DOLFIN, Giacomo
Nacque a Venezia intorno al terzo decennio del sec. XIV dal patrizio Nicolò di Enrico (Rigo), appartenente al ramo di S. Canciano, poi S. Pantalon. Era probabilmente l'ultimogenito di quattro fratelli: Donato, Piero e Marco.
Scarsa è la documentazione riguardo alla sua biografia giovanile e frammentarie sono anche le notizie relative alle cariche ricoperte all'inizio della sua attività politica. Non tutte infatti sono riferibili a lui con certezza, data l'esistenza coeva di vari omonimi, fra cui Giacomo di Baldovino dai Ss. Apostoli (con il quale soprattutto viene confuso il D.), Giacomo di Giovanni il Grande, Giacomo di Delfino da S. Canciano, Giacomo di Raffaele da S. Canciano, Giacomo di Leonardo e Giacomo procuratore. Non tutti i Giacomo Dolfin che ricoprono cariche in questi anni - cariche di consigliere, signore di Notte, membro dei Cinque alla pace, sopraconsole, podestà a Castelfranco, provveditore alle Biade - si possono quindi identificare con il figlio di Nicolò; e neanche l'identità tra Giacomello Dolfin e il D., data per sicura in alcuni repertori, sembra probabile. Alla metà del secolo Giacomello Dolfin di Bertucci, abitante sempre a S. Pantalon, ricoprì le cariche di giudice del Forestier, patrono all'Arsenale, membro della Quarantia, visdomino del Mare, giudice del Mobile, ambasciatore alla Curia pontificia.
Maggiore sicurezza attributiva offrono i registri del Segretario alle Voci documentanti le nomine a Consigli, uffici e reggimenti, nei quali si associano due elementi che permettono l'identificazione: l'indicazione del sestiere di Dorsoduro in cui il D. abitava e l'attributo di "miles", in questa fonte attestato sin dal 1377. La presenza congiunta di questi dati permette di seguire meglio il D. nel suo cursus honorum.
Nel 1369 il D., ambasciatore al duca Leopoldo III d'Austria, trattò e ottenne la rinuncia alle ragioni austriache su Trieste e venne da lui nominato cavaliere. Leopoldo gli fece inoltre dono della croce bianca, simbolo da apporre sullo stemma (secondo alcune fonti il D. avrebbe testato a favore dei nipoti con l'obbligo per loro di assumere la croce nell'arma, ma nelle sue ultime volontà non v'è parola circa lo stemma; potrebbe trattarsi di una leggenda atta a motivare l'uso di quel simbolo da parte di discendenti indiretti). La nomina a cavaliere nel 1369 - anziché nel 1381 come talune fonti a stampa riportano - consente di attribuire al D., "miles", anziché a Giacomo di Baldovino che cavaliere non era affatto, alcune imprese per mare.
Dopo l'agosto 1369 la minaccia di guerra da parte dei duchi d'Austria spinse Venezia a predisporre un piano difensivo, e in questo contesto il D. fu nominato provveditore, insieme con Marco Morosini, di Roberto da S. Silvestro, per la difesa dei territori di Treviso e Ceneda. I due patrizi si recarono a Mestre, ove passarono in rassegna le truppe. Poi si portarono a Noale, Asolo, Castelfranco e Treviso, ripetendo la medesima operazione di concerto con i rettori delle podesterie al di qua e al di là del Piave. Venne infine aggiunto un terzo provveditore, Leonardo Contarini, per rafforzare la difesa di Treviso. Nello stesso anno il D. fece parte della delegazione di dodici patrizi inviata in Friuli dopo il fallimento delle trattative diplomatiche per Trieste condotte da Nicolò Falier il grande e Leonardo Dandolo cavaliere con gli ambasciatori austriaci.
