltraversi, conti di Lozzo: i primi due, insieme ai complici, furono decapitati (dicembre del 1345); Nicolò, riuscito a fuggire, ebbe bando perpetuo e la confisca dei beni (7 genn. 1346).
Appena pervenuto al governo, il C. si affrettò a stringere relazioni amichevoli con Mastino Della Scala, con il marchese Obizzo d'Este e in particolar modo a consolidare i legami con la Repubblica veneta, nei confronti della quale, senza impegnarsi, a differenza dei suoi predecessori, nella richiesta di un rinnovo del trattato del 14 luglio 1337, perseguì una saggia politica di massimo accordo, tanto da essere solennemente accolto nel gennaio del 1346, con il figlio Francesco e i futuri figli ed eredi, tra i cittadini veneziani. Il C. infatti rispettò sempre i privilegi concessi al commercio e alle proprietà di Venezia in territorio padovano, - continuò a chiamare in qualità di podestà a Padova nobili veneziani e partecipò, ogni qual volta gli venne richiesto, alle imprese belliche della Serenissima, fornendo efficace sussidio di truppe per domare la rivolta di Zara (maggio del 1346), quella di Capodistria (settembre del 1348) e nella guerra contro la Repubblica di Genova (novembre del 1350).
Nell'agosto del 1346 il C. si intromise nelle ostilità scoppiate tra Enghelmario di Villandres, vicario in Feltre e Belluno di Ludovico il Bavaro, e Sicco di Caldonazzo, che rivendicava lo stesso titolo, riuscendo a comporre le discordie e ad ottenere da quest'ultimo il possesso del Covolo, importante castello nella valle di Tesino. Nelle contese tra Carlo IV di Boemia e il rivale Ludovico il Bavaro, aderì al primo, dietro istanza del pontefice Clemente VI, e nel febbraio del 1347 gli inviò consistenti rinforzi a Trento. Recatosi alla fine di luglio a Feltre, che si era data con Belluno all'imperatore Carlo, ebbe con lui un abboccamento, il risultato del quale fu che Carlo, prima di partire per la Boemia, affidò alla sua protezione quelle due città e, giunto in Moravia, gli concesse da Zaima due amplissimi privilegi datati 4 e 9 giugno 1348 (Papafava, pp. 89-94, 151-153): con il primo diploma l'imperatore revocò la sentenza emanata contro Padova da Enrico VII di Lussemburgo e riconfermò le prerogative concesse dagli altri irnperatori alla famiglia da Carrara; con il secondo nominò il C. vicario imperiale in Padova. In quanto difensore dell'Impero, al C. si rivolsero l'anno seguente per aiuti i canonici del capitolo di Trento, che, dopo la morte del vescovo Nicolò Alreim di Bruna, si opponevano alle mire espansionistiche del marchese di Brandeburgo, figlio di Ludovico il Bavaro: il suo intervento non valse ad impedire la caduta della città nelle mani del marchese, ma gli fruttò nel gennaio del 1349 la conquista del castello di Pergine, seguito subito dopo da quelli di Selva, Roccabruna e Levico, per il tradimento del capitano Bonaventura Gardelli: fu questo il principio della dominazione carrarese nella Valsugana e anche l'origine delle ostilità con il marchese di Brandeburgo, che dovevano venir più tardi risolte con le armi. Nell'aprile il C. ebbe poi modo di adempiere all'incarico affidatogli da Carlo IV, inviando truppe che riuscirono a sedare una rivolta scoppiata a Belluno.
Agli inizi del 1349 il pontefice Clemente VI, nell'intento di stabilire una tregua generale che agevolasse il passaggio dei pellegrini in occasione del prossimo giubileo, inviò in Italia quale suo legato il cardinale Guido di Boulogne, conte di Monfort. Questi giunse a Padova nel marzo ed ebbe dal C. fastosa accoglienza; vi ritornò in altre due occasioni: nel febbraio del 1350, per compiere il 15 di quel mese la solenne traslazione del corpo di s. Antonio nella cappella attuale, e il 10 maggio dello stesso anno, per tenervi un concilio, che discusse, ma senza raggiungere risultati, i mezzi più adatti per far cessare le discordie e ristabilire la pace nella penisola.
"Modice litterarum doctus" (Vergerio, p. 450), il C. amò e favorì la cultura e le lettere, ottenendo da Clemente VI (15 giugno 1346) la conferma di tutti i privilegi che i precedenti pontefici avevano concesso allo Studio padovano e riuscendo ad avere presso di sé il Petrarca, che, aderendo ai suoi iterati inviti, si stabilì a Padova nel marzo del 1349 e ricevette il mese seguente (18 aprile) l'investitura del canonicato di S. Giacomo.Il C. venne pugnalato il 19 dic. 1350 da Guglielmo da Carrara, figlio illegittimo di Giacomo (I), che dai presenti fu immediatamente trucidato: il movente dell'omicidio va ricercato, secondo la testimonianza dei Gatari (p. 28), nel divieto di uscire dalla città, che gli era stato dal C. imposto per la violenza del suo comportamento. Il corpo del defunto signore fu sepolto con solenni esequie nella chiesa di S. Agostino di Padova; quando questa intorno al 1820 venne demolita, il sepolcro, con l'iscrizione in 16 versi elegiaci latini dettata dal Petrarca, fu trasportato nella chiesa degli Eremitani.
La prima moglie del C. fu Lieta, figlia di Marzio Forzatè conte di Montemerlo, che egli sposò nel 1318; dal matrimonio nacquero Francesco, detto il Vecchio, Carrarese e Margherita, mogli rispettivamente di Federico e Ottone conti di Stumbergh, e Gigliola, che nel 1350 sposò Enrico di Carinzia e morì poco dopo. Nell'agosto del 1341 il C., per volontà di Ubertino, passò a seconde nozze con Costanza da Polenta e gli nacquero tre figli e due figlie: Marsilio; Nicolò (che nel 1373 prese parte alla congiura contro Francesco il Vecchio e in seguito al fallimento della stessa fu messo in prigione ove rimase fino alla morte nel 1394); Ubertino Carlo, che fu canonico della cattedrale (si deve alle istanze di costui se papa Urbano V accordò il 15 apr. 1363 all'università di Padova l'insegnamento della teologia e il privilegio di conferirne il dottorato); Lieta, che sposò nel 1363 Luca Savelli di Roma e, rimasta vedova, si rimaritò con Ottone conte di Ottenburg; Giovanna, moglie di Ulrico conte di Monfort. Ebbe anche un figlio naturale, Bonifacio, abate del monastero di Praglia.
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