CRIVELLI, Giacomo Filippo
Nacque alla fine del sec. XIV dalla celebre famiglia milanese. Entrato giovanissimo nell'Ordine dei cisterciensi, prima della fine del 1427 fu eletto abate del monastero di Rivalta Scrivia, presso Tortona.
Tra le carte di quella fondazione benedettina, sino a noi pervenute, una sola ricorda l'attività del C.: si tratta di un documento, datato 19 dic. 1427, con il quale il C. - e non Filiberto come erroneamente scrive l'editore dell'atto - accettò la professione monastica del milanese Pietro Rossi, pronunciata secondo la regola di s. Benedetto e secondo la forma dell'Ordine cisterciense.
Il C. rimase abate del monastero di Rivalta sino al 1457, quando dal papa Callisto III fu nominato vescovo di Novara alla morte di Rartolomeo Visconti. Prese possesso della diocesi il 30 maggio 1457 e la governò sino alla morte, avvenuta nell'estate del 1466, presumibilmente a Novara.
Durante i nove anni di episcopato svolse una intensa attività pastorale e politico-amministrativa promuovendo il miglioramento spirituale del clero locale e curando il patrimonio signorile ed economico della Chiesa novarese. Appena giunto a Novara il C. pubblicò alcuni decreti di riforma per il clero secolare e regolare della diocesi. Purtroppo essi non ci sono pervenuti nella loro interezza; ne conosciamo solo alcuni frammenti, contenuti in due ricorsi presentati allo stesso presule dai canonici di S. Maria di Novara, la cattedrale, e dai canonici di S. Gaudenzio in data 16 e 19 dic. 1457. L'analisi di questa fonte inedita ci permette di stabilire che il C. intendeva attuare una riforma disciplinare e giuridico-beneficiale della sua Chiesa, proseguendo con ciò nella via già intrapresa dal suo immediato predecessore, Bartolomeo Visconti, che, per mezzo del suo vicario generale, Lancillotto dei conti di Mede, aveva dato alla diocesi, tra il 1451 ed il 1452, nuovi statuti, attenti al problema etico-disciplinare dei canonici delle collegiate diocesane.
Nell'istanza del 16 dic. 1457 i canonici lamentavano che il presule avesse redatto "novas et inusitatas Constitutiones" senza aver prima consultato il capitolo della cattedrale e senza aver riunito un sinodo diocesano; gli rimproveravano, inoltre, di aver imposto l'osservanza della sua riforma sotto pena di pesanti ammende pecuniarie più "animo pecunias exigendi", che per autentico desiderio di correggere i difetti del suo clero. In ogni caso, gli ecclesiastici novaresi dichiaravano che avrebbero accolto un'azione di riforma a patto che essa fosse stata decisa da un sinodo diocesano, in cui "sia il capo, sia le membra accettassero l'esigenza del rinnovamento" (Arch. capit. di Novara, Episcopato, D. 4, n. 97). Emergeva in queste ultime espressioni una sorta di teoria conciliare applicata al piano diocesano. L'azione dei canonici contro il vescovo aveva tuttavia anche una motivazione più immediata: mantenere lo status quo attraverso l'abolizione o la diminuzione delle pene pecuniarie, e a questo fine si minacciava anche un ricorso al pontefice.
