DEL PO, Giacomo
Figlio del pittore e incisore Pietro e di Porsia Compagna, nacque a Roma il 29 dicembre 1652. Probabilmente si formò nello studio del padre (il De Dominici [1743] in maniera del tutto non plausibile lo dice allievo del Poussin) e nel 1674 fu eletto membro dell'Accademia di S. Luca dove, negli anni seguenti, ricoprì le funzioni di "professore di notomia" e di "cerimoniere". Nel 1683 la famiglia lasciò Roma per Napoli probabilmente al seguito del marchese del Carpio, ambasciatore spagnolo presso la S. Sede che, in quell'anno, fu nominato vicere spagnolo del Regno.
Dei quadri del D. citati dalle fonti antiche in due chiese romane rimane soltanto la Madonna col Bambino, s. Agostino e s. Monica, già in S. Marta al Collegio Romano e oggi nel convento dei Ss. Quattro Coronati (cfr. Contardi-Romano, 1987)Sempre al periodo romano appartiene la tela con il Riposo durante la fuga in Egitto, copia da F. Fiori (detto il Barocci), conservata al Museo civico di Pistoia, databile al 1670-75, che mostra affinità con la pittura del padre (cfr. Museo civico di Pistoia, 1982). Anche le altre sue pitture più antiche esistenti, il Riposo durante la fuga in Egitto (1685) e il suo pendant, La Vergine con il Bambino e s. Gaetano (Sorrento, S. Antonino), rivelano lo stile classicheggiante che ci si poteva aspettare dal figlio di Pietro Del Po.
Entrambi i quadri furono ridotti e, lungo i margini, mostrano tracce di figure in piedi dipinte a monocromo, una indicazione del tipo di decorazione che il D. avrebbe reso popolare nei decenni seguenti nei suoi affreschi di pareti e di soffitti, combinazione di elementi naturalisticamente colorati e di finti stucchi che costituiscono un importante contributo allo svolgimento della pittura del Settecento a Napoli.
Poco dopo aver completato queste fredde pitture di gusto romano, il D. cominciò a subire l'influsso di L. Giordano, già evidente nella Peste di Sorrento (1687) per la stessa chiesa sorrentina. Il resto del suo lavoro prima dell'inizio del secolo non è ben documentato tranne per ciò che riguarda le incisioni ma, nei pochi quadri sicuramente databili negli anni Novanta come l'Annunciazione e la Visitazione in S. Martino degli Scalzi a Napoli, è ancora più evidente il suo adattamento alle tradizioni napoletane. Il suo uso di un sottofondo scuro produce tonalità profonde e l'espressione emotiva delle figure rasenta spesso il sentimentalismo specialmente nelle composizioni a figura singola come il S. Casimiro (Napoli, Gerolamini) e il S. Gennaro (Ibid., Capodimonte).
Dalla prima decade del XVIII secolo il D. era diventato, con F. Solimena e P. De Matteis, uno dei tre pittori dominanti sulla scena napoletana.
In contrapposizione al potente chiaroscuro del Solimena e al fiacco classicismo del De Matteis, il D. offriva ora un'alternativa anticlassica, attraverso uno stile affine alle opere genovesi di G. De Ferrari, colori densi, brillanti, effetti di luce, vaste e movimentate composizioni.
Sebbene oggi lo stile maturo del D. sia meglio conosciuto attraverso le sue pale d'altare nelle chiese napoletane e i suoi molti quadri da cavalletto, la sua fama nel Settecento si basò soprattutto sul successo dei suoi affreschi di soffitti nei palazzi napoletani. Il De Dominici (1743) ed altri autori riferirono di affreschi da lui dipinti tra gli altri nei palazzi Avellino, Cellamare, Genzano, Maddaloni e Montemileto, ma le sole opere di questo genere conservate sono tre soffitti affrescati nel palazzo Positano Mattei.
In questi lavori, conosciuti attraverso descrizioni letterarie e occasionalmente grazie a bozzetti superstiti (Napoli, Floridiana; Digione, Musée des Beaux-Arts), egli intrecciò riccamente figure monocrome con altre dipinte con colori naturalistici (De Dominici, 1743, p. 502). Queste opere furono la principale fonte di ispirazione per affreschi profani a Napoli durante tutto il secolo.
Tali effetti si possono vedere in diversi affreschi del D. in chiese napoletane soprattutto in S. Teresa agli Studi (1708) e S. Gregorio Armeno (sopra il portale di accesso al convento, c. 1715-19). In questi, come nei ritratti commemorativi di G. D. e G. Milano, nella sacrestia di S.Domenico Maggiore (1711-12), angeli correggeschi e virtù allegoriche imitanti sculture di marmo e di bronzo sono combinati con i principali elementi figurativi in modo tale da creare una complessa struttura pittorica.Altrettanto importante quanto le tele e gli affreschi nelle chiese napoletane fu la sua produzione di piccoli quadri di soggetto profano. Caratterizzati, dopo il 1710 circa, da una crescente luminosità ed una tendenza verso il rococò o barocchetto, questi comprendono opere mitologiche e un gran numero di quadri ispirati da fonti letterarie. Due scene del Paradiso perduto (New York, Paul Ganz; cfr. Vitzthum, 1970) costituiscono le più antiche illustrazioni del poema epico di Milton in Italia, mentre Quos Ego (New York, mercato antiquario; inedito) forma parte di una serie di dipinti su rame che illustrano scene dell'Eneide. Di questa serie è anche una Camilla in battaglia (New York, Paul Ganz; cfr. Rabiner, 1978) che trasferisce in campo profano la composizione del Trionfo di s.Giovanni della Croce in S. Teresa agli Studi, rivelando l'indifferenza del pittore per i confini fra l'iconografia sacra e profana.
