Debenedetti, Giacomo
Saggista, critico letterario, scrittore e critico cinematografico, nato a Biella il 25 giugno 1901 e morto a Roma il 20 gennaio 1967. Una delle personalità più eminenti e poliedriche del nostro Novecento letterario e tra le maggiori in Europa, fin dalla giovinezza si occupò a più riprese della 'Decima Musa'. Tra la metà degli anni Venti e l'inizio degli anni Quaranta D. andò delineando il rapporto più stretto e fattivo con questa forma d'arte, ma l'attenzione al linguaggio cinematografico non si spense nella maturità, anzi servì da confronto negli scritti più tardi quali il saggio testamentale Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo (in "Paragone", 1965, 190, riedito in Il personaggio-uomo, 1970) e l'analisi di I quaderni di Serafino Gubbio operatore (1961-62) di L. Pirandello. Il suo interesse per il cinema si manifestò anche nella scelta di pubblicare, con la casa editrice Il Saggiatore ‒ da lui diretta dal 1958 al 1966 ‒, studi quali Film come arte (1960) di R. Arnheim, Cinema italiano 1960. Romanzo e antiromanzo (1961) di G. Aristarco e Fuggiasco da Hollywood. Vita e opere di E. von Stroheim (1964) di P. Noble.Formatosi nella Torino gobettiana di "Rivoluzione liberale" e di "Il Baretti", nel quale esordì con il primo saggio su M. Proust uscito in Italia (Proust 1925), strinse amicizia con S. Solmi, E. Montale, G. Alberti, N. Sapegno, B. Bazlen, creando inoltre un forte sodalizio con il poeta U. Saba, da lui valorizzato e ospitato nella rivista "Primo tempo", fondata con Solmi e M. Gromo (1922-23). Il cinema attirava i giovani torinesi, letterati e pittori, ed era uno dei temi di discussione insieme con il destino del romanzo e la funzione della critica. L'inizio fu Cinema Liberty, pubblicato prima su "Il Convegno" e poi nella raccolta Amedeo e altri racconti (1926), racconto centrato su un locale della periferia torinese che alleggerisce con luci e manifesti le atmosfere cupe dei palazzi bui e fatiscenti. Del 1927 il primo scritto teorico Cinematografo, nel numero monografico dedicato al cinema dalla rivista fiorentina "Solaria" (1927, 3) con interventi, tra gli altri, di R. Bacchelli, G. Baldini, A.G. Bragaglia, G. Alberti, E. Montale. Se il cinema rientrava nelle curiosità di D. per il 'nuovo' e nella disponibilità ebraica (si pensi allo sviluppo del cinema in America) verso la nuova arte, va tuttavia considerata anche l'influenza di E. Ferrieri, direttore di "Il Convegno" e del circolo culturale omonimo, il quale nella sede della rivista programmava film preceduti da lezioni-conferenze di registi o critici letterari. D. partecipò con un intervento memorabile intitolato Risorse del cinema, che lesse in due tornate nella primavera del 1931. A Torino, per il suo circolo culturale La Saliera, D. fondò nel 1928 un cinema d'essai ante litteram, chiamato Cinema d'eccezione, sulla falsariga dell'iniziativa milanese di Ferrieri, al fine di educare il pubblico al film d'arte. Nell'ottobre 1929, dopo la pubblicazione del primo volume di Saggi critici, D. fu chiamato da Stefano Pittaluga alla Cines come riduttore di film stranieri, nel delicato momento di passaggio dal muto al sonoro. Curò così General Crack (1929; Il generale Crack) di Alan Crosland, Buffalo Bill (1944) di William A. Wellman, Sally (1929) di John F. Dillon, The great Gabbo (1929; Il gran Gabbo) di James Cruze, Two worlds (1930; Due mondi) di Ewald A. Dupont. Lavoro tutto da sperimentare era il doppiaggio, e D. si adoperò in questo senso, pur tra difficoltà e antagonismi, più gravi dopo la morte prematura (1932) di Pittaluga e nel 1933 con l'uscita dalla direzione artistica della Cines dell'amico ed estimatore Emilio Cecchi. Altri titoli furono The devil's brother (1933; Fra' Diavolo) di Charles Rogers e Hal Roach, quando il rapporto con la casa di produzione stava entrando in una fase di grave difficoltà, Salto mortale (1931) di Dupont, Voruntersuchung (1931; Istruttoria) di Robert Siodmak, Mädchen in Uniform (1931; Ragazze in uniforme) di Leontine Sagan, Kameradschaft (1931; La tragedia della miniera) di Georg W. Pabst, Das Testament des Dr. Mabuse (1933; Il testamento del dottor Mabuse) di Fritz Lang, Evergreen (1933; Paradiso in fiore) di Victor Saville, Waltzes from Vienna (1933; Vienna di Strauss) di Alfred Hitchcock. Per la Lux Film si occupò di Little women (1933; Piccole donne) di George Cukor, Stingaree (1934; Stingari il bandito sentimentale) di Wellman, per la Fert Film di Napoli che canta (1930) di Mario Almirante, e ancora per la Cines di La stella del cinema (1931) sempre di Almirante. Dal 1926 aveva iniziato a scrivere sulla "Gazzetta del popolo" nelle rubriche Cronache dei libri e All'insegna delle riviste, mentre nel marzo del 1929 aveva pubblicato quattro recensioni nella rubrica Diario del cinema firmate con lo pseudonimo di Swan: La montagna dell'amore e L'uomo tra le fiamme (16 marzo), La signora Chicchirichì e Il mostro del mare (19 marzo). L'attività si intensificò negli anni Trenta, in parallelo con una crisi