DEL DUCA (Duca, De Duca), Giacomo (Iacopo)
Figlio di Giovan Pietro e fratello del fonditore Lodovico (Bertolotti, 1879, p. 14), nacque a Cefalù (Palermo) all'inizio del terzo decennio del XVI secolo: fu detto Iacopo Siciliano o Ciciliano, fu scultore, architetto, e, a detta del Baglione (1649), anche poeta. Dopo un alunnato giovanile presso Antonello Gagini, venne a Roma, dove sviluppò poi la sua attività principale. Lasciò Roma sul finire del secolo per lavorare in qualità di "ingignere" della città di Messina. Il Milanesi, nelle note alle Lettere di Michelangelo..., ha ipotizzato essere lui quel "Iacopo mio garzone" che nel 1542 scolpiva per Raffaello da Montelupo "quattro teste di termini" nella tomba michelangiolesca di Giulio II. Tramite lo zio Antonio Del Duca, sacerdote di intensa vita spirituale, amico di Ignazio da Loyola e di Filippo Neri e cappellano nella chiesa di S. Maria di Loreto, conobbe Michelangelo (Catalani, ms.), che aveva bottega nei pressi di questa chiesa.
Iniziava un lungo alunnato nella bottega del grande fiorentino, dove restò fino alla morte di questo svolgendovi attività di scultore e fonditore; preferito per le fusioni da Michelangelo perché "fa che vengono le cose sottilissimamente senza bave, che con poca fatica si rinettano; che in questo genere è raro maestro" (Vasari, 1568). Ma già prima della morte del Buonarroti (1564), egli iniziò a svolgere attività autonoma: infatti è documentato un suo lavoro, anteriore al 1561, per i certosini dell'abbazia di S. Bartolomeo di Campagna (oggi Trisulti), dove fece una "icona di marmo di mezzo rilievo" (Catalani, ms.), ora posta sul portone dell'ingresso principale (Benedetti, 1987).
Lavorò tra il 1562 e il 1565 a porta Pia; qui, per volere di Michelangelo, scolpì il mascherone sopra il portone oltre al grande stemma con angeli di Pio IV, e, dopo la morte del fiorentino, svolse altre prestazioni, tra cui forse la stesura di alcune finali parti architettoniche (Ackerman, 1968), quali le finestre del piano terra.
L'alunnato col Buonarroti era divenuto comunanza di vita se nel 1564 il nipote di Michelangelo, Leonardo, farà da testimone alla nascita di un suo figlio; se il D. a sua volta presenzierà - dopo la morte di Michelangelo - all'inventario delle cose esistenti nella sua abitazione; se, sempre su incarico di Leonardo, potrà nel 1566 approntare un progetto (non eseguito) per la sepoltura di Paolo IV, fatto di "marmo e metalli", prevedendo l'utilizzazione di una scultura incompiuta di Michelangelo.
Per onorare la memoria dell'amato maestro, non avendo potuto operare per la sua tomba, iniziò a realizzare nel 1565 un grande tabernacolo di bronzo, previsto, nella stesura completa, dell'altezza di circa quattro metri: quello che ora è a Capodimonte nella collezione Farnese, già commissionato da Pio IV a Michelangelo per la chiesa di S. Maria degli Angeli (Vasari). Gettato dal D. solo in parte nel 1565, a causa del notevole costo della fusione, fu da lui realizzato dopo il 1568, grazie all'aiuto finanziario di M. A. Ortensio ed in società con I. Rocchetto, pittore.
L'attività del D. nei restanti anni del settimo decennio è fin ora poco nota.
Si ha notizia di lavori pagati nell'aprile del 1568, fatti con funzione di "magistro" insieme con altri soci "lapicidi", nella "fabbricazione" della cappella nel quartiere degli "Svizzeri di S. Santità" e della dipendenza, fin dal 1566, dal "Rev. Monsignore di Pisa" siciliano, il card. Rebiba (Carte michelangiolesche... [Daelli, 1865], p. 62). Quasi sicuramente fu coinvolto nella costruzione del convento dei certosini, adiacente alla chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma, su una colonna del cui cortile compare la data 1565.
