FREGOSO (Campofregoso), Giacomo
Figlio di Domenico, doge di Genova dal 1370 al 1378, e di Limbania di Francesco Cocarello, nacque presumibilmente a Genova intorno al 1340. Addottoratosi in diritto, entrò a far parte della vita politica e commerciale della città solo all'epoca del dogato del padre: l'affermazione di Federici (c. 115r), poi ripresa da Levati, riguardo a una sua partecipazione alla Maona di Chio nel 1362 non è infatti suffragata dai documenti relativi all'amministrazione di tale colonia. È invece testimoniato, il 12 febbr. 1373, l'acquisto da parte sua, in società con lo zio paterno Pietro, di alcuni carati della Maona di Chio, poi donati, almeno in parte, al fratello Venerio.
Nello stesso anno, in occasione della spedizione contro Cipro guidata da Pietro Fregoso, il F. armò a proprie spese una delle galee che presero parte all'impresa, affidandola al capitano Nicolò Cibo. Conseguenza di tale iniziativa fu, probabilmente, la sua associazione alla Maona di Cipro, di cui egli risultava membro nel 1375.
Nel 1374 rivestì la carica di capitano generale della Riviera di Ponente. La sua carriera politica ebbe fine con la deposizione del padre Domenico da parte di Antoniotto Adorno. L'allontanamento della fazione dei Fregoso dal potere non si tradusse però in esilio fino al 1382, allorché il doge Nicolò Guarco rese esecutivo un decreto appositamente emanato contro i membri più ragguardevoli della famiglia: il F., Domenico e Pietro. L'esilio, comminato in perpetuo, venne revocato nel 1383, a seguito di nuovi rivolgimenti nella vita politica della città, dal nuovo doge Leonardo Montaldo. Tornato in patria, il F. riprese subito il suo posto nella vita politica genovese, come membro del Consiglio degli anziani e, secondo il Ganduccio (c. 29r.), nuovamente con la carica di capitano generale della Riviera di Ponente (1383). Nel 1385 venne incaricato dal doge Antoniotto Adorno di provvedere all'alloggiamento di papa Urbano VI alla Commenda di Pré. Partito il pontefice in seguito a contrasti con l'Adorno, il F. venne mandato a lui come ambasciatore, con l'incarico di dirigersi quindi verso Napoli; la morte di re Carlo III impedì il compimento della missione.
Il 28 giugno 1385, all'atto della stipulazione della quarta convenzione tra il Comune di Genova e la Maona di Chio, il F. figurava partecipe, in società con il fratello Venerio, per la quota di 3 ½ carati su 38 complessivi. Nel 1386 fu mandato ambasciatore presso Amedeo VII conte di Savoia.
Il 3 ag. 1390 il doge Antoniotto Adorno, temendo un complotto contro la sua vita, abbandonò improvvisamente Genova per rifugiarsi a Loano. La rivolta popolare che ne seguì portò alla pacifica assunzione del F. al potere. La perdita dei registri governativi relativi al suo dogato non consente di fare nuova luce su quel periodo: di certo il F. ripristinò le leggi e gli ordinamenti che il suo predecessore non aveva più osservato.
Il 22 nov. 1390, insieme con il fratello Venerio, il F. vendette a Francesco Giustiniani de Campi fu Gabriele parte della propria quota di compartecipazione alla Maona di Chio. Il 13 febbr. 1391 promulgò, insieme con il Consiglio degli anziani, un decreto per ridurre le esazioni imposte ai carcerati imprigionati a Chio.
Alla ripresa delle lotte tra le fazioni politiche genovesi, il F. si mostrò irresoluto e inadatto allo scontro. Costretto dal Consiglio degli anziani a negare ad Antoniotto Adorno il permesso di rientrare a Genova, non si oppose alle sue manovre per riconquistare il potere, al punto da rifiutare l'offerta di aiuto avanzata da alcuni membri della famiglia Del Carretto. Il 9 apr. 1391 l'Adorno, giunto fino a Sampierdarena con 800 armati, entrò in città e penetrò nel palazzo, intimando al doge di abbandonare il potere. Secondo il racconto riportato dagli annalisti, il F. accettò di buon grado la resa e, intrattenuto a pranzo dal vincitore, venne da lui fatto scortare onorevolmente fino alla propria casa.
