GIACOMO DI CAPUA
G., nato con ogni probabilità a Capua intorno agli anni Ottanta del XII sec., secondo uno strumento notarile del 1241, oggi perduto ma citato da Michele Monaco (1630), era figlio di "Daniel Amalphitanus".
La sua formazione dovette essere prevalentemente giuridica, dal momento che soprattutto per tale tipo di competenze fu attivo presso la corte imperiale, dove trascorse gran parte della vita. Del resto, anche buona parte della sua carriera ecclesiastica sembra essere scaturita proprio dai suoi stretti rapporti con Federico II, che già nel 1221 lo definì "nutritus et fidelis noster", e, l'anno successivo, anche familiaris: titolo, di cui G., a partire dal marzo 1224, si fregiò con regolarità.
G. venne elevato alla dignità di vescovo di Patti non prima della fine del 1219, dal momento che nel settembre di tale anno quella sede episcopale risulta ancora vacante, anche se la sua prima menzione come titolare di quel seggio si ha solo il 25 ottobre 1221, quando lo troviamo in qualità di messo imperiale presso papa Onorio III. Dunque, anche da alto rappresentante della gerarchia ecclesiastica, G. continuò a prestare regolarmente i propri servigi all'imperatore: nel 1222 fu incaricato, insieme con il Gran Maestro dell'Ordine teutonico Ermanno di Salza, di svolgere una missione diplomatica presso la Curia romana; a Catania, nel febbraio del 1224, fu più volte testimone dell'imperatore per privilegi rilasciati in favore dell'Ordine teutonico. L'anno dopo, lo Svevo ricorse a G. addirittura come suo procuratore nel matrimonio che gli avrebbe portato in dote la corona di Gerusalemme. Nell'agosto del 1225, infatti, accompagnato da una flotta di quattordici galee comandata dall'ammiraglio Enrico di Malta, G. si recò a S. Giovanni d'Acri, dove, nella chiesa di S. Croce, a nome dell'imperatore, pose l'anello nuziale al dito di Iolanda, figlia di Giovanni di Brienne ed erede del Regno di Gerusalemme. G. si trovava ancora in Terrasanta quando, il 25 settembre 1225, fu nominato arcivescovo di Capua da Onorio III, che intendeva, in tal modo, trovare una soluzione alle controversie che l'avevano contrapposto all'imperatore relativamente alla gestione delle cariche ecclesiastiche nel Regno. Federico II, tuttavia, offeso per i veti precedentemente opposti dal papa contro i suoi candidati e risentito per la sua mancata consultazione riguardo alla nuova nomina, rifiutò, in un primo momento, di ratificare la traslazione di G. da Patti a Capua. Così, dopo il suo rientro da Acri, G. tornò a reggere la sede vescovile siciliana, da cui mancava dal 1223. La controversia trovò soluzione solo quando Federico II, nell'ottobre del 1226, rinunciò ad opporre resistenza contro le nuove nomine ecclesiastiche, e, il 30 marzo 1227, papa Gregorio IX, appena eletto, portò a piena esecuzione la nomina.
Anche in qualità di arcivescovo di Capua G. proseguì la sua attività di collaborazione con il sovrano, malgrado su quest'ultimo, a partire dal settembre del 1227, gravasse il peso della scomunica. Prese parte, infatti, alla crociata del giugno 1228, che avrebbe portato alla conquista incruenta del S. Sepolcro. È difficile, però, dire se G. accompagnò Federico II fin dall'inizio della spedizione: infatti, da una notizia riportata dal più tardo cronista Bartolomeo di Neocastro, ma che potrebbe essere priva di fondamento, parrebbe che, durante la permanenza di Federico II in Terrasanta, G., insieme con l'arcivescovo di Palermo, Berardo, abbia tenuto il baliatum del neonato Corrado, figlio dell'imperatore. In ogni caso, il 18 marzo 1229, G. assistette, insieme con l'arcivescovo Berardo di Palermo, con il Gran Maestro dell'Ordine teutonico Ermanno di Salza e con altri nobili, alla cerimonia che vide Federico II fare il suo trionfale ingresso nel tempio del S. Sepolcro, acclamato quale miracoloso strumento della provvidenza divina.
