FABRI, Giacomo
Nacque a Vicenza intorno al 1360, figlio del giudice e dottore in leggi Bartolomeo. Dopo aver frequentato l'università di Padova, ottenne la licenza in diritto civile il 27 genn. 1386: fra i suoi promotori fu, fra gli altri, Angelo degli Ubaldi di Perugia.
Non è accertato se egli abbia inizialmente insegnato presso lo Studium patavino; nel 1388 è registrato nel ruolo dei professori dell'università di Bologna, dove professò la grammatica e l'arte notarile per due anni consecutivi. In quel periodo si trovava a Bologna anche il padre, giudice vicario del podestà Pietro Mauroceno: non è da escludere che l'attività professionale del F. nella città felsinea sia stata favorita dalla presenza e dal prestigio paterno. Agli inizi del 1390 era di nuovo a Padova, dove compare come teste in un atto notarile rogato in casa del giureconsulto Filippo Cassoli, trasferitosi da poco nell'università padovana: il Gloria (I, p. 246) ha ipotizzato al proposito che anche il F. vi prestasse la sua opera d'insegnante, ma nessun dato ci permette di confermare tale ipotesi, né sappiamo con certezza per quanto si sia protatto il suo soggiorno patavino.
Del resto, già dal 1389 il F. era iscritto al Collegio dei giudici e dei notai di Verona dove lo ritroviamo, nel 1393, ricoprire la carica di giudice e console dell'importante consorteria del Leopardo. Tale carica fu da lui esercitata fino all'aprile del 1397, tranne una pausa di un anno, dal maggio 1395 al maggio 1396.
Questi anni furono importanti per la complessa rete di signorie e libere città della Marca Trevigiana, e del Veneto in generale, poco prima che questi territori fossero definitivamente assorbiti dall'egernonia politica e istituzionale di Venezia. Verona, dove con ogni probabilità il F. aveva continuato a ricoprire cariche pubbliche, caduto il dominio visconteo (1387-1402) per la morte di Gian Galeazzo, fu conquistata nel 1404 per conto di Francesco Novello da Carrara da Guglielmo Della Scala. In qualità di sindaco della città il F., come racconta il cronista Andrea Gatari, assistette, il 10 aprile di quell'anno, alla devoluzione di Verona nelle mani di Guglielmo. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta poco tempo dopo, Francesco Novello fu nominato signore.
Il 25 maggio 1404 il F., durante la cerimonia di investitura, recitò in suo onore un'orazione da lui stesso redatta, consegnandogli ìnfine le chiavi della città. Il F. fu presente, in prima persona, agli ultimi momenti della lunga e vivace tradizione autonomistica della città scaligera. Verona infatti, accerchiata dalle truppe di Francesco Gonzaga signore di Mantova e dall'esercito di Venezia, ostili alla signoria carrarese, ricusò nel giugno 1405 il governo di Francesco Novello; a tale decisione fu anche costretta a causa dei gravi disagi alimentari determinati dall'assedio. Il F., insieme con altri cittadini, fra cui Bartolomeo da Carpi e Gian Nicola Salerno, entrambi giuristi e letterati di rilievo e fama locale, discusse con i nemici le condizioni della resa: le trattative si svolsero nella vicina località di Montorio, dove si trovavano Francesco Gonzaga, il condottiero lacopo Dal Verme ed il nobile veneziano Gabriele Emo. Guidati da quest'ultimo, i Veneziani entrarono in Verona il 23 giugno 1405, accolti, fra gli altri, dal F., che recitò anche in quest'occasione un'orazione di benvenuto. L'indomani il Consiglio cittadino, preso atto dei mutamenti sopraggiunti, inviò alla Serenissima un'ambasceria, alla quale prese parte anche il F., al fine di siglare un formale atto di sottomissione. I patti di dedizione, già delineati nell'incontro di Montorio, furono sottoscritti a Venezia il 12 luglio dello stesso anno, suggellati da una solenne cerimonia: durante il suo soggiorno veneziano il F. recitò due Orazioni, la prima in occasione della presentazione al doge di Venezia delle lettere di credenza della città di Verona, la seconda al momento della consegna del sigillo, degli stendardi e delle chiavi. Le due orazioni recitate in occasione della devoluzione di Verona sono riportate nel manoscritto n. 2048, classe VII (cc. 427-431) della Biblioteca naz. Marciana di Venezia, copia ottocentesca di un codice del sec. XV conservato presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (ms. 6586) e contenente la Cronica del veneziano A. Morosini.
