DAL POZZO (de Putheo, Putheus, Puteus), Giacomo
Non si conosce l'anno della sua nascita, che deve tuttavia collocarsi con una certa verosimiglianza all'inizio del Quattrocento. Appartenne ad una famiglia di rango di origine alessandrina, costretta nel 1403 a lasciare la città natale per motivi politici: alessandrino è infatti qualificato il D. in alcuni documenti dell'epoca. Figlio di Corradino, insigne giureconsulto secondo quanto si trova affermato nel Syllabus parodiano, si licenziava e addottorava in diritto civile nell'ateneo pavese nel 1423, come risulta dagli elenchi pubblicati dal Maiocchi per quell'anno sulla base degli atti di Bronzio Ubertari. Ebbe a maestro Pietro Besozzi che in quegli anni insegnava a Pavia.
Nell'anno accademico 1430-31 veniva preposto nella facoltà giuridica ticinese alla Lectura voluminis con un'assegnazione annua di 30 fiorini, ben poca cosa se paragonata ai più alti salari attribuiti per quell'anno ai titolari delle massime cattedre civilistiche e canonistiche (che andavano da 300-350 fiorini ai 500), ma adeguata alla minore importanza dell'insegnamento, che comportava, come si specificava nel rotulo, l'obbligo di leggere la materia, reputata, a giudizio del docente, più utile, dei Tres libri del Codice e inoltre tutte le Istituzioni giustinianee. Il 15 marzo 1431 entrava probabilmente nel Collegio dei giuristi: nella matricola di questo risulta per quell'anno iscritto "Iacobus de Puteo de Alexandria iuris utriusque doctor". Nel 1431-32 scompariva dai rotuli dell'università pavese per ritornarvi nel 1432-33 come deputato "ad legenduin in iure civili": in particolare, secondo la testimonianza del Parodi, gli si sarebbe affidata la lettura del Digestwn Novum et Infortiatum; nel '33-34 continuava ad insegnare dalla medesima cattedra con un salario di 200 fiorini, che saliva nell'anno seguente a 250. Intorno agli stessi anni doveva avere insegnato anche all'università di Torino, trasferita a Savigliano, se in un pubblico esame di dottorato in diritto canonico, sostenuto il 13 sett. 1435 nella chiesa abbaziale di S. Pietro di Savigliano, risultava tra i dottori di collegio promotori. Si ha poi notizia dal Comi, per gli anni immediatamente successivi, della concessione a suo favore della cittadinanza pavese.
Nei rotuli dello Studio ticinese compariva nuovamente nel 1439 con una assegnazione ormai arrivata a 400 fiorini; nel corso dell'anno, tuttavia, il D. si allontanava da Pavia, secondo quanto è possibile ricavare da un documento recentemente rinvenuto da di Renzo Villata: Filippo Maria Visconti infatti, nel maggio del 1440, riferendosi all'assenza del D. per l'anno precedente, lo diceva disposto a tornare al più presto e, in questa prospettiva, revocava ogni provvedimento di carattere negativo che potesse essere stato preso contro la persona di quello ed i suoi beni. Nel '40-41 risultava così di nuovo presente tra i lettori dello Studio con una ricompensa ora fissata a 500 fiorini: veniva anche fatto oggetto di due particolari provvedimenti ducali, intesi a consentirgli un sollecito pagamento delle sue spettanze. Cattedra e salario gli venivano riconfermati negli anni immediatamente seguenti: condivideva allora il più alto salario concesso ai lettori giuristi solo con Catone Sacco, titolare costui della Lectura ordinaria iuris civilis. Nel 1442 partecipava, in veste di esaminatore, alla licenza in diritto canonico di uno studente ginevrino e alla laurea, sempre in diritto canonico, di un sacerdote sassarese; compariva, poi, come presentatore, in una laurea in diritto canonico del medesimo anno; nel 1443 presentava all'esame privato di diritto civile un canonico novarese, licenziato poi in utroque iure. Compariva nei rotuli anche per il 1444-45 e 1445-46 (nel quale ultimo anno, fermi restando 1500 fiorini assegnati ancora al Sacco, a lui ne risultavano invece attribuiti, secondo la trascrizione del rotulo effettuata dal Maiocchi nel Codice diplomatico dell'università