Nelle pitture dell'ultima decade prima della morte, l'opera del D. fluttua tra una rinascita di forme più fredde e più classiche e uno stile estremamente fluido, testimoniato dalle sue tre tele e dall'affresco nella volta della cappella di S.Caterina (consacrata nel 1714) in S.Caterina a Formiello a Napoli.
Il D. adottò brillanti effetti coloristici nella pala d'altare e nei laterali e per la volta si servì essenzialmente delle invenzioni illusionistiche adoperate a Roma dal Baciccio.
Il suo S. Domenico (1717) nella stessa chiesa, per contrasto, è caratterizzato da una composizione più calma e frontale e da una tecnica più lineare. Una simile maniera pittorica è evidente nella parte centrale della Madonna del Rosario (c. 1715 -20; S. Pietro Martire a Napoli) sebbene le quindici Storie su rame che circondano la tela siano fra le sue più fluide e brillanti creazioni. Una simile scioltezza caratterizza l'ultima grande impresa della sua vita, le tre grandi tele dipinte nel 1722-23 circa, destinate ai soffitti del Belvedere superiore a Vienna, appena fatto costruire dal principe Eugenio di Savola.
Con i bozzetti relativi, conservati nel Museo Colloredo Mannsfeld ad Opočno (Cecoslovacchia) e nella Residenzgalerie di Salisburgo, questi ultimi lavori (uno dei quali fu distrutto da un incendio nel 1950) avrebbero avuto un profondo influsso sull'opera dei pittori dell'Europa centrale nella rimanente parte del secolo.
Morì a Napoli nel 1726.
In Napoli l'influsso dei D. fu forse più limitato. Ma, mentre i suoi allievi diretti (come G. Martoriello e G. Tomaioli) erano solo modestamente dotati e non ebbero l'abilità di cogliere il suo stile di pittura, artisti come D. Vaccaro e P. Bardellino furono i veri debitori di Giacomo Del Po.
Pietro, figlio primogenito del D. e di Anna Riccio, nacque a Napoli l'8 ott. 1692 (Prota Giurleo, 1955, p. 260) nella parrocchia di S. Maria Ognibene.
Le notizie che si hanno sulla vita e sull'attività di pittore e impresario teatrale di Pietro sono limitatissime. Sposò nel 1730Barbara Tango e in quello stesso anno assunse la gestione del teatro di S.Bartolomeo che era già stato controllato dal fratellastro del padre, Andrea, e dal figlio di lui Aurelio. Gli fu socio, in questa impresa, Alessandro Galdieri, figlio di Nicola, già socio di Aurelio Del Po (Prota Giurleo, 1953, p. 74), ma Pietro dilapidò il patrimonio ereditato dal padre (12.000scudi secondo il De Dominici, p. 308), e la dote della moglie.
Esercitò certamente anche l'attività di pittore come prova un documento in cui è pagato per aver ritoccato una pittura nella sacrestia della cappella dei Banco della Pietà e per aver dipinto due puttini di sua invenzione (Rizzo, 1979).
Morì il 24 luglio 1742 a Napoli (Prota Giurleo, 1955, p. 262).
Francesco Carlo Giovanni Battista, quintogenito del D. e Anna Riccio, nacque a Napoli l'11 sett. 1699 e fu battezzato nella parrocchia di S. Liborio (Salazar, 1897, p. 130). Pochissime sono le notizie di questo pittore e funzionario dello Stato borbonico; nel 1730fu testimone al matrimonio del fratello Pietro, dichiarando di essere governatore della Terra di Itri (Prota Giurleo, 1955, p. 262). Il De Dominici (1742-45, p. 309) lodice laureato in legge ma costretto a fare il pittore, con scarsa abilità e fortuna, secondo la descrizione negativa del Giannone (1941, p. 177). Non si conosce la data della morte, ma al tempo del De Dominici era ancora vivo; lo storiografo afferma (p. 309) che ebbe un figlio molto abile nella pittura. Potrebbe essere Antonio, noto unicamente perché nel 1743fornì il modello per l'arazzo raffigurante il Fuoco (Minieri Riccio, 1879, p. 18), più tardi sostituito da quello del pittore G. Starace Franchis, utilizzato per la realizzazione dell'arazzo nel 1763. Intorno al 1769sembra inoltre aver collaborato agli elementi decorativi degli arazzi con storie di Don Chisciotte (Cosenza, 1902, p. 123).
M. B. Guerrieri Borsoi
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M. B. Guerrieri Borsoi-D. Rabiner