GIACOMO da Pistoia (Iacobus de Pistorio)
Molto scarni sono i dati relativi alla vita di G., che operò presumibilmente tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo. Il nome del padre, Ugone, si ricava da un elenco di "scholares illustres" presenti nello Studio bolognese nel 1290: "D. Jacobus quondam Hugonis de Pistorio" (Sarti - Fattorini, p. 329; nello stesso documento è ricordato anche un "D. Johannes quondam Hugonis de Pistorio", da identificare cautamente con un fratello di G., anch'egli "scholaris illustris" nello stesso anno a Bologna). G. era quindi originario di Pistoia, ma svolse presumibilmente la sua attività di insegnamento presso la facoltà di arti e medicina a Bologna. Questa circostanza sembrerebbe confermata anche dalla qualifica di magister che si trova nella dedica dell'unica opera a lui attribuita, la Quaestio disputata de felicitate: secondo la consuetudine, infatti, venivano designati con il titolo di magister i sostenitori delle dispute che si svolgevano nell'ateneo di Bologna. È inoltre più calzante l'ipotesi che G. fosse magister del settore medico piuttosto che di quello delle arti, visto che, come è stato rilevato (Corti, 1983, p. 7), il codice vaticano in cui è conservata la Quaestio reca tre testi legati all'elaborazione dell'averroismo radicale e un'opera del magister Antonio da Parma, medico e filosofo naturale. A ciò si aggiunga che il terzo manoscritto della Quaestio individuato da Kristeller presso la Biblioteca comunale di Cortona è anch'esso un codice miscellaneo di testi di interesse medico riconducibili all'ambiente bolognese, probabilmente trascritti da uno studente di medicina (cfr. Kristeller, 1993, p. 535); parallelamente a quanto riscontrato per il codice vaticano, anche quest'ultimo manoscritto contiene un'opera di Angelo d'Arezzo, noto per le sue posizioni averroistiche.
La Quaestio, unico segno tangibile degli interessi filosofici e culturali di G., è dedicata al tema della natura della felicità; le caratteristiche dell'esposizione la assimilano al De summo bono di Boezio di Dacia, fermo restando che nella elaborazione filosofica del tema G. tiene presente principalmente l'Etica a Nicomaco di Aristotele. Nella Quaestio sono presenti riferimenti anche ad altre opere aristoteliche: il De generatione et corruptione, il De anima, i Metaphysicorum libri, i Physicorum libri, il De coelo, il De historia animalium e i Problemata; sono presenti riferimenti anche al boeziano De consolatione philosophiae. La Quaestio può essere suddivisa in tre sezioni: nella prima G., dopo aver preliminarmente elencato le sei condiciones et proprietates a essa essenziali, passa a definire la propria opinione sulla natura della felicità, che G. individua nell'attività contemplativa propria dell'intelletto. Nella seconda parte vengono analizzate le modalità attraverso le quali è dato procedere nel raggiungimento dell'obiettivo e gli ostacoli contro cui guardarsi. Infine, nella terza sezione, G. passa in rassegna le obiezioni che ritiene possano essere mosse alla sua soluzione. Nel complesso la tesi esposta nella Quaestio si distacca dalla lezione di s. Tommaso d'Aquino in alcuni punti nodali: la contemplazione delle sostanze separate, che, a differenza di G., viene esclusa dall'aquinate nella definizione della natura della felicità, e, tratto assai importante, il riferimento alla imperfezione dello stato di felicità conseguibile in vita rispetto alla pienezza ultraterrena, distinzione che, per contro, non occorre affatto in Giacomo. Questi tratti, assommati al chiaro riferimento alla cosiddetta dottrina della doppia verità, inducono ragionevolmente a collocare G. fra gli esponenti dell'aristotelismo radicale.