Nel conflitto tra la Repubblica di Venezia e i Carraresi il D. venne nominato, insieme con Marco Morosini, provveditore a Treviso. Francesco da Carrara aveva sottratto a Venezia una torre nel distretto di Valmarino per impedire il passaggio da Valmarino a Cividale, e vi aveva posto a custodia il bandito Cortellazzo con altri sei uomini. La delicata questione dei confini tra Padova e Venezia, sia per i territori trevigiani sia per Chioggia, rimase aperta a lungo e richiese ancora l'intervento del D., che nel 1373 venne nuovamente mandato provveditore nel Trevigiano. Dopo la conclusione della pace con l'Ungheria (settembre 1373) egli fece stabilire i confini tra territorio padovano, trevigiano e veneziano in esecuzione del trattato di pace. Il D. e gli altri (Giovanni Trevisan, Pietro Gradenigo, Pietro Correr e Pietro Giustiniani) impiegarono tutto l'inverno 1373-74 per assolvere al loro compito e per elaborare l'atto di conclusiva conterminazione amministrativa dei territori. L'impegno diretto profuso nel sovrintendere alla delicata incombenza è testimoniato dalla pur tarda fonte a stampa del Verci: "così a Bassano disegnarono i confini piantandovi grossi sassi di macigno".
Nel giugno del 1375 il D. venne inviato come podestà a Trieste e in questo ruolo deliberò, insieme con gli altri pubblici rappresentanti veneziani, la costruzione di un fortilizio a mare e la difesa del medesimo da parte di 50 balestrieri. Qualche tempo dopo, probabilmente all'inizio del 1376, si determinarono nuove tensioni con l'Austria, che non intendeva restituire la chiusa di Quero e altri territori nel Trevigiano. Giunsero a Venezia notizie di preparativi di guerra, e perciò il D. venne inviato provveditore in Istria, insieme con Pantaleone Ghezzo e 150 cavalieri, per approntare la custodia di Parenzo e Pola. Il 15 maggio 1376 Leopoldo III d'Austria scese con 3.000 uomini per la chiusa di Quero nel Trevigiano, dove si fermò per più di un mese, mentre i Veneziani reagirono sequestrando le mercanzie austriache nel fontego dei Tedeschi, e cercarono di ingaggiare il condottiero inglese Giovanni Acuto.
Nel luglio 1377 il D. fu consigliere ducale, ma ancora nello stesso anno venne nuovamente incaricato - questa volta con Saraceno Dandolo - di organizzare le truppe a Treviso e nel territorio circostante, a Quero e a San Vittore, provvedendo anche a rifornire di cibo quelle zone. Il 4 marzo 1378 fu riconfermato provveditore a Treviso, con Giovanni di Fantino Contarini e Michele Steno. Sempre presente sui fronti bellici più delicati, pochi mesi più tardi risulta comandare una squadra di otto galee che, nelle intenzioni del doge Andrea Contarini, doveva riunirsi a Modone con la flotta comandata da Vettor Pisani, erroneamente ritenuta dalle parti di Capo d'Otranto, per risalire insieme velocemente il Golfo. Era esploso allora il grave conflitto con Genova per il possesso dell'isola di Tenedo, noto come la guerra di Chioggia.