La risposta del C. fu sollecita e molto drastica; prima dei Natale 1457 egli respinse i ricorsi e mantenne inalterati i decreti di riforma. Infatti ricordò che il vescovo poteva legittimamente pubblicare decreti anche con imposizione di pene pecuniarie, senza ascoltare il consiglio del capitolo e senza convocare il sinodo diocesano. Affermò, inoltre, che la sua azione nonaveva altri fini o scopi se non la riforma della Chiesa novarese, da realizzarsi "pro debito pastoralis officii et ex fervore charitatis et disciplinae", mentre le proteste dei canonici miravano soltanto ad evitare una "honesta et laudabilis correctio et morum reformatio". Circa il problema delle pene pecuniarie, infine, il C. spiegò al clero che esse erano state ritenute indispensabili per dare credibilità agli Ordini, e che in ogni caso i proventi di quelle non sarebbero stati incamerati dalla Curia, ma destinati ad opere pie e ad azioni caritative. Con questa risposta il C. dimostrò di voler realizzare ad ogni costo l'opera riformatrice, che estese anche ai monasteri femminili sottoposti all'ordinario, suscitando accese polemiche e vivaci proteste. Con una serie di disposizioni proibì infatti alle monache di clausura di parlare con qualsiasi persona, anche attraverso le grate; ciò contrastava con una prassi ormai universalmente accettata nella diocesi, che consentiva alle recluse di comunicare con parenti ed amici. La resistenza dei mondo monastico femminile si espresse con un ricorso al presule in cui si affermava che i colloqui delle monache erano resi necessari sia dalle ristrettezze economiche in cui versavano i monasteri, sia dalla angustia degli edifici in cui le religiose vivevano, poco consoni a favorire una stretta osservanza della clausura, possibile solo in luoghi molto spaziosi. Il C. riconfermò, nonostante le pressioni che provenivano dalle famiglie più nobili della città, il suo decreto di rinnovamento monastico.
Accanto a questi interventi sul piano ecclesiastico-disciplinare, sono da ricordare altri relativi alla legislazione civile per la località di Gozzano, sottoposta alla signoria dei vescovo di Novara. Il 27 genn. 1458 il C. emanò dal palazzo episcopale di Novara un Decretum contra temerarios porrectores, che regolava la procedura di registrazione degli atti di pagamento dei debiti, dei compromessi e delle multe. Un anno dopo, il 27 genn. 1459, approvò uno "Statuto degli uomini di Gozzano", con cui si vietava a quanti fossero estranei a quella Comunità di servirsi dei boschi comunitari, delle brughiere e dei prati chiusi, al fine di evitare ogni indebito danneggiamento.
L'ampia competenza in materia monastica e la serietà morale dimostrata dal C. nel governo della sua diocesi convinsero il pontefice Paolo II a nominare il C. giudice apostolico nella controversia sorta tra i canonici sanvittorini ed i canonici regolari lateranensi per il possesso della abbazia di S. Andrea di Vercelli. La bolla di incarico fu spedita da Roma il 23 apr. 1465: il 29 maggio dello stesso anno il vescovo di Novara, dopo aver ascoltato le parti in causa, pronunciò la sua sentenza, che fu favorevole ai lateranensi. Ordinò quindi all'abate commendatario di S. Andrea, Agostino Corradi di Lignana, di cedere agli stessi canonici il possesso del monastero, ma gli attribuì le rendite dell'abbazia di S. Maria di Casanova.