La data di composizione della Quaestio può essere collocata fra il 1290 e il 1300. Per la prima data come terminus post quem si può invocare il dato che G. nell'elenco del 1290 sopra ricordato sia registrato ancora come dominus e non come magister (cfr. anche Corti, 1982, p. 26). Il termine ante quem, oltre a fornire uno degli esilissimi appigli per sbozzare l'immagine di questo dotto, si carica anche di una connotazione culturale di estremo interesse: esso infatti viene a coincidere con l'anno di morte di Guido Cavalcanti cui la Quaestio è dedicata (cfr. la dedica secondo la versione più dettagliata recata dal ms. 110 della Biblioteca comunale di Cortona, c. 194r: "Viro bene nato et mihi dilecto et pre aliis amico carissimo pre[clar]o Guidoni domini Cavalcantis de Cavalcantibus de Florentia Magister Jacobus de Pistorio ille quem respicit Euripus salutem et agere sicut debes", citato in Kristeller, 1993, p. 536). Purtroppo anche questo indizio non può essere ulteriormente contestualizzato, poiché, come giustamente rileva Kristeller (1955, p. 439), la dedica non autorizza a credere che fra G. e Guido Cavalcanti sia lecito parlare di un rapporto di discepolanza del secondo nei confronti del primo. Comunque, va rilevato che su un piano generale la dedica concorre a dare una prima robusta corroborazione storica dell'esistenza di un rapporto diretto e concreto fra i poeti toscani del dolce stil novo e i filosofi della facoltà delle arti dell'Università di Bologna. Invece, la questione richiede alcune puntualizzazioni sul piano del rapporto G. Cavalcanti. Se è fuor di dubbio che la dedica dimostra, da parte del poeta fiorentino, uno spiccato interesse per l'elaborazione dell'ideale etico secondo la formulazione dell'aristotelismo dei radicali, cui in buona sostanza, come si è visto, è lecito ascrivere la Quaestio, è vero anche che la posizione di Cavalcanti rispetto al tema non sembra tradursi in una consonanza di posizioni. È stato peraltro notato che nelle Rime del Cavalcanti, e in particolar modo nella canzone più articolata dedicata al tema cardine della "natura dell'amore", ovvero "Donna me prega, per ch'eo voglio dire", la presenza della Quaestio risulta trascurabile, e comunque tale da non lasciare tracce evidenti nel dettato poetico. Il che induce a formulare anche qualche doverosa riserva nei confronti della pur suggestiva ipotesi che la stesura della canzone sia stata sollecitata dalla Quaestio, risultando così ugualmente valida invece la proposta avanzata da Pappalardo secondo cui sia stata invece la canzone di Guido a spingere G. a una risposta.
Non conosciamo la data di morte di Giacomo.
La Quaestio è conservata in tre testimoni: il Vat. lat. 2172 (cc. 53-55), della Bibl. apostolica Vaticana, che fu segnalato e portato all'attenzione degli studiosi da M. Grabmann (cit. in Kristeller, 1955, p. 427); il cod. Theol. et philos. Q.204 (cc. 92v-98v) della Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda; il ms. 110 (cc. 194r-195r) della Biblioteca comunale e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Nel 1955 Kristeller ha offerto un'edizione critica della Quaestio, condotta sui primi due manoscritti; il medesimo studioso, dopo aver individuato il terzo testimone (Id., 1963, pp. 48 s.) ne ha elencato le varianti (pp. 536 s.). Il trattato è stato poi tradotto in italiano da F. Bottin, in Id., Ricerca della felicità e piaceri dell'intelletto: … G. da P., La felicità suprema, Firenze 1989, pp. 63-93.
Fonti e Bibl.: G. Cavalcanti, Rime, a cura di D. De Robertis, Torino 1986, pp. XII s., 94, 104, 194; M. Sarti - M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus…, II, Bologna 1888-96, p. 329; P.O. Kristeller, A philosophical treatise from Bologna dedicated to Guido Cavalcanti: magister Jacobus de Pistorio and his "Questio de felicitate", in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, pp. 425-463 (poi, con un'appendice sul ritrovamento del codice cortonese, in Id., Studies in Renaissance thought and letters, III, Roma 1993, pp. 509-537); R. Montano, Storia della poesia di Dante, I, Napoli 1962, ad ind.; P. Glorieux, La faculté des arts et ses maîtres au XIIIe siècle, Paris 1971, p. 213; F. Pappalardo, Per una rilettura della canzone d'amore del Cavalcanti, in Studi e problemi di critica testuale, XIII (1976), pp. 47-76; M. Corti, Dante a un nuovo crocevia, Firenze 1982, pp. 24-29; Id., La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino 1983, pp. 4-7; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VI, p. 129.