GABRIELLI, Giacomo (Iacopo)
Nacque a Gubbio da Cante di Pietro verso la fine del sec. XIII. Fu nominato cavaliere prima del 12 ag. 1326: in quella data compare infatti già con il titolo di "messere" in un elenco di savi nominato dai Consigli eugubini intorno a una questione di Stato, mentre diciotto giorni più tardi è presente, con la stessa qualifica, per il quartiere di S. Andrea, fra i "buonuomini popolari e nobili" eletti dal Comune. Nel 1327 avrebbe iniziato la sua attività come rettore forestiero con l'importante incarico di podestà di Bologna, cui dovette rinunciare quando la città passò sotto il controllo del cardinale legato Bertrando del Poggetto. Nel 1330 fu invece podestà di Siena.
Nel 1331 occupò, per il secondo semestre, la carica di podestà di Firenze, già ricoperta per tre volte fra il 1298 e il 1306 da suo padre. A Firenze sarebbe stato chiamato di nuovo - a testimonianza degli stretti rapporti della città con i guelfi di Gubbio e con la famiglia del G. in particolare - quattro anni dopo per occupare un altro ufficio di rettore forestiero. Il 1° nov. 1335, infatti, secondo Giovanni Villani (p. 87) i Fiorentini, che l'anno precedente avevano creato sette bargelli - uno per sestiere e due per Oltrarno - allo scopo di garantire l'ordine interno, crearono in sostituzione di quelli un nuovo ufficio, il capitano della guardia e conservatore di pace e di stato della città, dotato di ampi poteri giudiziari, superiori a quelli degli altri rettori forestieri. Il primo a essere nominato in quella carica, con la durata di due anni, fu proprio il G., il quale sarebbe entrato in ufficio con un salario addirittura di 10.000 fiorini e un seguito di 50 cavalieri e 100 fanti. È forse anche per questo che, eletto podestà di Bologna nel marzo 1336, per cominciare nel luglio, il G. rifiutò l'ufficio (in parte anche perché le discordie civili in atto in quel momento a Bologna avevano già fatto dimettere il precedente podestà, come ricordato dalle fonti locali: Corpus Chronicorum Bononiensium, pp. 460 s.). Tuttavia, alla fine del suo incarico, nel 1337, i Fiorentini decisero di non rinnovare la magistratura, ritenendo che essa si prestasse ad arbitri eccessivi.
Nel 1337 a Perugia il G. avrebbe formato la lega delle città guelfe dell'Umbria. Il 15 ottobre dello stesso anno, papa Benedetto XII, contro la consuetudine che voleva tali cariche riservate ai soli cittadini romani, lo nominò senatore, sindaco e difensore di Roma per un anno (a partire dal mese di gennaio) insieme con il suo concittadino Bosone Raffaelli: della sua attività in tale ufficio rimangono documenti fino al 20 ag. 1338. Della sua permanenza a Roma abbiamo notizie anche dalle cronache bolognesi che ricordano come il G. nel 1338 "andò per senatore de Roma; e siando in lo dicto regimento el destene e misse in presone Colonisi et Ursini… et, per dire della gente, el fu uno grande ardire" (ibid., pp. 483 s.); apparentemente quindi, anche nella turbolenta situazione romana, il G. si sarebbe comportato con notevole energia. La sua magistratura fu in seguito prorogata fino al 24 giugno 1339, anche se in realtà l'ufficio dovette interrompersi prima perché il G., già nel mese di febbraio, era a Firenze. In quel periodo la città toscana stava cercando di acquistare Lucca e il G., nominato capitano di guerra in sostituzione di Malatesta Malatesti, entrò il 1° febbr. 1339 in ufficio, dove rimase per due anni "con gran balìa" (G. Villani, p. 163).