Nel 1379, mentre i nemici premevano contro Chioggia, il D. stabilì insieme con altri nobili (Piero Mocenigo, Giovanni Barbarigo e Alvise Loredan) e di concerto con Taddeo Giustianian, che "in le 4 nave grosse si facesse un tavolato, il qual d'intorno fusse armato con pavesi, et le nave savornate et fornite di pietre da mano" per la difesa del Lido (Caroldo, Cronaca veneta, c. 409v). La preoccupazione per la bocca di porto di San Nicolò fu tra le più pressanti, e venne fatto tutto il possibile per renderla inespugnabile. Erano giorni in cui, per la difesa dello Stato molti si offrirono spontaneamente di collaborare senza percepire salario e forse anche il Dolfin. Ciò non dovette peraltro rappresentare un sacrificio troppo gravoso per lui che proprio in quest'anno risulta allibrato all'estimo di Venezia per 7.000 ducati, cifra che testimonia un patrimonio rispettabile. Nel luglio 1379 il D. venne eletto - dai Trenta del consiglio straordinario di guerra - sopracomito di una delle sei galee armate per la difesa di Venezia, insieme con Alvise Morosini, Guglielmo Querini, Andrea Baseggio, Remigio Soranzo e Marco Morosini. Nel corso della guerra furono affidati al D. ancora altri posti di comando di grande responsabilità: fu a capo delle galee con Taddeo Giustinian e provveditore sopra il Lido insieme con Giacomo Cavalli, Piero Mocenigo e Bertucci Contarini, quando la flotta genovese tentò invano di entrare nel porto di San Nicolò. Nel maggio 1380, in una situazione critica che richiedeva dedizione e impegno assoluti, il D. venne eletto consigliere ducale. Allora un consigliere e un savio dimoravano a turno in palazzo ducale, pronti a ricevere in qualsiasi momento chi veniva ad offrirsi di partecipare o contribuire alla guerra (il conflitto era destinato a concludersi con la sconfitta genovese nel giugno dello stesso anno). Nel 1381 il D. fece parte dell'ambasceria veneziana mandata a Treviso per congratularsi con Leopoldo III, il nuovo signore della città.
Tra il 1384 e il 1385 il D. fece parte del Consiglio dei rogati, carica riconfermatagli l'anno successivo, e fu eletto alla Quarantia nel 1387. In quello stesso periodo gli vennero affidati incarichi militari, politici e diplomatici. Nel medesimo anno infatti il D. venne eletto tra i cinque ambasciatori (con Leonardo Dandolo, Paolo Morosini, Marino Malipiero e Remigio Soranzo) mandati a Sigismondo di Lussemburgo per congratularsi della recente ascesa al trono di Ungheria. Nel 1388 fu capitano di una flotta di 400 tra barche, battelli e "ganzaruoli", che si impadronì della fortezza dell'Anguillara, sopra l'Adige. Con un folto numero di soldati e balestrieri egli mise campo a Borgoforte, dove era una grossa "bastia", espugnandola dopo un assedio di molti giorni. Mentre i Carraresi si sentivano accerchiati e assediati da ogni dove, il D. con la sua squadra navale si portò in territorio padovano, dove prese Castelcarro, Stra e molte altre fortezze. Fu nuovamente consigliere ducale tra luglio e dicembre 1387 e ancora nel settembre 1388 e tra luglio e dicembre 1390.
La sua morte, tradizionalmente attribuita al 1395, quando fece testamento per la seconda volta (22 sett.; il primo testamento porta la data del 17 ag. 1394), va spostata di almeno nove anni. Il 3 maggio 1403, giorno in cui il D. dettò ancora una volta le sue ultime volontà, non doveva rimanergli ancora molto tempo da vivere, se si sentiva "corporea infirmitate aliquantulum opressus". Commissari nelle tre successive disposizioni testamentarie furono la moglie Cataruzza Corner - sposata in seconde nozze dopo la morte della prima moglie, Giovanna (Zana), cugina di un Marco Berengo, morta probabilmente nel gennaio 1386 - e il nipote Marco Dandolo di S. Luca. La parte più consistente dei beni - 12.000 ducati di "imprestidi" - venne suddivisa tra i nipoti Vettor, figlio di Donato, Zanin e Orso. Tra la prima e l'ultima stesura delle ultime volontà aumenta il lascito per la sepoltura, insieme con la preoccupazione: "lasso al luogo di frari menor de Venexia là che xe la mia archa in la qual io voio e ordino esser metudo lo mio chorpo".