DEL BALZO (de Baux), Giacomo
Figlio di Francesco, conte di Montescaglioso e duca d'Andria, e di Margherita d'Angiò Taranto, se ne ignora la data di nascita. Ereditò dalla famiglia materna i principati di Taranto e di Acaia e i titoli di despota di Romania e di imperatore di Costantinopoli: nel 1373 lo zio Filippo d'Angiò Taranto, il quale era privo di discendenti diretti, lo istituì infatti suo erede universale. Ma tali diritti di successione non gli furono riconosciuti dalla regina di Napoli Giovanna I d'Angiò, a causa della ribellione paterna contro l'autorità della sovrana. Il D. fu infatti colpito, insieme con il padre, da un provvedimento di bando dal Regno e di confisca di tutti i suoi beni. Avrebbe allora trovato rifugio nell'isola di Corfù, che faceva parte dei possedimenti ereditati dallo zio, mentre il padre riparava in Provenza alla corte pontificia di Avignone.
In quanto avversario della regina Giovanna, il D. fu inizialmente sostenitore di Carlo III d'Angiò Durazzo e come tale poté rientrare nel Regno di Napoli, dopo la sua conquista da parte del nuovo sovrano. Verso l'inizio del 1382 sposò Agnese d'Angiò Durazzo, la sorella maggiore della regina Margherita di Napoli, la quale era rimasta vedova di Cansignorio Della Scala. Il matrimonio della cognata col D. pare che fosse stato voluto dallo stesso re Carlo, per premiare la fedeltà dimostrata dal duca d'Andria, il quale era divenuto uno dei capi del partito durazzesco, e assicurarsi per l'avvenire quella di tutta la famiglia. Tuttavia, i rapporti del D. col sovrano si guastarono rapidamente e anche a motivo del matrimonio appena concluso.
Agnese aveva ripetutamente rinunciato in favore della sorella minore, la regina Margherita, ad ogni diritto alla successione di Giovanna I d'Angiò, sua zia materna. Né pare che Carlo III - il quale era stato investito ex novo del Regno napoletano dal pontefice Urbano VI per effetto della devoluzione feudale alla Chiesa di Roma, e non per diritto ereditario - avesse motivo di temere che da parte del D. fossero avanzate pretese al trono a nome della moglie, come invece si è pensato anche per analogia con la vicenda dell'altra sorella di Agnese e Margherita, Giovanna di Durazzo, e del marito Roberto d'Artois accusati di aver congiurato a favore della regina Giovanna. L'attrito del D. col sovrano è da collegare al tentativo fatto da Carlo III di Durazzo di mettere le mani sui 38.000 fiorini, depositati a frutto presso i banchieri di Firenze, i quali costituivano la dote che Agnese aveva ricevuto dal primo marito, e anche, probabilmente, al mancato riconoscimento regio del dominio che il D. vantava su Corfù a titolo ereditario, riconoscimento al quale forse il re si era precedentemente impegnato.Lasciata a Napoli la moglie Agnese, sotto sorveglianza regia a Castel dell'Ovo, dove fu pure rinchiusa Giovanna di Durazzo, il D. si pose al sicuro con le sue truppe nel principato di Taranto e venne perciò accusato dal sovrano di lesa maestà. Per effetto delle pressioni esercitate su di lei dal re, Agnese, con atto pubblico steso l'8 luglio 1382, si impegnò ad inviare procuratori a Firenze per riscuotervi i soldi della dote di Cansignorio Della Scala, e quindi a concederli in mutuo a Carlo, il quale offriva in pegno per la loro futura restituzione la terra demaniale di Bisceglie. Il re restituì allora piena libertà di movimento alla cognata, concedendole di riunirsi al marito. Agnese, tuttavia, si era premurata di avvertire in segreto i suoi banchieri perché non eseguissero le eventuali disposizioni che avrebbe dato e non consegnassero a nessun inviato il denaro da lei depositato.