profonda che D. stava attraversando rispetto a un mondo in trasformazione che escludeva la raffinatezza dell'intelligenza come l'ipersensibilità estetica. A questo si deve attribuire il legame ambiguo di attrazione e presa di distanza tra D. e la nuova arte. L'esperienza diretta, la conoscenza dei problemi del doppiaggio, della traduzione, del montaggio, ma anche il ridimensionamento dell'idea romantica dell'artista unico creatore e responsabile della sua opera, gli permisero di scrivere saggi fondamentali e precoci in Italia, apparsi su "Cinema". Un periodico per il quale firmò articoli anche con A. Consiglio, dal luglio 1936 al marzo 1938, quando dovette interrompere a causa delle leggi razziali, come egli stesso racconta nella Nota autobiografica scritta in occasione della libera docenza universitaria (1958). Tra i contributi maggiori per questa rivista si segnalano: Chaplin-Charlot, Il doppiaggio in Italia, La musica e il cinematografo (poi raccolti da L. Miccichè nel volume Al cinema, 1983, antologia degli scritti sul cinema di D.). In genere non molto interessato agli esiti del cinema italiano, a parte la significativa buona accoglienza verso Il signor Max (1937) di Mario Camerini, D. mostrò maggior gradimento verso quello statunitense. Il fulcro dei suoi scritti è costituito dalle belle pagine su Charlie Chaplin, di cui D., tra l'altro, elogia il richiamo alla pantomima, e alle quali si devono aggiungere quelle, altrettanto ispirate, su Greta Garbo, attrice 'dall'amletico pallore', su Ernst Lubitsch, sui fratelli Marx, oltre alle singole recensioni, che seppero mettere in rilievo gli specifici contributi di registi, attori, scenografi, sceneggiatori, alla realizzazione del film. Significativa fu anche la disponibilità di D. verso un cinema di buon artigianato, legato al piacere del racconto, ma anche al gusto dell'avventura. Nel 1937 intanto si era trasferito a Roma su invito di R. Arnheim per preparare l'Enciclopedia del cinema, bloccata dal regime già in bozze. Costretto alla clandestinità, scrisse sceneggiature ‒ soprattutto con Sergio Amidei, che ricordò sempre con affetto l'amicizia e il fruttuoso sodalizio con D., e poi con Ferdinando M. Poggioli, Amleto Palermi, Nunzio Malasomma, Duilio Coletti, Mario Bonnard, Camillo Mastrocinque, Riccardo Freda, Carmine Gallone ‒ alcune sicuramente attribuite, altre incerte (tra queste vanno citate: La mazurka di papà e Amicizia, film di Oreste Biancoli del 1938; Partire e Le due madri, diretti da Palermi nel 1938; Cose dell'altro mondo, 1939, e Gioco pericoloso, 1942, di Malasomma; Capitan Fracassa, 1940, di Coletti; Addio giovinezza!, 1940, Gelosia, 1942, e Il cappello da prete, 1944, di Poggioli; La fanciulla di Portici, 1940, di Bonnard; L'ultimo ballo, 1941, di Mastrocinque; La regina di Navarra, 1942, e Harlem, 1943, di Gallone; Don Cesare di Bazan, 1942, di Freda). Dal 13 settembre 1943 al luglio 1944 si rifugiò con la famiglia a Cortona, dove scrisse Otto ebrei (1944), 16 ottobre 1943 (1945) e la monografia Vocazione di Vittorio Alfieri (pubbl. postuma nel 1977). La ripresa dell'attività di letterato relegò in secondo piano il cinema. Si devono all'immediato dopoguerra alcune recensioni su "Milano sera", un foglio di sinistra più tollerante e aperto, tra cui va ricordata quella a Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, che non piacque a D., avverso alla poetica neorealistica, nonostante la linea culturale del Partito comunista italiano, al quale era iscritto dall'ottobre 1944. Dal 1946 al 1956 lavorò come redattore unico dei testi del cinegiornale della Settimana Incom, chiamato dal direttore S. Pallavicini, attività questa alla quale teneva molto (Frandini 2001) e che, mancando contratti o ricevute di pagamento, gli viene di solito marginalmente riconosciuta. Nel 1948 tenne a Roma la conferenza Cinema: destino di raccontare, edita postuma, e a partire dal 1950 fino all'anno della morte fu incaricato dell'insegnamento di letteratura moderna e contemporanea all'Università e al Magistero di Messina e all'Università di Roma, non ottenendo il ruolo perché scandalosamente respinto a tre concorsi per la cattedra. Negli ultimi anni D. tornò a occuparsi di cinema in modo sporadico, ma offrendo alcuni contributi assai significativi: oltre i già citati, anche le acute osservazioni contenute in Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo, sul cinema di Michelangelo Antonioni, assimilato al grande romanzo moderno, e quelle sulla temporalità, fino alla presa di distanza dalle incidenze di A. Robbe-Grillet e del nouveau roman sul linguaggio cinematografico e alla rivendicazione del cinema come luogo dell'affermazione del personaggio-uomo.
G. Aristarco, Storia delle teoriche del film, Torino 1960, passim.
O. Cecchi, Incontri con Debenedetti, Padova 1971.
R. Bertacchini, Debenedetti, Giacomo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 33° vol., Roma 1987, ad vocem.
P. Frandini, Il teatro della memoria. Giacomo Debenedetti dalle opere e i documenti, Lecce 2001.