Nell'ottavo decennio del secolo il D. realizzò alcune delle sue opere più significative e innovative. Col monumento funebre ad Elena Savelli in S. Giovanni in Laterano (ora spostato nella prima navata di sinistra) elaborato nell'autunno del 1570 (cfr. Grisebach, 1936), architettura arricchita da notevoli inserti scultorei tutti in bronzo fusi dal fratello Ludovico (tre bassorilievi circolari, un angelo e la statua della Savelli) - il D. sviluppò a fondo quel metodo formativo a "compenetrazione", di più figure architettoniche nello stesso corpo, che era stato uno degli aspetti principali della lezione michelangiolesca: "che quando egli non havesse fatto altro in sua vita, questa opera sola il faceva immortale" (Baglione, 1649, p. 55).
Il trasferimento giovanile a Roma non aveva interrotto i contatti con la nativa Sicilia; infatti, nel 1571 partecipò al concorso a Messina per il progetto di un monumento alla vittoria di Lepanto: opera non eseguita per l'eccessivo costo e sostituita da una di A. Calamech (Basile, 1942). Si è anche ipotizzato un ritorno a Messina nel 1585 (La Corte Cailler).
Dopo la tomba Savelli, tra il 1573 e il 1574 il D. costruì la porta S. Giovanni, accesso a Roma dal nuovo tracciato della via Campana concluso da Gregorio XIII, dopo che già Pio IV aveva maturato l'idea di questo nuovo ingresso alla città.
L'opera rappresenta il capolavoro di questa prima fase artistica, quella a più diretto contatto con il ricordo di Michelangelo: tesa allo sviluppo creativo del tema formativo della "compenetrazione". Qui, infatti, due figure architettoniche sono fuse l'una nell'altra: quella dell'arco a figurazione bugnata, e quella dell'ordinanza architettonica chiusa in alto da attico.
Tra il 1572 e il 1574, in parallelo quasi col lavoro per porta S. Giovanni, il D. costruì per Matteo Catalani, il fedele discepolo dello zio Antonio, la cappella del Ss. Sacramento in S. Maria degli Angeli (Benedetti, 1987, pp. 245-60).
È opera quanto mai interessante sia per la particolare eterodossa unione e compenetrazione tra piccole pitture del ciclo iconografico di Cristo e le severe paraste dell'ordine architettonico, sia per il violento risalto espressivo conferito all'architettura dall'elevata elementarizzazione cubizzante, svolta "riducendo" a poche modulazioni le sequenze canoniche dell'ordine architettonico.
Ancora negli stessi anni, oltre che progettare e fondere - insieme con il fratello Lodovico - i raggi dello stemma dei gesuiti sul portale del Gesù di Roma, costruì altre due significative architetture: la chiesa di S. Maria in Trivio, consacrata nel 1575, e, tra il 1573 e il 1577, la copertura cupoliforme della chiesa di S. Maria di Loreto al Foro Traiano.
S. Maria in Trivio fu eleborata per conto dei crociferi, a cui Pio IV (Martinelli, 1653) aveva concesso - attorno al 1560 - il complesso preesistente, nel quale era uno xenodochio costruito da Belisario. L'organismo, comprendente la chiesa e il convento, si sviluppa intorno a un cortile interno; il convento è "diviso" dalla chiesa da un canale ottico che, "trapassando" il cortile e sottopassando il convento con un arco ribassato, unisce in colpo d'occhio ingresso e originario giardino posto al di là dell'edificio. Il lavoro non raggiunge un livello formale unitario, indugiando nel trapasso tra il calligrafismo di alcune soluzioni formali della facciata (portale, finestre basse), in cui ritornano modi decorativi delle prime opere, e innovative soluzioni sia nel telaio generale sia nello sviluppo di alcune parti ottenute secondo il metodo della "compenetrazione" per intreccio di più figure.
La cupola di S. Maria di Loreto costituisce uno dei più alti raggiungimenti del D. di questo decennio. Il sistema cupolare, chiusura ottagona del preesistente dado basamentale, era stato iniziato da Bramante (Benedetti, 1968) e portato avanti da Antonio da Sangallo il Giovane; pur essendo una cosciente operazione di ricreazione e sviluppo dei principali temi michelangioleschi esposti nella cupola di S. Pietro, esso acquista qui una decisa caratterizzazione originale. Questo, sia nella manomissione proporzionale delle forme della cupola e delle cappe con le finestre che ne "distruggono" le brevi superfici, sia nell'esplosiva invenzione della lanterna ottenuta per sovrapposizione di tre organismi, sia nelle violente definizioni cubizzanti e anticanoniche delle sue principali articolazioni architettoniche. La forte innovazione espressiva tocca l'apice nel piccolo campanile, posto lateralmente alla cupola, nel quale, per esempio, gli speroni diagonali con cui è incardinata la canna del campanile, di chiaro tono prebarocco, anticipano le proposte borrominiane.
