DELLA RATTA, Giacomo
Nacque nella prima metà del sec. XV da Antonello, signore della baronia di Formicola e fratello del conte di Caserta, e da Margherita Marzano, sorella del duca di Sessa. Fratello di Marco, di Giov. Antonio e di Caterina, compì studi giuridici e, abbracciata la carriera ecclesiastica, fece parte del clero della diocesi di Caiazzo. Cubiculario di Niccolò V, fu da questo nominato, il 3 apr. 1447, arcivescovo di Rossano. Governò questa diocesi fino al 13 ott. 1451, quando venne trasferito alla sede di Benevento. Quale presule di questa città, il 16 ag. 1454 concesse agli abitanti di Altavilla il giuspatronato della chiesa della Ss. Annunziata.
Ammesso che avesse raggiunto la sua sede arcivescovile, nell'aprile del 1455 egli la lasciò per andare ad assumere l'incarico di governatore di Perugia "cum. potestate legati de latere" (Arch. segr. Vat., Reg. Vat. 465, cc. 5r-6v). L'ultimo atto registrato nei libri della Tesoreria apostolica della città, nel quale il D. figuri ancora come governatore, è del 22 nov. 1456. Durante l'anno e mezzo in cui ricoprì tale carica si ebbero nella città alcuni avvenimenti di un certo rilievo: nell'aprile del 1455, l'esecuzione nel campo di Battaglia di una strega condannata al rogo; nell'agosto, un tumulto di lanaioli, che chiedevano che fosse proibita l'importazione di panni da Fossombrone; e l'insorgere, nell'agosto dell'anno successivo, di disordini fomentati dai Della Cornia e dagli Oddi.
Salito al soglio pontificio Pio II, il D., insieme con il duca di Andria, Francesco Del Balzo Orsini, e con Cola Antonio Di Capua, presenziò alla cerimonia dell'incoronaziòne del nuovo papa il 3 sett. 1458 in rappresentanza di Ferdinando d'Aragona.
Questi sperava che il nuovo pontefice assumesse un atteggiamento a lui favorevole riguardo al problema della successione al trono di Napoli. Il sovrano aragonese, in una lettera del 28 agosto al duca di Andria, invitava gli ambasciatori a fare al pontefice "tucto quello honore che sarà possibile" e dava loro istruzioni perché informassero il papa della sua intenzione di "voler essere a quello e santa Chiexia obediente figliolo".
In effetti Pio II tenne verso Ferdinando tutt'altro atteggiamento che il suo predecessore, e gli concesse nel novembre del 1458 l'investitura del Regno. Il bastardo di Alfonso dovette però impegnarsi, fra l'altro, a restituire alla Chiesa la città di Benevento, di cui il D. era arcivescovo. Alla diocesi di Benevento fu unita, l'11 maggio 1459, quella di Lesina, rimasta vacante dopo la morte del vescovo Niccolò Tartagli.
Non si sa se il D. fosse presente quando il vescovo di Teano, Niccolò Forteguerri, ricevette a nome del papa il ligio omaggio dalla città di Benevento, restituita al pontefice nell'aprile 1459. Il D. fu di nuovo utilizzato dal re Ferdinando I di Napoli, insieme al duca di Andria, come suo rappresentante alla Dieta di Mantova. I due oratori arrivarono il 16 ag. 1459 nella città dei Gonzaga, dove il papa era giunto già dal 27 maggio. Le istruzioni, che erano state date loro e che recano la data del 9 ottobre (altre non pervenuteci sarebbero state date loro il 19 giugno), illustrano la difficile situazione in cui si trovava il sovrano, che doveva fronteggiare l'opposizione armata dei baroni ribelli, che stavano per ottenere l'appoggio e la guida di Giovanni d'Angiò. Ferdinando manifesta l'estrema gratitudine che nutre nei confronti del papa, da cui ha ricevuto "tanti benefici, honori et gracie", ed esprime la sua volontà di porgergli aiuto nell'impresa contro il Turco; finisce tuttavia col chiedere aiuti per sé, data la situazione di precarietà in cui si trovava il Regno. Del resto sia il pontefice sia il sovrano sapevano ambedue di non poter contare l'uno sull'aiuto dell'altro. Era stata infatti fornita a Ferdinando da parte del vicetesoriere apostolico, a nome del papa, una dichiarazione segreta, secondo la quale ogni decisione che i due oratori avessero pubblicamente preso durante la Dieta, doveva essere confermata dal re entro due mesi. Anche perché il loro impegno era, dunque, quasi soltanto formale e non sostanziale, il D. e il duca di Andria furono fra i firmatari, il 1° ottobre, dell'Instrumentum in causa defensionis fidei,che invece non fu sottoscritto dagli oratori di Firenze e di Venezia. Rimasto dai primi di novembre unico rappresentante del sovrano aragonese a Mantova, il D. si trattenne probabilmente nella città fino alla chiusura della Dieta il 14 genn. 1460.