La versione fornita da Giovanni Villani sull'operato del G., nonostante sia ricca di giudizi pregnanti, determinati dal punto di vista "medio" del cronista che aborrisce le manifestazioni di strapotere del gruppo dirigente allora in carica, risulta un po' confusa. Il Villani prima attribuisce al G. il titolo di "capitano di guerra, overo… bargello" (p. 163) e in seguito lo modifica in quello di "capitano di guardia" (p. 212). Più avanti il Villani presenta questa versione: perché i popolani grassi, che allora governavano, potessero assicurarsi il potere, controllando tutte le maggiori magistrature, fu deciso il ritorno del G. all'ufficio di capitano di guardia, abolito per dieci anni nel 1337 anche per il suo pessimo operato (p. 232). È necessario puntualizzare che la definizione dell'ufficio data dal Villani è inesatta, e fonte dell'equivoco in cui è caduta la maggior parte della storiografia successiva (Perrens, IV, p. 220; Dorini, p. 204), equivoco ancora non sanato. Come risulta infatti dai documenti archivistici il G. fu eletto capitano generale di guerra, e non capitano di guardia, e giurò di ben esercitare il suo ufficio davanti al parlamento del 31 genn. 1339 (I Consigli, p. 179). Il 3 dicembre dello stesso anno gli fu notificata l'elezione per un altro anno, elezione che all'inizio il G. rifiutò e accettò solo due giorni dopo (ibid., pp. 320 s.). L'errore era rilevabile già confrontando il Villani con Marchionne di Coppo Stefani (p. 185), che definisce correttamente l'ufficio. Tuttavia, la citazione villaniana è stata sufficiente per indurre ad affermare, da Machiavelli in poi, che l'ufficio abolito nel 1337 era stato riesumato nel 1339.
Durante il suo ufficio, sempre secondo G. Villani (p. 163), il G. "per la sua asprezza fece in Firenze e nel contado di sconce cose e albitrare senza ordine di ragione", motivo per cui ne sarebbero nati ribellioni e risentimenti. Nel 1340, nel corso di una carestia - secondo le accuse del Villani (p. 212) -, avrebbe partecipato insieme con un gruppo di popolani grassi a una speculazione sul prezzo del grano stesso, e questo perché era "tiranno de' popolani reggenti, condannando gl'innocenti ingiustamente, perch'avieno grano per loro vivere e loro famiglie, e llasciando i possenti colle grandi endiche" (cioè con i magazzini pieni). In effetti, come risulta dalle deliberazioni dei Consigli, il 14 marzo 1340 gli era stato affidato il potere di imporre il deposito forzoso di grano e altri cereali nella piazza di Orsanmichele e di perseguire gli inadempienti.
Il G., stando sempre alla testimonianza del Villani, avrebbe proceduto a un'amministrazione della giustizia assai partigiana, a favore del gruppo al potere, e scarsamente rispettosa della normativa in vigore. Molti cittadini mal sopportavano questa gestione della giustizia, e specialmente i magnati, i quali cercarono di abbattere il G. e sostituire i popolani grassi nella gestione del potere. Episodio scatenante furono le condanne, ritenute ingiuste, imposte dal G. a un Bardi e a un Frescobaldi, che provocarono la coalizione di queste famiglie e dei Rossi, appoggiata dall'esterno da molte famiglie feudali del contado, contro il G. e il regime al potere. Resa ben presto nota la congiura alla Signoria in carica, il 1° nov. 1340 la città "fu commossa a romore e ad arme" (G. Villani, p. 234) e durante il tumulto il G. se ne stette in armi in piazza con il suo seguito "con gran paura e sospetto" ma senza agire, da "savio e valente capitano… onde molto fu biasimato" (ibid., p. 235). La situazione sarebbe poi stata risolta dal podestà che indusse i congiurati, ormai ridotti nel sestiere di Oltrarno, ad abbandonare la città.