In parallelo con lo sviluppo delle ultime opere citate, altre minori costellano l'ottavo decennio: il progetto di un grande tabernacolo per Filippo II (Benedetti, 1973, pp. 468-71), il recinto della Colonna Traiana (ibid., pp. 472-74), la partecipazione alla definizione del muro di cinta degli Horti Farnesiani sul Palatino (ibid., pp. 478-82) e la probabile sistemazione cinquecentesca del giardino.
La vicenda del tabernacolo offerto a Filippo II per l'Escuriale si lega in qualche modo a quella del tabernacolo Farnese, iniziato nel 1565 e terminato nel 1570. Dal 1573 al 1578 si svolsero trattative fra il D. insieme al suo finanziatore con agenti spagnoli di Filippo II per un tabernacolo da destinare al monastero di S. Lorenzo all'Escuriale: trattative poi non concluse. La descrizione (Benedetti, 1973) dell'opera, in parte fusa nel 1577, ce lo mostra caratterizzato da sviluppi in grande di alcune idee presenti nel tabernacolo Farnese. Le dimensioni - cinquanta palmi di cui venti per un piedistallo in marmo e trenta per la teca di metallo -, la concezione generale - non custodia chiusa ma grande ostensorio atto a mostrare dall'interno il Ss. Sacramento -, le parti che lo componevano, l'apparato scultoreo che lo decorava, ne fanno un'opera diversa dalla prima.
La realizzazione di un recinto per la Colonna Traiana a Roma (ora distrutto) iniziò nel 1575 e fu terminata nel 1577 (fin dal 1558 Michelangelo si era interessato al problema preparando un disegno); il documento di pagamento nell'Archivio Capitolino (Benedetti, 1973, pp. 472-74) riferisce anche di altre prestazioni minori fatte dal D. per il popolo romano, tra il 1576 e il 1583.
L'entità dei lavori attribuibili al D. negli Horti Farnesiani, svolti qualche tempo prima del 1577 e ora manomessi, si può individuare nella definizione della parte alta del muro di cinta con le finestre aperte su Campo Vaccino e nella parte superiore del portale di ingresso. Esistono poi fondati motivi per un'ipotesi di loro estensione, che comprenderebbe anche la strutturazione generale del complesso cinquecentesco: atrio semicircolare, scalinata, ninfeo superiore.
Alcuni documenti (Benedetti, 1973, pp. 516-18) segnalano il carattere non conformista del D.: nel 1574 concluse una lite con Paolo de Gradis, a cui aveva dato un pugno in faccia; nel 1577 fu espulso dalla Confraternita dei fornari, di cui era l'architetto di fiducia, per averne "parlato troppo male"; tra il 1577 e il 1578 entrò al servizio di Paolo Giordano Orsini, uno dei più violenti tra i nobili romani del XVI secolo.
I rapporti del D. con Paolo Giordano Orsini, capo indiscusso della ramificata famiglia, fanno intravvedere suoi possibili interventi in varie località appartenenti agli Orsini.
Si è fatta l'ipotesi di una sua presenza a Bomarzo, in alcune sistemazioni della villa dei mostri e nel palazzo (M. Praz, 1953); a Sorano, nel giardino adiacente il castello cinquecentesco; a Pitigliano, nella ristemazione del giardino a Poggio Strozzoni.
In particolare questi due ultimi interventi, consistenti in sistemazioni a giardino desunte dalle condizioni naturali delle rocce, con scene e figure ricavate direttamente dalle pietre affioranti dal terreno, presentano notevoli affinità con quel "giardino segreto" iniziato nel 1582 a Bracciano, accanto al castello Orsini, per Paolo Giordano, comprendente recinti, sculture, balconate sul lago (Benedetti, 1970). I lavori svolti nel ducato di Bracciano, oltre al "giardino segreto" (1582-85), comprendono anche la trasformazione del presbiterio nella chiesa di S. Giovanni Battista a Campagnano (1580-82) con il soffitto, ligneo, ricco di sculture, e con gli stalli del coro; oltre a due portoni d'ingresso al castello di Bracciano e altri interventi minori in altre località (Benedetti, 1970).