A documentare il proficuo governo episcopale del C. rimangono anche alcuni atti di natura amministrativa, che si riferiscono a collazioni di benefici e ad investiture di decime feudali a favore di laici. Così risulta che sul finire del 1457 ordinò al suo vicario generale, Bartolomeo da Busseto, di confermare l'elezione del preposito della canonica di S. Maria di Sillavengo, fatta dai patroni di quella istituzione ecclesiastica nella persona del prete Gualino dei Capitanei da Sillavengo. Sempre in rapporto ai diritti di avvocazia di quest'ultima famiglia, ci è ancora noto l'atto del 6 ag. 1463, con cui il C. attribuì, con il consenso degli stessi Capitanei, al prete Bartolomeo Bozardo, rettore in cura d'anime della canonica di S. Maria di Sillavengo, la rendita della cappellania istituita presso l'altare di S. Eleuterio nella cattedrale di Novara. Conosciamo, infine, quattro atti di reinvestitura feudale di decime spettanti alla mensa episcopale: il primo, rogato nel 1457. poco tempo dopo l'ingresso del vescovo in diocesi, e concesso a favore di Tommaso da Crusinallo e dei suoi eredi, riguardava le decime di numerosi villaggi posti nella pieve di Omegna. Col secondo, il 27 febbr. 1458 nella saletta inferiore del palazzo episcopale di Novara, il C., assistito dal suo uditore generale e luogotenente Gabriele da Abbiate, abate di S. Maria di Provaglio, concesse a Paolino Toscano da Cameri la decima su quest'ultima località per la parte spettante all'episcopato. Il documento relativo fu scritto dal cancelliere del vescovo, Giovanni Antonio de' Scrivanti. Tuttavia, il 17 ott. 1464 lo stesso Paolino restituì al vescovo di Novara la decima in questione: il C., desideroso di acquisire fedeli vassalli alla sua Chiesa, concesse lo stesso beneficio ai fratelli Da Torrione, uomini devoti alla causa del vescovo. Un anno dopo, il 28 sett. 1465, il presule, che si fregiava anche del titolo di conte, concesse in feudo ad un gruppo di nobili, appartenenti alla famiglia novarese dei Caccia, la quarta parte della decima feudale di Briona e di Orre e la terza parte di quella di Proh, beneficio che il C. aveva già in precedenza confermato ad altri rappresentanti del nucleo familiare.
La morte del C. avvenne nella tarda estate del 1466, giacché il successore, Bernardo Rossi, già vescovo di Cremona, fu trasferito a Novara da papa Paolo II l'8 ottobre dello stesso anno.
Fonti e Bibl.: Novara, Archivio capitolare, Episcopato, D. 4, n. 97, 16 e 19 dic. 1457; Ibid., Decima Cameri, A, perg. 4, 27 febbr. 1458 e 17 ott. 1464; Novara, Archivio storico diocesano, Mensa, XIV, 1, R. 5, 1, 28 sctt. 1465; Ibid., Teche Parrocchie, Gozzano, 3, Inventarium iurium scripturarum ecclesie collegiatae Gaudiani, f. 92v, 8 genn. 1461; Ibid., XV, 2, 5. Statuta Gaudiani et plebis (ms. sec. XVIII), ff. 59r-59v, 27 genn. 1458 e 27 genn. 1459; Archivio di Stato di Novara, Fondo Pergamene, IX, perg. 31, 1457; C. Bascapè, Novaria seu de Ecclesia Novariensi, Novariae 1612, p. 517; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra, IV, Venetiis 1729, col. 719; A. F. Trucco, Cartari dell'abbazia di Rivalta Scrivia, II, Pinerolo 1911, p. 253; G. B. Morandi, Le Pergamene del Museo civico, in Boll. stor. per la prov. di Novara, V (1911), p. 153; R. Pasté-F. Arborio Mella, L'abbazia di Sant'Andrea di Vercelli, Vercelli 1907, pp. 152 s.; N. Widloecher, La riforma della abbazia di S. Andrea di Vercelli (1459-1467) in Boll. stor.-bibl. subalp., XXVI(1924), pp. 329-339; M. G. Virgili, I "Nobili" signori del castello di Crusinallo, in Boll. stor. per la prov. di Novara, XLVII (1957), 2, pp. 89 s.; P. G. Longo, Problemi di vita religiosa nella diocesi di Novara prima dell'episcopato di Carlo Bascapè (1593) e con partic. riferimento al periodo 1580-1590, tesi di laurea, università di Torino, facoltà di lettere e filosofia, anno acc. 1969-1970, I, pp. 67-78; G. Andenna, Centri di culto. strutture materiali ed uomini in un territorio in trasformazione: la pieve di Proh-Camodeia dal X al XV sec., in Novara e la sua terra nei secc. XI e XII. Storia, Documenti, Architettura. Milano 1980, p. 130; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, II, Monasterii 1914, p. 205.