STEFANESCHI, Giacomo Gaetano (Iacopo Caetani)
– Nacque presumibilmente a Roma intorno al 1260 da Pietro e da Perna, figlia di Gentile Orsini.
Oltre al nome di Giacomo gli fu attribuito come cognomentum (nelle fonti inscindibile dal primo) Gaetano, forse in ossequio a una tradizione onomastica seguita allora dalla famiglia Orsini o in omaggio al prozio materno, il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, futuro papa Nicola III (1277-80).
È molto probabile che a Roma gli furono impartiti i rudimenti di grammatica ancora in età infantile; adolescente fu inviato a studiare a Parigi, dove ebbe per maestro Egidio Romano, che non mancò di manifestare pubblicamente per un verso la stima che nutriva per le qualità intellettuali del giovane, e per altro verso l’ossequio per il potente casato al quale apparteneva. Nonostante l’evidente predisposizione per gli studi filosofici e teologici, nei quali sembra raggiungesse ottimi risultati, Stefaneschi, per volere della famiglia, tornò in Italia per studiare diritto a Bologna.
Una brillante e rapida carriera ecclesiastica lo attendeva, favorita senza dubbio dalla stretta parentela con il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, papa Niccolò III. Ricordato come canonico di Reims e cappellano papale nel 1291, nonché come canonico della basilica di S. Pietro in Vaticano, il 17 dicembre 1295 Stefaneschi fu creato infatti cardinale diacono del titolo di S. Giorgio in Velabro (da Bonifacio VIII). Proprio per lo stretto rapporto che lo legò anche a papa Caetani e per la sua vasta cultura, è quanto mai possibile che Stefaneschi abbia dato un sostanziale contributo all’istituzione dello Studium Urbis e all’indizione del primo giubileo del 1300, di cui scrisse la storia, il De centesimo seu iubileo anno.
La scomparsa di Bonifacio VIII nel 1303 dovette tuttavia determinare un progressivo calo dell’influenza di Giacomo all’interno del collegio cardinalizio, sempre più controllato dai porporati francesi, anche se, a quanto pare, nel conclave di Perugia che seguì alla morte di Benedetto XI (7 luglio 1304) anche lui fu preso in considerazione come favorito dal partito bonifaciano. In quegli anni tormentati per il papato, Stefaneschi – prima e dopo il trasferimento con la Curia pontificia ad Avignone – mantenne un atteggiamento di «fedeltà assoluta alla istituzione papale, unione del ceto cardinalizio con il vertice della chiesa» (De Vincentiis, 2008, p. 13). In vari casi egli mostrò una prudente subordinazione al pontefice e alle decisioni da lui prese, come quando, durante i pochi mesi del pontificato di Benedetto XI, fu richiesto il suo parere sull’opportunità di indire un concilio che giungesse alla damnatio memoriae di Bonifacio VIII.
Stefaneschi non abbandonò mai le speranze di un ritorno del papa a Roma e in tale direzione si adoperò, ma senza alcun successo, anche nel conclave di Carpentras del 1316 nel quale fu eletto Giovanni XXII. Negli anni successivi, fu più volte chiamato a esaminare dossier delicati e importanti.
Nel 1319 fu incaricato, congiuntamente a Niccolò da Prato e Guglielmo Testa, dell’esame dei capi d’imputazione formulati dall’inquisitore contro il minorita Bernardo Deliziosi. Insieme a Pietro Colonna e Napoleone Orsini, nel 1323, consigliò al pontefice di procedere con la massima cautela nel suo proposito di scomunicare Ludovico il Bavaro. Fu in seguito chiamato a esprimersi sulla questione della povertà di Cristo sollevata da Ubertino da Casale. Nel 1331 il pontefice lo consultò in relazione alla suddivisione tra i cardinali del denaro che Roberto d’Angiò aveva corrisposto alla Camera apostolica l’anno precedente. Nel 1334 fu nominato protettore dell’Ordine dei minori, in sostituzione del defunto Arnaldo di Pelagrua.
La fama di Stefaneschi, in ogni caso, non è tanto legata alla (pur importante) attività politico-diplomatica nell’ambito della Curia papale, quanto piuttosto alla vasta cultura e al mecenatismo, che lo indusse a investire cospicue risorse. Commissionò la produzione di numerosi e lussuosi manoscritti, miniati da artisti di grande fama; Giotto realizzò per lui un trittico per l’altare di S. Pietro in Vaticano; moltissimi furono i luoghi di culto e i monasteri dei quali promosse lavori di restauro, ampliamento e decorazione. Uomini di cultura provenienti da tutto l’Occidente fecero parte della sua familia e ottennero da lui ricche prebende a sostegno dei loro studi e delle loro attività artistiche. Tra i suoi cappellani si possono ricordare Marsilio da Padova, Giovanni di Jandun e Tommaso Wilton. Si trattava di «una vera e propria corte intellettuale» (Internullo, 2016, p. 125).
Stefaneschi «si formò sui classici latini, originando un lessico alquanto elaborato, che sottende non solo la tradizione classica, ma anche la letteratura cristiana tardo antica» (Guardo, 2008, p. 10) e le sue opere, in prosa e in versi, rappresentano un caposaldo della cultura e della politica del suo tempo in ambito curiale. Ricordiamo il già citato De centesimo seu iubileo anno e il cosiddetto Opus metricum (nel quale si occupa di Celestino V), un triplex composto di tre parti: De electione, De coronatione, De canonizatione, «un testo eclettico, non preordinato, non progettato nella sua interezza; un testo che, al contrario, si è formato per accumulo di più testi, autonomi in origine, composti a significativa distanza di tempo l’uno dall’altro, ciascuno per rispondere a contesti e sollecitazioni del momento (De Vincentiis, 2008, p. 9). A questi scritti sono da aggiungere varie poesie religiose, celebrative e commemorative, mentre recentemente è stata messa in discussione l’attribuzione a lui dell’Ordo XIV, noto anche come cerimoniale di Gregorio X (1272-1273).
Morì ad Avignone nel 1341, «plus quam octogenarius», come affermò nell’orazione funebre che gli dedicò il cardinale Pierre Roger, il futuro papa Clemente VI (Dykmans, 1975, p. 537).
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