di Pavia, solamente 50 fiorini, tuttavia da correggersi in 500 secondo una più attenta diretta lettura). Nell'anno 1446 il D. raggiungeva, invece, il non modesto salario di 600 fiorini, superando così anche il Sacco, che manteneva il vecchio "stipendio". Nello stesso anno compariva in un atto notarile privato, mentre nel 1447 risultava come creditore di un nobile scolaro di leggi, che, allontanatosi da Pavia senza saldare il debito, aveva lasciato un fideiussore a garanzia; nel 1448 era tra i procuratori costituiti dai colleghi dello Studio pavese per conseguire i salari arretrati. Tra il 1448 e il 1449 il D. aveva un nuovo aumento economico, sicura testimonianza di una continua progressione di carriera e raggiungeva gli 800 fiorini, alla pari, nello Studio, con il solo Apollinare da Cremona, titolare dell'Ordinaria mattutina di medicina.
Negli anni immediatamente successivi il D. rimaneva a Pavia: prova ne sono alcuni documenti editi dal Fossati ed altri ineditirecentemente rinvenuti, risalenti al 1452, attestanti le sue traversie per conseguire il pagamento del salario del 1450-51: né c'è da meravigliarsene se già nel 1441 aveva incontrato analoghe difficoltà. Di fronte tuttavia alle lamentele del D. le autorità ducali avevano ordinato all'organo competente di soddisfare integralmente il credito vantato, in considerazione dei "merita et labores et precipuam auctoritatem", che si diceva essere posseduta dal D. e da altri due maestri versanti nella stessa condizione. Il periodo era stato per Pavia travagliato: la peste che imperversava aveva spinto la maggior parte dei dottori a fuggire verso lidi più sicuri, abbandonando così lo Studio, dove il D., se si deve dar cosi credito alle sue affermazioni, aveva continuato a leggere, ad onta anche di una riduzione del salario passato da 400 a 300 ducati, per di più non versati, in contrasto con ogni promessa fatta in precedenza. Secondo la testimonianza del Comi, il D., nei primi mesi del 1451, era anche a Pavia abate di provvisione, carica che avrebbe poi esercitato nuovamente nel luglio ed agosto del 1460; nello stesso 1451 veniva pure designato per partecipare, insieme con il sindacatore ducale, al sindacato sull'attività di un ex commissario alla Congregazione della Sanità di Pavia ed incaricato ancora di altre missioni pubbliche per conto della città, sia come avvocato della stessa in una controversia contro i daziari, sia per esprimere pareri o trattare altre questioni di pubblica utilità.
Sul finire del 1452 il D. abbandonava all'improvviso la cattedra per trasferirsi a Ferrara. Le congestionate vicende che seguirono sono in parte conosciute perché già il Bicci, il Magenta ed il Fossati vi hanno fatto riferimento, e in parte sono state ricostruite attraverso altri documenti inediti.
La reazione di Francesco Sforza alla notizia dell'esodo del D. fu immediata. Messo sull'avviso già dall'ottobre quando aveva dato istruzioni per indurre il D. a rimanere con promesse di un migliore trattamento, nel novembre dello stesso anno, a partenza avvenuta, comunicatagli forse attraverso una missiva di Angelo Simonetta, stigmatizzava il comportamento del giurista "disertore" e gli intimava di ritornare entro quindici giorni nel ducato e di presentarsi al suo cospetto "sotto pena de la indignatione" e della confisca di tutti i beni, interpretando il suo gesto come espressione della sua volontà di disfare e rovinare lo Studio. Contemporaneamente lo Sforza scriveva al duca di Modena perché spingesse il D. a ritornare sui suoi passi, e alle autorità pavesi perché eseguissero la confisca, per dare una punizione esemplare ed evitare che la fuga del D. producesse reazioni a catena e inducesse altri a seguire la sua strada. Il D. rispondeva immediatamente, giustificando la sua azione in base alle necessità economiche sue e della sua numerosa famiglia (aveva da mantenere oltre alla moglie otto figli) e negando ogni intenzione di distruggere lo Studio pavese.