Alla fine del gennaio 1341 il G. lasciò Firenze per Gubbio "ricco delle sangui de' Fiorentini ciechi, che più di xxxM fiorini d'oro si disse ne portò contanti" (ibid., p. 240). Nel mese di febbraio ebbe inizio il conflitto fra i Fiorentini e Pisa per il possesso di Lucca. Per rafforzare la propria cavalleria nel caso di un attacco da parte dei Pisani, Firenze inviò richieste di aiuto a tutti i propri alleati guelfi, fra cui Gubbio. Il 3 agosto il Comune di Gubbio decise di inviare aiuti ai Fiorentini, e il 4 e il 6 lo stesso G. scriveva ai Signori di Firenze dicendo di essere pronto ad andare in loro soccorso. Il 7 agosto il Comune lo elesse per guidare gli armati eugubini inviati in aiuto a Firenze, nel numero di 50, stipendiati per metà dal Comune e per metà dallo stesso Gabrielli. Il 2 ott. 1341 i due eserciti si affrontarono a San Piero a Vico e i Fiorentini uscirono sconfitti dal combattimento. Il G., mentre fuggiva verso Lucca, fu fatto prigioniero insieme con altri e imprigionato in Pisa. Per pagare il riscatto richiesto dai Pisani, ammontante a 3000 fiorini, il Consiglio cittadino ricorse a diversi espedienti come la vendita della cittadinanza ai forestieri che lo desiderassero o la trasformazione di una serie di pene detentive in pene pecuniarie: in questo modo furono raccolti però poco più di 1000 fiorini. Alla fine Gubbio raggiunse evidentemente la somma richiesta, dato che il G. fu poi rilasciato dai Pisani: non prima però del 1342.
Nel luglio 1348 fu nominato rettore o governatore del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Si trovava in questa carica nell'ottobre e novembre 1349 (come risulta anche da lettere scrittegli dai Fiorentini per intercedere a favore di un mercante cui erano state sottratte delle balle di lana da un signorotto della Sabina) e lo era ancora nel settembre 1350. In questo periodo avrebbe avuto inizio, secondo la Cronaca di ser Guerriero da Gubbio, l'inimicizia fra il G. e il suo parente Giovanni di Cantuccio Gabrielli, sorta a quanto pare a causa del beneficio di abate di S. Andrea dell'Isola presso Costacciaro che ciascuno reclamava per un proprio nipote. Nell'agosto del 1350 avvenne il colpo di Stato di Giovanni, che, approfittando dell'assenza del G. e dei suoi parenti più influenti, podestà a Bologna e a Todi, si impadronì con un piccolo numero di armati di Gubbio, acquisendo poi anche il controllo del territorio circostante.
Il G. si recò a chiedere aiuto ai Perugini, che dopo alcune esitazioni decisero di muovere guerra a Giovanni e di stringere d'assedio la città. Giovanni di Cantuccio cercò di operare diplomaticamente, proponendo la pace, ma chiedendo al contempo l'allontanamento del Gabrielli. Trascorsero in questo modo vari mesi nei quali il G. mantenne l'incarico di rettore del Patrimonio. Chiese aiuto anche ai Fiorentini che però, il 9 marzo 1352 risposero scusandosi di non potergli mandare gente d'arme, perché impegnati a fronteggiare i moti dei ghibellini scoppiati in Toscana, in seguito all'offensiva dell'arcivescovo Giovanni Visconti contro Firenze.
Moriva intanto Clemente VI, e il suo successore Innocenzo VI nominava Egidio Albornoz legato e vicario generale delle terre della Chiesa in Italia, con l'incarico di riassumere il controllo dei suoi possedimenti (giugno 1353). Nel dicembre 1353, alla ripresa della guerra contro i Visconti, interrotta dalla pace di Sarzana del marzo di quell'anno, il G. fu di nuovo eletto capitano di guerra dei Fiorentini. Il 16 genn. 1354 questi gli davano istruzioni su come sedare le "novità" nel frattempo sorte in Pistoia (Degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni, I, p. 64; II, p. 108).