L'indole pacifica dimostrata nel corso del suo dogato e in occasione della propria deposizione fece sì che il F. non risentisse negativamente dell'instaurazione del nuovo regime: nel 1392, tuttavia, in seguito allo scoppio di nuovi torbidi e all'insurrezione di Savona, il doge Antonio Montaldo ordinò che venisse rinchiuso nel castello di Lerici. La prigionia non dovette comunque durare più di alcuni mesi, dato il frenetico susseguirsi al potere dei diversi capi delle fazioni cittadine. L'8 genn. 1394 il F. risultava presente a Genova, dove ratificò alcuni contratti stipulati dalla Maona di Chio, della quale era partecipe per un carato.
La partecipazione del F. alla vita pubblica genovese trovò nuovo impulso all'epoca della dominazione francese su Genova. Nel 1397 fu tra i membri del Consiglio degli anziani. Nel 1398 fu ufficiale di franchigia e uno degli Otto pacificatori, magistratura straordinaria eletta in appoggio all'officium Balie per riportare la pace in città e nelle Riviere; quindi fu inviato come ambasciatore a Firenze e a Pisa. Nel 1399 fu nuovamente eletto tra gli Anziani, mentre in anni seguenti (1401, 1406, 1408) fece parte degli elettori dei membri di tale magistratura.
Nel 1402 venne inviato a Milano in qualità di oratore, per prendere parte alle esequie del duca Gian Galeazzo Visconti. Il 27 nov. 1402 figurò, a nome degli eredi del defunto Andrea Giustiniani, tra gli emptores et participes insule et Mahone Syi in occasione della stipulazione di nuove regole per la difesa e l'amministrazione dell'isola.
Nel 1403, di nuovo membro del Consiglio degli anziani, fu elemento di punta della commissione di giureconsulti incaricata di riformare le leggi di Genova. Mandato ambasciatore ad Avignone, presso l'antipapa Benedetto XIII, appoggiato dal re di Francia, fu responsabile del suo soggiorno in Genova nel 1405; in tale anno fece parte della magistratura dei Conservatori del porto e del molo. Nel 1406 venne inviato come ambasciatore a Venezia; l'anno seguente rivestì la carica di ufficiale di franchigia. Il 23 febbr. 1408 gli fu concessa una proroga all'istanza della causa che lo vedeva coinvolto, a nome proprio e dei defunti congiunti Domenico e Venerio, con il curatore dell'eredità di Ansaldo Giustiniani, per otto luoghi delle Compere di Chio; proroga ulteriormente confermata il 17 dicembre del medesimo anno.
Il 27 febbr. 1410 dettava al notaio Antonio Credenza il proprio testamento. Quale sede della propria sepoltura indicò la chiesa di S. Marta, specificando con precisione la propria volontà di venire sepolto nel sarcofago del padre, per il cui completamento stanziava un lascito di 150 fiorini, e non in quello del nonno Rolando, situato nel chiostro della medesima chiesa. A parte alcuni lasciti destinati alla moglie Teodora, figlia del defunto Antonio de Paulo, alla figlia primogenita Primafiore, vedova di Andrea Giustiniani, e a Bartolomeo, figlio naturale del defunto fratello Venerio e della schiava Argenta di Salonicco, nominò eredi universali dei suoi beni, da dividere in parti uguali, i figli Domenico e Nicolò, con i loro eredi e discendenti. Diseredò invece il figlio Leonardo e l'intera sua progenie, in quanto uomo di costumi riprovevoli, ribelle agli stessi genitori al punto da aver tentato di usare violenza contro di loro.
Il F. sopravvisse alcuni anni alla stesura del proprio testamento. Nel 1411 fu magistrato dei Provvisori del mare; il 17 marzo 1413 il governo della Repubblica gli riconobbe la proprietà di mezzo carato della Maona di Chio, oggetto di una sua disputa con Francesco Giustiniani. Nel 1415 fu rieletto tra gli Anziani. Era ancora vivo il 28 giugno 1419, quando il doge Tommaso Fregoso ordinò di effettuare in suo favore il pagamento di 500 fiorini, per l'acquisto di una proprietà in località S. Tommaso.
Morì tra il 1419 e il 1421, quando si discusse dinanzi al notaio Giovanni Pineto la spartizione della sua eredità.
Dei numerosi figli avuti dalla moglie Teodora si ricordano, oltre agli eredi Domenico e Nicolò, rispettivamente sposati con Caterina Giustiniani de Forneto e Orietta di Antonio Guarco, il diseredato Leonardo e le figlie Primafiore e Linò, unite in matrimonio con Andrea Giustiniani de Furneto fu Raffaele e Benedetto Noziglia. Ebbe cinque figlie naturali: Lascarina, Maddalena, Petrina, Domenica e Benedetta.
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