Contemporaneamente interveniva nell'affare il duca di Modena, mantenendo ferma la sua volontà di conservare a Ferrara il D., ma cercando di non irritare il duca milanese. Nel dicembre il D. chiedeva a Francesco Sforza una proroga, cercando di allettarlo tra l'altro con la prospettiva di un aumento dei numero degli studenti nello Studio ticinese da cento a duecento, grazie a quelli che l'anno seguente sarebbe riuscito a portare a Pavia da Ferrara. Poco dopo il Consiglio segreto milanese suggeriva allo Sforza di trattare l'affare con le autorità estensi in via diplomatica, fermo restando il rifiuto della licenza al D. di trasferirsi perché non era possibile assegnare a Pavia, alla cattedra ricoperta da lui per l'innanzi, alcun dottore migliore. Nel ducato di Milano si sperava ancora che tornasse, ma non mancavano coloro che consigliavano di prendere misure per punire comunque il D. del suo ingrato comportamento e progettavano di assegnarlo, al ritorno, a cattedra diversa da quella ricoperta in passato e di sostituirlo con altre celebrità dei mondo del diritto dell'epoca.
Nel gennaio del 1453 il D. era ancora a Ferrara, a suo dire perché aveva saputo dall'oratore milanese Antonio da Trezzo e dallo stesso duca di Modena che gli era consentito restare. Ma la tensione evidentemente non accennava a diminuire perché il D. dichiarava che si sarebbe presentato al princeps milanese al più tardi alla fine dell'anno accademico. Nel maggio la situazione tuttavia si ingarbugliava maggiormente perché le autorità estensi, rimaste prive dell'insegnamento di Martino Garati da Lodi, morto di recente, non volevano depauperare lo Studio di un'altra celebrità e negavano perciò la licenza al D. a tornare a Pavia. Nell'agosto sembrava che ormai lo Sforza si fosse arreso ai desideri dei governanti ferraresi se il D. poteva inoltrare, tramite Antonio da Trezzo, una supplica al suo vecchio principe perché gli concedesse la "superiorità" su una certa terra nell'Alessandrino, recuperata allora da Bartolomeo Colleoni al ducato di Milano: anche le sue condizioni economiche dovevano essere migliorate se si diceva disposto a liberare lo Sforza dal debito verso di lui per il saldo non versato dei suoi salari arretrati, e a donargli in più 300 ducati d'oro, che il principe milanese avrebbe sicuramente apprezzato, dato il suo cronico bisogno di denaro da destinare alle necessità belliche. Nell'agosto del 1454 il D. era ancora a Ferrara, da dove stava, a suo dire, per partire, diretto a Pavia: progettava di giungere per la metà del mese seguente e rinnovava la sua richiesta di avere in feudo la "Vileta de Flixinara", la cui situazione giuridica doveva essersi, al momento, maggiormente chiarita. Nel 1455 doveva essere, infine, già tornato a Pavia se poteva comparire nei rotuli per quell'anno con un'assegnazione di 700 fiorini, maggiore, in quel momento, della somma che andava a percepire il Sacco.