Concluso l'accordo con Agnese, il re accolse anche le richieste del D. per il dominio su Corfù, sotto la forma non già di riconoscimento di un diritto ereditario, bensì di assegnazione da parte sua dell'isola in dote ad Agnese. Carlo III, tuttavia, aveva continuato a rinviare la stesura dell'atto, tanto che ancora il 17 sett. 1382 si era impegnato nei confronti dei sindaci di Corfù a non disporre dell'isola. L'intervento regio nella questione aveva soltanto valore formale, giacché di fatto Corfù era ormai in mano alla Repubblica di Venezia, la quale si era già dichiarata disposta a riconoscere i diritti del D.: il Senato veneziano aveva, infatti, deliberato di trattare con lui per ottenere la cessione dell'isola. Spinto da propositi di conciliazione, Carlo III concesse inoltre al D. una dilazione del termine assegnatogli per discolparsi dall'accusa di lesa maestà. Il D. poté pertanto tornare a Napoli con gli uomini d'arme al suo seguito. Si trovava appunto nella città partenopea nel febbraio 1383, quando, nella casa che abitavano presso il monastero di S. Chiara, moriva Agnese di Durazzo. Il 9 febbraio, giorno precedente la morte, il D. aveva concesso alla moglie l'autorizzazione a fare testamento ed era stato presente alla stesura delle sue ultime volontà.
In seguito alla morte della moglie, i suoi rapporti col re Carlo subirono un nuovo peggioramento. Il D. lasciò immediatamente Napoli per tornare nel principato di Taranto. Pare che si imbarcasse sulla galea del genovese Pietrino Grimaldi. Giunto in Puglia, riuscì a riprendere il castello di Taranto, togliendolo a Raimondo Del Balzo Orsini investito della custodia del castello dallo stesso D. come luogotenente; ma in seguito, approfittando della momentanea riconciliazione del D. con Carlo di Durazzo, Raimondo aveva assunto in proprio il possesso del castello tarantino come partigiano di Luigi d'Angiò e come titolare di diritti ereditari sul principato di Taranto, in quanto discendente di una sorella del D., Maria. Il D. era ormai in aperto contrasto con Carlo di Durazzo: la morte della moglie Agnese aveva fatto venir meno il legame familiare con la casa regnante, mentre l'eredità della stessa Agnese aveva probabilmente aggiunto nuovi motivi di contrasto con il sovrano. Divennero allora manifesti i legami che univano il D. a Luigi d'Angiò, antagonista di Carlo III per il trono napoletano. Il 15 luglio 1383 il D. fece testamento, lasciando in eredità proprio a Luigi I i suoi principati e il titolo imperiale, benché fossero ancora vivi il padre e il fratello Guglielmo. La ragione di una tale, singolare scelta, che ebbe importanti effetti politici, è da ricercare non soltanto nell'adesione del D. al partito filoangioino, ma anche nella circostanza che si trattava di titoli e possedimenti che gli provenivano, come si è detto, dalla famiglia materna, mentre il fratello Guglielmo era figlio di altra madre. Né il D. intendeva probabilmente riconoscere i diritti ereditari di Raimondo Del Balzo Orsini, che gli aveva mancato di fedeltà.
Poco dopo il D. morì a Taranto, ancora in giovane età. Grazie al suo testamento, Luigi d'Angiò poté impossessarsi pacificamente di una parte importante del Regno napoletano. Il D. fu sepolto nella cattedrale tarantina di S. Cataldo, accanto ai resti dello zio e precedessore Filippo d'Angiò Taranto.
Fonti e Bibl.: Documenti sulle relaz. delle città toscane coll'Oriente cristiano e coi Turchi, a cura di G. Müller, Firenze 1879, p. 126; L. Barthélemy, Inventaire chronol. et analytique des chartes de la maison de Baux, Marseille 1882, nn. 1510, 1574, 1577, 1579, 1584; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651, pp. 242 s.; R. Bisson de Sainte-Marie, Testament de Jacques de Tarente, in Bibl. de l'École des chartes, XLV (1884), pp. 191-95; N. Barone, Notizie stor. tratte dai registri di cancelleria di re Carlo III di Durazzo, Napoli 1887, pp. 19, 23, 56; N. Valois, La France et le grand schisme d'Occident, II, Paris 1896, p. 62; G. De Blasiis, Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, pp. 281, 303 s.; A. Valente, Margherita di Durazzo vicaria di Carlo III e tutrice di re Ladislao, in Arch. stor. per le prov. napolet., XI, (1915), pp. 283 ss., 289; A. Cutolo, Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli 1969, pp. 25, 38, 53, 227; S. Fodale, La politica napolet. di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, pp. 219 s.; B. Candida Gonzaga, Mem. delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, II, p. 12; Dictionnaire de biographie française, V, col. 966.