I nuovi rapporti ed equilibri determinati dalla conquista dei Veneziani furono ulteriormente sanciti nel 1406, quando salì alla cattedra episcopale veronese l'ecclesiastico veneziano Angelo Barbarigo: in quell'occasione il F. partecipò alla legazione che accompagnò in Verona, dalla Serenissima, il nuovo vescovo. Gli ultimi mutamenti politici non compromisero, quindi, la carriera e la fortuna del Fabri. Un attacco subito nel 1403 dai Veneziani nel mare di Siria da parte di truppe genovesi aveva ulteriormente raffreddato i difficili rapporti fra le due città. A comporre la lite era stato coinvolto il duca di Savoia, Amedeo VIII, ed il governo veneziano scelse nel 1408, come suoi ambasciatori presso la corte sabauda, Alberto Pietra Rossa, ed il canonista padovano Francesco Zabarella. Quest'ultimo, impossibilitato a presenziare allo scioglimento della sentenza per le insistenze degli studenti patavini, contrari ad una lunga assenza del loro maestro, fu sostituito, per volere del governo veneziano, dal Fabri. Di questa ambasceria è rimasta testimonianza in un'inedita orazione, conservata presso la Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (ms. 5513, cc. 102v-103v), opera probabilmente dello stesso F., gia avezzo a tale esperienza stilisticoIétteraria e non (come ritiene Zonta, p. 46) frutto dell'eloquenza del cardinale Zabarella.
Una conferma della vocazione letteraria e professionale del F. è offerta dai contatti che il F. ebbe con Guarino Guarini. Non sappiamo in quale occasione si conobbero: dall'epistolario guariniano abbiamo comunque la testimonianza dei premurosi rapporti intrattenuti dal F., che già dal 1408 leggeva privatamente la notaria, con il dotto Guarino. Proprio al "prudentissimo ac optimo iurisconsulto domino Iacobo de Fabris" Guarino indirizzava la famosa lettera del luglio 1416, rievocante la figura di Emanuele Crisolora, scomparso un anno prima. La lettera, che costituisce un vero e proprio elogio funebre dell'erudito greco, ci informa, fra le altre cose, che il Crisolora era stato ospite del F. a Verona nel 1414, mentre si dirigeva verso Costanza alla volta del concilio. Guarino accenna inoltre all'ospitalità che egli stesso aveva ricevuto dal F., nel giugno del 1416, quando era andato via da Venezia per sfuggire a una epidemia di peste. In quell'occasione il F. ebbe la possibilità di conoscere anche il tenore della celebre orazione funebre che un altro dotto veneziano, Andrea Zulian, aveva composto in onore del defunto Crisolora. Il suo nome ricompare altre volte nel ricco epistolario di Guarino: in una lettera indirizzata nell'aprile del 1423 a Francesco Foscari il Guarino accenna ad un'orazione redatta dal F. in onore del Foscari, eletto da poco doge di Venezia.
Egli faceva parte della delegazione di oratori inviati il 18 aprile di quell'anno da Verona per rendere omaggio al nuovo reggente; è più che probabile che egli abbia recitato il suo componimento alla presenza del Foscari.
Nella città d'adozione raccolse anche negli ultimi anni della sua vita attestazioni di stima e di prestigio: nel 1426 fu nominato fra i consultori della casa di pietà, un'istituzione di assistenza e beneficenza fondata dal Collegio dei notai, mentre nel 1428 fu invitato a partecipare come membro della commissione incaricata di vagliare, insieme col Consiglio comunale, in merito alla facciata della ricostruenda chiesa di S. Anastasia.
Già nel giugno del 1412 il F. aveva sottoscritto il suo testamento, disponendo che la sua biblioteca fosse posta in vendita e che il ricavato fosse devoluto in opere pie. Fra l'altro aveva riservato un lascito in favore dei carcerati, affinché fosse loro somministrata acqua fresca di fonte nei mesi estivi.
Sconosciuta è la data della morte, avvenuta dopo il 1428.
Della produzione letteraria del F. sono rimaste poche testimonianze: oltre alle citate orazioni contenute nella Cronaca del Morosini, segnaliamo un consulto prodotto dal F., con tutta probabilità, durante il suo soggiorno a Bologna, e contenuto nell'importante raccolta consiliare conservata presso la Bibl. Classense di Ravenna (ms. n. 485).
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