Forse nello stesso anno o poco dopo il D. conseguiva pure la nomina a senatore; lo testimonia il Ghilini che, negli Annali d'Alessandria, riporta sotto il 1455 l'avvenimento, che veniva così a premiare un illustre concittadino; dalla stessa fonte, alla quale attingono anche altri autori successivi, come il Papadopoli, si apprende pure che lo Sforza l'avrebbe nel contempo destinato allo svolgimento di pubbliche funzioni nell'amministrazione dello Stato. Degli anni immediatamente successivi sino al 1464 non è possibile ricavare notizie dai rotuli pavesi. Nel. 1458, comunque, il D. era a Pavia da dove scriveva ai funzionari ducali nel luglio per ottenere il rilascio di un salvacondotto a favore di un certo magister, debitore delle sue nuore, e nel settembre in ordine ad una causa giudiziaria. Allo stesso anno risale un altro incarico a lui affidato, di cui dà laconica notizia il Comi, in merito ad una causa da decidersi dagli ufficiali di Pavia. Nel 1460 e nel 1463 Francesco Filelfo, figura di punta dell'ambiente umanistico lombardo, gli inviava due lettere.
Mancano prove sicure di un suo insegnamento a Padova, di cui riporta notizia il Ghilini nel suo Teatro d'huomini letterati: il Papadopoli, nel farne menzione nella sua Ristoria Gymnasii Patavini, si richiama allo stesso autore, facendo tuttavia rilevare come egli sia l'unico, a sua conoscenza, ad affermare tale fatto, anche se cita insieme, ad avvalorarlo, alcuni indici di professori dell'ateneo patavino in cui il D. comparirebbe come originario di Verona e non di Alessandria. Sempre al Papadopoli risale anche la notizia circa l'anno d'inizio del suddetto insegnamento, che si sarebbe svolto a partire dal 1468, in epoca successiva all'insegnamento nell'ateneo patavino di Alessandro Tartagna e di Bartolomeo Cipolla: ma, a questa data, come si vedrà, il D. era già morto da quattro anni. Né si hanno prove sicure di un insegnamento del D. a Bologna, pure menzionato dal Ghilini e da altri, come dal Papadopoli e dal Moriani.
Il 2 luglio 1463 veniva investito, insieme con il figlio Giovanni, altro illustre giureconsulto, che avrebbe poco dopo preso il posto lasciato vacante dal padre nello Studio pavese, del feudo di Retorto nell'Alessandrino.
Moriva con ogni probabilità intorno al 3 febbr. 1464, come si ricava dalla testimonianza di una lettera ducale del settembre dello stesso anno, nella quale, riferendosi alla successione del figlio Giovanni sulla cattedra ricoperta dal D. della lectura civilistica extraordinaria serotina, si faceva espressa menzione della morte di quest'ultimo.
Si deve quindi rigettare come non attendibile la data di morte indicata da alcuni, anche se con qualche perplessità, intorno al 1453, sul fondamento di una lettera conservata negli Acta Studii Ticinensis, datata 23 marzo 1453; le numerose testimonianze, prima ricordate, dell'attività del D. dopo questa data rendono evidente l'errore di chi l'ha considerata come quella della sua morte. Deve anche ritenersi ingiustificata la data di molto posteriore o 1464, indicata dal Borsetti, secondo il quale il D., dopo avere insegnato a Ferrara nel 1466, sarebbe poi morto senatore in Milano vent'anni dopo, sulla testimonianza probabile di quanto scriveva, un secolo prima, Guido Panciroli nel suo De claris legum interpretibus. Lo stesso annus ad quem è ricordato dal Papadopoli.
Il D. ebbe come illustre allievo Giason Del Maino, che usò nei suoi riguardi espressioni di affettuosa benevolenza, come quando, citando un'opinione espressa a Pavia in consulendo dal D. in tema di legati ed interessi per il mancato immediato pagamento di interessi, da considerarsi più o meno usurari, lo qualificava come "aetatis nostrae memoriae observandissimae" ed aderiva alla sua impostazione.