Tornato dalla crociata, negli ultimi mesi del 1230 G. venne ancora una volta impiegato dall'imperatore come messo presso la Curia di papa Gregorio IX, e, pur non partecipando direttamente ai trattati di San Germano e Ceperano, l'arcivescovo di Capua dovette comunque svolgere un importante compito di mediazione tra l'imperatore e il papa, facendo in modo che si potesse giungere a un accordo sulle garanzie di pace.
Tra il maggio ed il luglio del 1231 la presenza di G. è attestata a Melfi presso la corte di Federico, dove funse da testimone alla conferma imperiale della successione al trono di Boemia e alla concessione di un beneficio all'arcivescovo di Brema. In quell'occasione egli prese anche parte alla stesura della raccolta di leggi che, poco dopo, venne emanata proprio a Melfi (v. Liber Constitutionum). Questa notizia può essere desunta da una lettera in cui Gregorio IX rimproverava G. come diretto responsabile della compilazione di quelle "constitutiones destitutivas salutis et institutivas enormium scandalorum". È difficile, tuttavia, stabilire in che misura G. abbia collaborato alla compilazione delle Constitutiones: non sappiamo, cioè, se egli si sia limitato a impreziosirne il dettato con infiorettature retoriche ‒ come sembrerebbe risultare dalle giustificazioni dell'arcivescovo riportate dal testo del rimprovero papale ‒ o se abbia curato anche la parte normativa relativa alla Chiesa e al clero del Regno. Certo è che G. vantava una riconosciuta abilità letteraria: l'estrema ricercatezza del suo stile prosastico può essere desunta dal commercio epistolare, piuttosto fitto, che egli ebbe con il logoteta e protonotario imperiale Pier della Vigna, tramandato in gran parte nel terzo libro dell'epistolario di quest'ultimo.
Nello stesso periodo in cui si andavano redigendo le Costituzioni melfitane G. svolse un ruolo non secondario anche nella grande riforma finanziaria che proprio allora si andava preparando e che avrebbe costituito il fondamento economico del nuovo stato svevo. In ogni caso, la presenza di G. presso l'itinerante corte dell'imperatore continua a essere attestata con una certa regolarità anche negli anni successivi. A partire dal 1235 e fino a tutto il 1239, insieme con l'arcivescovo di Palermo e, poi, con il vescovo di Ravello, svolse le mansioni di reggente del Regno in assenza di Federico II, impegnato prima oltralpe e poi in Italia settentrionale. Insomma, le sue competenze in materia giuridica, amministrativa e fiscale dovettero essere considerate preziose; e non solo da Federico II, ma anche da Onorio III e da Gregorio IX, che pure gli affidarono importanti incarichi ufficiali di mediazione.
A partire dal dicembre del 1239, alcuni mesi prima, quindi, che Federico tornasse in Italia meridionale, il ruolo di G. nell'amministrazione dello stato si fece meno impegnativo, a causa di una grave malattia che lo avrebbe portato alla quasi totale infermità e, infine, alla morte. Da allora la sua attività si svolse prevalentemente presso la sede arcivescovile di cui era titolare, pur mantenendo stretti i rapporti con l'imperatore, al quale lasciò molti dei suoi beni.
Dell'ottobre e del novembre 1242 sono gli ultimi documenti, emanati a Capua, che lo confermano ancora in vita. Da una comunicazione inviata da Federico II ai maestri razionali Tommaso da Brindisi e Procopio alla fine di marzo del 1243 (ma erroneamente datata all'anno precedente dal suo editore), si apprende che in quella data G. era già morto.
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