Il G. intervenne anche presso l'Albornoz per indurlo a riprendere il controllo di Gubbio, sottraendo la città al potere illegittimo di Giovanni di Cantuccio. Questi, privo ormai di forti protezioni dopo la fine del tentativo visconteo, nel 1354 restituì la città alla Chiesa, chiedendo però, secondo ser Guerriero, che non fosse concesso al G. di ritornarvi. A parere di Matteo Villani (p. 489) l'Albornoz sancì questa esclusione anche perché temeva che il G., che era "grande e sentia del tiranno", potesse prendere a sua volta il controllo del Comune. All'inizio del 1355 l'Albornoz, irritato dalla risposta negativa del G. alla richiesta di fornire un tributo alla Chiesa in armati, lo imprigionò insieme con suo figlio Cante a Montefalco, dove si trovava anche prigioniero Giovanni Gabrielli. Rilasciato solo dopo la consegna delle mura di Cantiano, l'Albornoz lo nominò in seguito governatore di Faenza nel 1359. Nell'aprile 1360 era invece con certezza capitano di Todi.
Presumibilmente nel 1362 messer Blasco di Fernando di Belviso, vicario di Gubbio per nomina dell'Albornoz dall'aprile 1361, avrebbe confinato secondo ser Guerriero (p. 14), per motivi che il cronista non esplicita, il G. e suo figlio ad Ancona. È probabile che il G. sia morto poco dopo questo avvenimento, in data e luogo non altrimenti noti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Sez. di Gubbio, Comune, Riformanze, 1, cc. 38v, 49v; Guerriero da Gubbio, Cronaca, a cura di G. Mazzatinti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 4, pp. 7 s., 10-14; Matthaei de Griffonibus Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, p. 48; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, pp. 178, 185; Corpus Chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, ibid., XVIII, 1, pp. 460 s., 483 s.; Storie pistoresi, a cura di S.A. Barbi, ibid., XI, 5, pp. 163 s., 170; Codice diplomatico della città di Orvieto, a cura di L. Fumi, Firenze 1884, p. 754; G. Degli Azzi Vitelleschi, Le relazioni tra la Repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV secondo i documenti del R. Archivio di Stato di Firenze, I, Perugia 1904, pp. 27-29, 45 s., 54, 64, 259; II, ibid. 1909, pp. 64 s., 72, 74 s., 108; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991, pp. 87, 163, 212, 232-235, 240, 256, 268; M. Villani, Cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1995, pp. 159 s., 360, 489; Arch. di Stato di Firenze, I Consigli della Repubblica fiorentina. Libri fabarum XVII, a cura di F. Klein, Roma 1995, pp. 179, 190, 210, 314, 320 s., 361, 391, 397; N. Machiavelli, Istorie fiorentine, in Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1993, p. 679; S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1647, I, 1, pp. 400, 412, 431, 433, 435, 437, 439, 447; 2, p. 561; F.T. Perrens, Histoire de Florence, IV, Paris 1879, pp. 192 s., 220 s., 225, 232; O. Lucarelli, Memorie e guida storica di Gubbio, Città di Castello 1888, pp. 75, 397-399; G. Mazzatinti, in Nozze Martini - Benzoni, Forlì 1893, pp. V-VIII, XIII-XXI; M. Antonelli, Notizie umbre tratte dai registri del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, in Boll. della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria, IX (1903), p. 505; X (1904), pp. 40, 56; P. Cenci, Le relazioni fra Gubbio e Perugia nel periodo comunale, ibid., XIII (1907), pp. 566 s., 569; G. Degli Azzi Vitelleschi, I Gabrielli da Gubbio e i Trinci da Foligno nella storia della Repubblica fiorentina, ibid., XIV (1908), p. 300; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, p. 685; U. Dorini, Il diritto penale e la delinquenza in Firenze nel sec. XIV, Lucca 1922, pp. 204 s.; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, II, Roma 1935, p. 104; E. Colombi, I Gabrielli di Gubbio "Cives Romani", in Palatino, n.s., V (1961), pp. 6-8; M.B. Becker, Florence in transition, I, The decline of the Commune, Baltimore 1967, p. 138; G. Franceschini, Gubbio dal Comune alla signoria deiMontefeltro, in Storia e arte in Umbria nell'età comunale. Atti del Convegno (Gubbio 1968), Perugia 1971, pp. 379 s., 383; G. Guidi, Il governo della città-repubblica di Firenze del primo Quattrocento, II, Firenze 1981, p. 192.