Non sembra invece attendibile la notizia riportata dal Savigny, che annovera anche Filippo Decio tra i suoi discepoli; infatti la fonte, di gran lunga prevalente, alla quale attingeva il Savigny per delineare il profilo biografico del Decio, era la Vita D. Philippi Decii di Francisco Boeza, discepolo di Filippo, che al riguardo segnalava, come precettori dello stesso, oltre al fratello Lancellotto Decio, Giason Del Maino per le Istituzioni e Giovanni Dal Pozzo (non Giacomo) "in lectione ordinaria". Si può osservare che i rotuli universitari conservati per quell'epoca provano che Giasone insegnò Istituzioni a Pavia intorno al 1472 e che nei medesimi anni Giovanni pure insegnava lì dalla cattedra di Lectura ordinaria civilistica, dopo essere succeduto nella extraordinaria al padre nel 1464.
Allo stato attuale delle ricerche si possono attribuire al D. alcune opere a stampa e altre rimaste inedite. Tra le prime il Lipenio annovera le Interpretationes supra prima Infortiati, edite a Colonia nel 1584, un trattato De iure et equitate, stampato nel 1580 pure a Colonia, dove sarebbero state pubblicate anche sue Lectiones variae. Il Papadopoli ricorda ancora, come poi il Borsetti, dei Fragmenta quaedam in iure civili, dei quali non è possibile dire nulla di più preciso, data la estrema laconicità del riferimento. Secondo la testimonianza dello stesso, e già del Ghilini, è anche opera del D. una Allegatio pro Communitate terrae Valentiae contra Communitatem S. Salvatoris in materia confinium, edita in appendice al Tractatus definibus regendis civitatum castrorum ac praediorum di Gerolamo Monte (Venetiis 1574). Io ho rinvenuto inoltre consilia del D. nella raccolta di Consilia a cura di G. Ziletti (Responsorum quae a vulgo consilia vocantur ad causas ultimarum voluntatum, successionum, dotium et legitimationum volumen primum, Venetiis 1581, conss. 107 e 121): furono emessi nell'ambito di una causa in materia successoria, in ordine alla quale avevano prestato la loro attività consulente altri illustri giuristi del tempo passati per l'ateneo pavese come Filippo Franchi, Rolando Corti, Luca Grassi, Gerolamo Torti, Giorgio Torti e Gerolamo Mangiaria. Tra i Responsa di Martino Garati da Lodi, suo collega a Pavia ed a Ferrara, i conss. 1 e 40 sono sottoscritti dal D. e da altri celebri giuristi. Il D. sottoscrisse anche alcuni consilia criminalia, editi sempre a cura dello Ziletti (nei Criminalium consiliorum atque responsorum tam ex veteribus quam iunioribus celeberrimis iurisconsultis primum volumen, Venetiis 1560, conss. 29 e 51, ma anche il 50, stilato in parte dal Dal Pozzo).
Manoscritti contenenti opere attribuibili al D. sono conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Già il Montfaucon nella sua Bibliotheca Bibliothecarum manuscriptorum nova, accennava all'esistenza di due volumi dei D. contenenti Lectiones di diritto civile e canonico. Oggi si possono ricordare più numerosi manoscritti. Così il ms. C 314 inf., che contiene i Commentaria in I. si filio familias ff. soluto matrimonio per Iacobum de Puteo mediolanensem I.I.D. anno 1458 scripta annis subsequentibus a Io. Iacobo Balsamo, che al f. 1r porta poi la data del 1463, mentre al E 267r, ultimo dei manoscritto, si può leggere "et scriptus per me Iohannem Iacobum de Balsamo legum scolarem 1460 in Mediolano" (il Balsamo era destinato a ricoprire tra il 1467 ed il 1469 la cattedra pavese di istituzioni): all'opera sono apposte numerose additiones di Gerolamo Torti, collega del D. a Pavia e titolare anch'egli di una Lectura civilistica. Il ms. C 318 inf. contiene Lectiones iuris attribuibili al D. secondo un'ipotesi già prospettata (o non piuttosto a Gerolamo Torti?) vertenti sulle leggi dei diversi titoli del libro VI del Codex dedicato agli istituti successori: il riferimento cronologico