Negli stessi anni, dopo un viaggio a Innsbruck (1582), chiamato dall'arciduca del Tirolo Ferdinando II per la realizzazione della statua di bronzo dell'imperatore Massimiliano nella tomba nella Hofkirche (Pollak, 1914), della cui fusione s'interessò il fratello Lodovico tra il 1583 e il 1584, il D. sistemò a Roma la chiesa non più esistente di S. Maria Imperatrice (portale e interno 1582) e progettò il palazzo del card. L. Corner a Fontana di Trevi (1582).
Quest'ultimo lavoro, di prevalente ristrutturazione e ampliamento su edifici preesistenti, dopo le trasformazioni del XVII e del XIX secolo mantiene un preciso interesse soprattutto nella facciata, notevole per i temi formali che annuncia: quali gli ordini terminali, quasi privi di articolazioni orizzontali nel passaggio tra l'ordine toscano e l'ordine ionico, le finestre coordinate in modo nuovo rispetto alla soluzione sangallesca, con legami diretti tali da farne un sistema unitario verticale, il cornicione con il violento susseguirsi di mensole triplici.
Ma l'opera che più di tutte caratterizza la creatività del D. nel nono decennio del XVI secolo è l'ideazione del giardino grande nella villa Farnese di Caprarola. Realizzata tra il 1584 e il 1586, essa esprime a fondo le qualità creative del D., conseguendo un'opera unica nel panorama del tardo Cinquecento italiano: per la libertà dai canoni e dalle consuetudini formali postvignolesche del tempo e per l'autonomia anche dalle ricerche del filone manierista.
La violenta espressività volumetrica cubizzante dell'ordine nel ripiano a doppio semicircolo, già utilizzata in porta S. Giovanni a Roma, arricchita dalle ulteriori sintesi elementarizzanti emerse nelle opere successive, arriva a configurare un vero e proprio nuovo linguaggio fuori dalle regole degli ordini architettonici, teso all'espressione di una spiritualità che celebra la ricchezza del mondo creato, valorizzato nella sua molteplicità di materia, terra, grotta, pietra, stalattite, fontana, acqua, cascata, luce.
L'opera è costituita da un sistema prospettico inciso nella collina, immerso nel bosco, al di sopra della villa vignolesca, e chiuso in alto da una palazzina con logge; esso è articolato in tre ripiani ricchi di fontane, legati da un canalone affondato nella terra e da una doppia scalinata semicircolare, avvolta da violente pareti animate da maschere e statue.
Sempre a Caprarola (1586), il D. lavorò alla "scala ovata avanti il Palazzo", ristrutturando il prospetto delle attuali cantine della villa Farnese con un ordine bugnato a doppio "dente di sega"; quindi operò nella cittadina, progettando nel 1586 il palazzo Restituti.
Nel tempo della sua partecipazione al concorso per il trasporto dell'obelisco vaticano (1585), in cui, pur avendo fatto l'offerta meno costosa (7.000 scudi), gli fu preferito l'Ammannati e poi Domenico Fontana, su incarico del card. Alessandro de' Medici, divenuto dopo la morte di Paolo Giordano Orsini (1585) tutore del giovane figli o Virginio, ristrutturò la chiesa romana dei Ss. Quirico e Giulitta.
Qui elaborò un'interessante soluzione per la facciata posteriore e rovesciò altresì l'orientamento dell'aula, creando due ingressi su via dei Pantani a fianco della vecchia abside poligonale: la quale veniva inserita in un complesso sistema di ornamenti pittorici.
Chiamato dallo stesso card. Alessandro de' Medici, il D. operò nella villa Rivaldi, realizzandovi un nuovo giardino, con recinti, fontane, portali, inserendo in alcune parti del palazzo (lato sinistro del cortile, testata del palazzo, ecc.) decorazioni varie e sistemandovi il criptoportico antico esistente: opere ora in pessimo stato o in parte scomparse a causa dei lavori di scavo archeologico di via dei Fori Imperiali.