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. Tasca, Arbori de' patritii veneti, III, c. 255; Ibid., Ibid. 26: G. Priuli, Genealogie famiglie nobili, III, c. 2100; Ibid., Ibid., III, Codd. Soranzo 32: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, cc. 70-71 (che riporta "Giacomo detto Giacomello"); Ibid., Segretario alle voci, Misti, reg. 1, cc. 1v, 2r, 29r, 32v, 33v, 60r, 62r, 67rv; reg. 2, cc. 1rv, 2v, 8r, 25v, 28r (riferimenti attribuibili sia a Giacomo di Nicolò che ai suoi omonimi); reg. 3, cc. 1r, 38r, 40v, 45r (qui con l'indicazione della contrada di S. Pantalon e con il titolo di "miles"); Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 1, cc.51r, 81v, 82r, 103v; con il titolo di "cavalier" alle cc. 82r, 83rv, 84r, 87v, 94v, 95rv, 96r, 102rv: il riferimento è alla numerazione moderna; Ibid., Ducali e atti diplomatici, b. 11 Ibid., Cancelleria inferiore, Misc. testamenti notai diversi, b. 22, n. 870 (testamenti del 1394, 17 agosto e 1395, 22 settembre); Ibid., Procuratori di S. Marco de Ultra, b. 118 (ultimo testamento del 1403, 3 maggio); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 926 (= 8595): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, II, c. 65 (qui il D. risulta "Giacomello cavalier"); Ibid., cl. VII, 128 A (= 8639): G. G. Caroldo, Cronaca veneta sino al 1382, cc. 215r, 217v, 218v, 220r, 230rv, 249v, 251rv, 267r, 277v, 278rv, 313rv, 325v, 336v, 337r, 341r, 344v, 345r, 362r, 426rv, 435v, 436r, 457rv; Ibid., cl. VII, 169 (= 8186): P. Gradenigo, Ambasciatori veneti, cc. 247v, 249r; Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 347r, 248; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, p. 188; VII, ibid. 1907, p. 119; VIII, ibid. 1914, p. 181; Excerpta ex chronica Iohannis Bembi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 1, a cura di E. Pastorello, p. 399; R. Caresini, Chronica, ibid., XII, 2, a cura di E. Pastorello, pp. 34 (dove le imprese per mare del D. vengono attribuite all'omonimo Giacomo di Baldovino), 40, 68, 71; G. e B. Gatari, Cronaca carrarese, ibid., XVII, 1, a cura di A. Medin - G. Tolomei, p. 180; Daniele di Chinazzo, Cronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1958, p. 198; F. Thiriet, Déliberations des Assemblées vénitiennes concernant la Romanie, I, Paris 1966, p. 245; E. Santschi, Régestes des arrêts civils et des mémoriaux (1363-1399) des archives du duc de Crète, Venise 1976, ad Indicem; P. Morosini, Historia della città et Repubblica di Venetia, Venezia 1637, pp. 350 s., 362 ss., 364; F. Verdizzotti, De fatti veneti dall'origine della Republica sino all'anno MDIIII, Venezia 1686, I, pp. 258, 361; M. A. Sabellico, Historiae rerum Venetiarum ab urbe condita, Venezia 1718, II, VII, p. 441; G. Verci, Storia della marca trivigiana, Venezia 1789, XIV, pp. 242 ss. e docc. pp. 89 ss.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1855, p. 196; G. B. Sardagna, Illustrazione di alcuni documenti militari veneziani riguardanti Trieste e l'Istria, in L'Archeografo triestino, n. s., II (1870), p. 271; B. Cecchetti, Funerali e sepolture dei veneziani antichi, in Archivio veneto, XXXIV (1887), p. 279; F. C. Hodgson, Venice inthe Thirteenth and Fourteenth Centuries, London 1910, p. 548; G. B. Dolfin, I Dolfin (delfino) patrizi veneziani nella storia di Venezia dall'anno 452 al 1910, Milano 1912, p. 222; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, Milano 1936, p. 303 (dove l'impresa del 1388 contro i Padovani viene erroneamente attribuita a Giacomo di Baldovino); Dalla guerra di Chioggia alla pace di Torino, 1377-1381 (catal.), Venezia 1981, p. 30.