contenuto in esso è il 9 sett. 1464, data probabile di conclusione della stesura del manoscritto, posteriore a quella di morte del Dal Pozzo. Ugualmente alla materia successoria sono dedicate le Lectiones iuris del ms. C 319 inf., aventi ad oggetto i libri del Digesto relativi ai legati: la data riportata a chiusura del lavoro è il 7 sett. 1464. L'attribuzione probabile al D. può poggiare sulla circostanza favorevole dell'apposizione alla fine dei commenti delle diverse leggi del suo nome, oltre che sulla data di redazione, coincidente, come già detto, con l'anno della morte del giureconsulto. Il ms. C 316 inf., risalente allo stesso 1464, conserva Lectiones iuris Iacobi de Puteo del 1463-1464 ai primi due libri del Digestum vetus, la cui paternità tuttavia appare incerta, potendo anche essere opera di altro autore. Il C 315 inf. contiene pure Lecturae a lui attribuibili al De verborum obligationibus del Digesto, tuttavia non databili con precisione. Il C 317 inf. conserva Lecturae del D. al Digestum Novum risalenti all'incirca al 1464, secondo una nota marginale all'interno dell'opera: per entrambi gli ultimi due manoscritti, come pure per il C 316 inf., l'Inventario Ceruti poneva come collocazione temporale abbastanza generica il Quattrocento.
Vi sono ancora commentari manoscritti del D. super secunda Infortiati, con additiones del figlio Giovanni, alla Biblioteca nazionale di Torino (ms. E. III. 14) e alla Biblioteca capitolare di Novara (ms. fol. II): il manoscritto delle Lecturae et interpretationes novaresi, stando alla testimonianza di un giureconsulto novarese di un certo talento, Giambattista Piotti, fu scritto da un discepolo del D., Giovanni dalla Porta e fu rinvenuto presso il novarese Giano Della Porta; secondo le indicazioni dei Dolezalek è invece stato redatto da Eusebio de Raspis che ha altresì scritto il manoscritto, conservato nella medesima Biblioteca capitolare, delle Elucubrationes super prima Digesti Novi del D., recante la data d'inizio del 36 sett. 1435 e terminato probabilmente l'anno seguente. Entrambe queste opere dovevano essere destinate alla stampa nel 1555 a cura di un discendente del D., Corradino Dal Pozzo e sotto il patrocinio del cardinale omonimo Giacomo Dal Pozzo e di Cassiano Dal Pozzo, presidente del Senato di Emanuele Filiberto. È conservata inoltre una Lectura Digesti Novi del D. risalente, secondo l'indicazione contenuta nel manoscritto, al 1460, alla Biblioteca del Collegio di Spagna (ms. 128). Infine si conosce una raccolta di Dicta, tramandata attraverso un manoscritto della Stadtbibliothek di Treviri (ms. 982/916, ff. 288-305): trascritti da Ludovico Tintori di Crema, professore a Colonia che affermava di avere studiato leggi a Pavia con il D. (e forse perciò anche con il Sacco) dovettero essere opera sia di questo sia di Catone. Nello stesso manoscritto si conservano pure del D. una Lectura de cessione bonorum (ff. 265-275) e estratti di una Lectura Digesti Novi parte I (ff. 215r-226r).
Secondo la testimonianza del Ghilini, dei Papadopoli e del Lipenio il D. fu anche autore di una Disputatio de monetis, contenuta nel trattato De augmento et mutatione monetarum dell'asfigiano Alberto Bruni; occorre registrare, tuttavia, che tale disputatio è attribuita dal Rossotti, autore del Syllabus scriptorum Pedemontii, e dal Freher nel suo Theatrum virorum eruditione clarorum all'omonimo cardinale, nato nel 1498 e morto nel 1563, uditore della Sacra Rota romana e poi decano della stessa, arcivescovo di Bari, cardinale nel 1551, titolare di vari uffici alla corte pontificia sotto Paolo IV e legato di Pio IV al concilio ecumenico, noto soprattutto nel mondo dei giuristi coevi e dell'età seguente per le sue Decisiones della Rota romana, edite a Colonia nel 1582, a Venezia l'anno successivo ed ancora nel 1592.