Fino a questo momento niente faceva supporre che il D. non si sarebbe mantenuto fedele al re Ferdinando I; eppure il presule, che doveva essere stato convinto forse da emissari di Renato d'Angiò e di Carlo VII - come sostiene il Pontano - e forse a Mantova stessa - come suggerisce il Borgia -, una volta tornato a Benevento, prese a percorrere la città in armi notte e giorno, proprio quando il sovrano era stato costretto a scendere in lotta aperta contro i baroni del Regno. Il D. nutriva la segreta intenzione di consegnarla ai fautori degli Angiò, mentre in palese sosteneva di volerla conservare in potere della Chiesa. Fu allora - sostiene lo Zazo - e non nel 1476, come afferma il Borgia, che la città si divise in due fazioni; l'una, filoangioina, la "parte di basso" della città, agglomerata intorno all'arcivescovato; e Taltra, quella "di sopra", aragonese. Episodio saliente delle lotte intestine fu l'uccisione del castellano, che si recava a Roma per mettere al corrente il papa della situazione nella città. Ben presto il D. si rese conto che i suoi disegni filoangioini erano stati penetrati e, abbandonata la sua diocesi, si rifugiò nei domini controllati dai fratelli. In seguito fu visto negli accampamenti francesi "quasi privatus homo et apostata sui ordinis, dimisso episcopali habitu", come lo dipinge Pio II nei Commeniarii. IlD. aveva dunque abbandonato la Chiesa, nel seno della quale era sin allora vissuto, e la Chiesa a sua volta lo abbandonò: fu infatti rimosso dalla sede arcivescovile di Benevento e deposto in quanto - come scrive Pio II - traditore della Sede apostolica, colpevole di aver venduto benefici ecclesiastici e ordini sacri e di aver battuto moneta falsa, il 26 febbr. 1461 (Arch. seg. Vat., Reg. Vat. 484, cc. 266r-267r). Fu sostituito con Alessio Cesari di Siena.
Si ignora la data della morte del D.: le fonti non conservano alcuna notizia a lui relativa successiva alla sua deposizione.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Schedario Garampi, Vescovi, sub voce Benevento; Pio II, Commentarii,Francofurti 1614, pp. 133, 185; G. G. Pontano, De Bello Neapolitano, Napoli 1769, p. 11; L. Fiumi, Inventari e spoglio dei registri della Tesoreria apost. di Perugia e Umbria,Perugia 1901, pp. 67 s.; A. A. Messer, Le codice aragonaise, Paris 1912, pp. 70, 76, 191, 311, 335 s., 369; Cronaca di anonimo veronese,a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, p. 115; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie ... imparentate colla casa Della Marra,Napoli 1641, pp. 310 s.; P. Sarnelli, Mem. cronologiche de' vescovi ed arcivescovi... di Benevento...,Napoli 1691, pp. 137 s.; S. Borgia, Memorie istoriche della pont. città di Benevento..., III,Roma 1769, p. 396; L. De Rosis, Cenno stor. della città di Rossano...,Napoli 1838, p. 134; G. B. Picotti, La Dieta di Mantova,Venezia 1912, pp. 147, 160, 192, 200, 234, 416, 442; L. Bonazzi, Storia di Perugia...,I, Città di Castello 1959, p. 532; A. Zazo, Benevento e le sue lotte civili,in Samnium, XXXIX(1966), pp. 158 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, II,Monasterii 1901,pp. 116, 176, 195, 247.