Nel 1586 portò a termine la sistemazione della villa Mattei al Celio, chiamato da Ciriaco Mattei, che dal 1581 aveva iniziato a sistemare l'originaria vigna; anche questa opera per buona parte è ora perduta a causa delle trasformazioni del complesso.
Si tratta di un intervento di grande importanza per le molteplici invenzioni profuse nella palazzina e nella loggia di Sisto, entrambe a semicolonne doriche, con nicchie e statue; per la compresenza di spazi a verde, strutturati da viali ortogonali, e aree naturalistiche ricche di "molti animali di pietra con un pastore", che ricordano le sistemazioni "naturali" di Bracciano, Pitigliano e Bomarzo; per la particolare invenzione "a intreccio spaziale" delle due uccelliere, ciascuna delle quali era sottopassata da una rampa di scale leganti la parte bassa del giardino con la grande terrazza di sostruzione, entro cui erano inserite la palazzina e il recinto semicircolare a "teatro".
Sorte non migliore toccherà alle invenzioni del D. per la villa Strozzi a Monte Mario, nei pressi dell'attuale piazzale Clodio a Roma; del giardino, un tempo esistente e delle altre sue opere nell'attuale secondo casale Strozzi poco resta. Riconoscibile per il timbro formale del D., nonostante il pessimo stato in cui versa, è la fontana addossata alla parete di fondo nel porticato del piano terra.
Nel 1586, ancora per Ciriaco Mattei, progettava, e nel 1588 portava a conclusione, la cappella Mattei in S. Maria in Aracoeli a Roma, ora trasformata in vari punti: nei pennacchi, nel finestrone.
Ritorna in questa composizione un'eco tenue della struttura formale, a riquadri inseriti nelle stesure architettoniche, della cappella del Salvatore in S. Maria degli Angeli, ma senza le particolari aggressività e sinteticità là dominanti; qui i riquadri determinano pacate stesure di stucchi bianchi con temi araldici e decorativi: va segnalata per il particolare timbro la decorazione della cupola fatta da cassettoni a losanghe restringentesi verso l'alto.
L'avvicinarsi della fine del nono decennio sembra segnare un rarefarsi delle opere note del D., numerose invece tra l'82 e l'86: forse in concomitanza con l'inizio dei rapporti con Messina. Nell'88 veniva risarcito per la demolizione della propria casa (Benedetti, 1973), vicino alla Colonna Traiana, distrutta dai lavori viari sistini. A questi ultimi anni di permanenza romana può essere riferita l'intensa invenzione, realizzata tra il 1590 e il 1592, del giardino pensile dei Piceni, originaria proprietà di Corradino Orsini, figlio di Vicino Orsini, signore di Bomarzo e amico di Virginio, nuovo capo della casata. Attribuzione che può acquistare maggior fondamento dal ritrovamento di un documento (Benedetti, 1987) che testimonia il D. ancora nel 1592 operoso a Campagnano al servizio di Virginio Orsini.
Con il 1592 si ha il ritorno definitivo del D. in Sicilia, a Messina, come "ingignere" capo della città, chiamatovi a seguito della morte del Calamech (Benedetti, 1973). A Messina, già anziano, portò a compimento una serie notevole di opere, molte delle quali distrutte dai terremoti.
Costruì la tribuna della nuova chiesa di S. Giovanni di Malta, dopo che C. Camilliani nel 1591 aveva dato inizio alla cappella, definendone l'intensa invenzione monumentale. Elaborò il prospetto a mare del palazzo senatorio, ora perduto, nel porto di Messina. Nel duomo di Messina costruì le cappelle del Ss. Sacramento, ancora esistente ma con inserti successivi, e di S. Placido, ampiamente ricostruita, e lavorò anche alla cappella del Cristo Risorto, ora perduta.
La cappella del Ss. Sacramento, dove affioravano echi della perduta ideazione per il tabernacolo di Filippo II, purtroppo trasformati accademicamente nella teca centrale da G. Durante, testimonia ancora, con la particolare invenzione dell'apparato architettonico-scultoreo delle pareti, animato con foga intensa da una folla di personaggi, la libertà e la ricchezza creativa di uno tra gli autori più singolari del tardo Cinquecento italiano; figura interessante anche perché costituisce più di un ponte verso l'imminente stagione barocca.
Il D. morì a Cefalù il 9 luglio 1604.
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