Antonio d'Asti, poeta di chiara fama, contemporaneo del D., lo menzionava come uno dei più celebri, giureconsulti dell'epoca e lo collocava accanto a Catone Sacco, anche per la ricchezza che entrambi erano riusciti a conseguire con la loro professione. Poco più tardi Ambrogio Teseo, in una digressione diretta ad intessere le lodi di Pavia, sua patria, poteva citare il D. insieme con i sommi luminari che avevano illustrato l'ateneo ticinese. Catelliano Cotta, all'inizio del Cinquecento, dava un posto di rilievo al D., ponendolo nei suoi Memoralia ex variis utriusque iuris doctoribus collecta accanto ai più grandi autori del secolo precedente. Ricordano le opinioni del D. anche altri celebri giuristi come Francesco Corti senior, Francesco Sannazzari della Ripa e Paolo da Montepico. Il D. fu senza dubbio un giurista di eccellente livello, con intuizioni originali e non, perciò, supinamente prono alla volontà delle authoritates dei grandi commentatori, che in quell'epoca imperavano incontrastate. Di estrema parsimonia nelle citazioni dottrinali, come rilevava anche il Panciroli, se rinviava all'opinione dei suoi più illustri predecessori, sapeva anche spesso discostarsene, preferendo lasciare più spazio al libero corso del suo pensiero, applicato piuttosto direttamente ai testi legislativi, senza la opprimente intermediazione della dottrina.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti edite e ined. citate nel testo, cfr. Archivio di Stato di Milano, Fondo Autografi, Uomini celebri, cart. 151, 11; Fondo Feudi Camerali, p. a., cart. 481, c. 13; Pavia, Bibl. univers., Mss. Ticinesi 757: G. Parodi, Syllabus lectorum, sub nomine; Mss. Ticinesi 758: Acta Studii Ticinensis, ff. 309, 353-355; Mss. Ticinesi 759: Rotuli Studii Ticinensis, ff. 84, 91, 93, 103, 105, 109, 113, 117, 119, 121, 121 125, 134; Mss. Ticinesi 38: S. Comi, Zibaldone di notizie stor. e letter. con particolare riguardo alle cose pavesi, Quadd. C, f. 104v; D, ff. 88r-89v; E, f. 58r; F, ff. 165r, 236r; A. d'Asti, De varietate fartunae, in L. A. Muratori, Rer. Italic. Script., XIV, Mediolani 1729, col. 1025; F. Corti senior, Consilia, Lugduni 1547, cons. n. 5, n. 2, f 3v; P. Ruini da Montepico, Rep. in l. post contractum D. de donatio,n. 63, in Repetitionum seu Commentariorum in varia Iurisconsultorum responsa, V, ad I partem Digesti Novi, Lugduni 1553, f. 185r; G. B. Piotto, Rep. l. si quando C. undevi, nn. 244-245, Novariae 1557, ff. 101r-103r; C. Cotta, Memoralia ex variis utriusque iuris doctoribus collecta, Venetiis 1572, f. 392; A. Rho, Tractatus de analogis, univocis et aequivocis iuris utriusque decisiones, Venetiis 1586 [sul front. 1587], f. 46; G. Maino, In primam Codicis partem Commentaria (ad C. 1, 1,1 de summa trinitate l. cunctos populos, II lectura, n. 30), Venetiis 1589, f. 7r; F. Boeza, Vita Domini Philippi Decii, in Philippi Decii... In Digestum Verus et Codicem Commentaria, Venetiis 1595; G. Ripa, In primam et II ff. novi, secundam ff. vet., I et II Codicis Commentaria, Venetiis 1601, ff. 20r, 23v; Codice diplom. dell'univers. di Pavia, II, 1,a cura di R. 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