GAGGINI (Gagini), Giacomo
Figlio di Francesco, nacque probabilmente a Bissone, nel Canton Ticino, in un anno imprecisato della prima metà del XVII secolo, ed è documentato dal 1671 al 1699 a Genova, dove fu attivo come marmoraro e architetto di strutture d'altare.
Fino alle più recenti scoperte archivistiche (Belloni, 1988, p. 241) il G. è stato spesso confuso con l'omonimo bissonese Giacomo Gaggini (1672-1736) figlio di Bernardo, attivo a Genova come scultore in marmo. Si tratta certamente di rami familiari imparentati fra loro, come dimostra il ricorrere degli stessi nomi di battesimo: di altri membri di questa numerosa famiglia di scultori e marmorari originari di Bissone - come Giulio Bernardo, figlio di Andrea (documentato a Genova dal 1701 al 1730), e Andrea (1730) - è rimasto soltanto il nome registrato nei verbali delle assemblee dell'arte degli scultori (ibid., pp. 191, 240, 242-245, 247).
Il G. fu affiancato dal fratello Giuseppe, attivo nell'impresa soprattutto come scultore in marmo. Ma suo fu il ruolo di capobottega, come appare evidente dalle testimonianze relative al primo lavoro documentato, l'altare in marmi policromi eseguito nel 1671-72 per la cappella di S. Croce della Confraternita dei Servitori nella chiesa genovese di Nostra Signora delle Vigne. Nel contratto (ibid., p. 181), firmato dal G. e dallo scultore Anselmo Quadro, anch'egli di origine lombarda e autore degli splendidi altorilievi in marmo bianco del paliotto e dei grandi angeli che fiancheggiano il tabernacolo, non si fa cenno del fratello, che con ogni probabilità collaborò, secondo la consolidata tradizione delle botteghe familiari, con i due firmatari dell'atto.
La struttura architettonica dell'altare riprende senza variazioni lo schema ancora manieristico del frontone classicheggiante sostenuto da colonne con capitelli corinzi, con paliotto rettangolare e balaustra che chiude lo spazio della cappella; le forme tradizionali del complesso sono arricchite dallo splendore cromatico delle tarsie in marmi bianchi, neri, verdi, rossi, rosa e gialli, composte in disegni di raffinata eleganza sulle pareti, sui gradini reggicandelabro, sul paliotto, sul pavimento della cappella.
La collaborazione tra il G. e il fratello è documentata per il completamento dei parati marmorei della cappella Spinola (totalmente distrutta dai bombardamenti nel 1943-44 e attualmente ricostruita con marmi di varia provenienza) nella chiesa genovese della Ss. Annunziata. Nella cappella, dedicata a S. Clemente, era già stata eseguita in precedenza la grandiosa struttura dell'altare; nel 1680-82 i due fratelli, insieme con lo scultore Angelo Maria Mortola, eseguirono per Dorotea Spinola, vedova di Stefano Lomellini, la decorazione a tarsie marmoree delle pareti, lo stemma dei Lomellini e i due angeli in marmo bianco sul frontone dell'altare. La riproduzione pubblicata dal Cervetto (1903, pp. 187, 284 s., fig. XXXIX) documenta le statiche forme del complesso, attardate su schemi strutturali e decorativi ancora del primo Seicento, certo condizionati dall'altare preesistente ma comunque sostanzialmente condivisi dall'impostazione culturale della bottega dei due Gaggini.
Le consuete forme tardomanieristiche caratterizzano anche l'altar maggiore, l'altare di Nostra Signora del Rosario e quello di Nostra Signora degli Angeli eseguiti in marmi policromi nel 1685 dai due fratelli per la chiesa parrocchiale di Civezza, nei pressi di Imperia (Paglieri - Pazzini Paglieri, 1981; Bartoletti, 1991-92).
Gli altorilievi in marmo bianco del paliotto dell'altar maggiore raffiguranti Angeli con i simboli della Passione - come anche gli Angeli, il Redentore e S. Giovanni Battista sul fastigio degli altri due altari - sono certamente opera del fratello, anche se il suo nome non è citato nel contratto, firmato dal solo G. nel ruolo di capobottega. Si può supporre che i due avessero eseguito pochi anni prima anche l'altare maggiore della chiesa parrocchiale della vicina Castellaro, connotato dagli stessi caratteri iconografici e stilistici di quello di Civezza, e indicato come modello nel contratto per l'esecuzione di quest'ultimo.
Poco prima del 1689, insieme con uno Spazio (probabilmente Cristoforo), il G. realizzò per la famiglia Debernardi l'altare di Nostra Signora del Rosario che si trova nella chiesa parrocchiale di Santa Margherita Ligure. Il grandioso complesso in marmi policromi, connotato dagli stemmi del committente (Rollino - Ferretto, 1907), è arricchito sul fastigio da tre grandi statue in marmo bianco raffiguranti La Fede, La Speranza e La Carità: probabilmente opera di Giuseppe, esse rivelano le suggestioni della scultura di Filippo Parodi e della sua scuola.
Il G. eseguì certo molte altre strutture d'altare per le chiese della Liguria - va però sottratta al catalogo del G. e del fratello la cornice con angeli e nubi (Cervetto, 1903, p. 186, tav. XXXI) in marmo bianco, ora sull'altare maggiore della chiesa di S. Rocco a Camogli, opera di Francesco Biggi (Franchini Guelfi, 1988, p. 281; Molinari, 1991) - come dimostra la trattativa per l'acquisto nel 1699 di quattro colonne di marmo di Serravezza da un fornitore di Carrara, trattativa condotta anche a nome del fratello (Cervetto, 1903, pp. 186, 286 s.). Non abbiamo più notizie del G. dopo questa data.
Suo fratello Giuseppe nacque probabilmente a Bissone nel 1643. Nel 1675 era considerato uno scultore affermato se, insieme con Bernardo Falcone, Honoré Pellé, Daniele Solaro e Francesco Molciano, veniva incaricato di eseguire per la galleria del palazzo reale di Madrid ottanta statue marmoree, consegnate nel 1676 (Alfonso, 1985) e andate distrutte nell'incendio del palazzo. Nel 1675-76 eseguiva, insieme con il marmoraro Giacomo Corbellino, una cappella marmorea nel santuario di Nostra Signora della Rovere vicino a Cervo (contratto e quietanza, in Arch. di Stato di Genova, Notai antichi, Notaio G.B. Ugo, 10 luglio 1675). Nel 1694 Giuseppe si impegnò a fornire la balaustra marmorea per l'altar maggiore, da lui eseguito pochi anni prima, della chiesa di S. Antonio Abate di Diano Marina, opera da realizzarsi, recita il contratto, "in marmi bianchi e misci ben lustrati e lisciati conforme al dissegno" (ibid., 22 dic. 1694). Fra il 1694 e il 1696 eseguì un grande altare in marmi policromi, con uno splendido paliotto intarsiato, per la parrocchiale di S. Andrea a Calvari (Genova), come attesta il documento di commissione (ibid., 17 dic. 1694). Eletto nel consiglio dell'arte degli scultori nel 1696 (Belloni, 1988, p. 270), aveva la bottega nei pressi della Ripa, a ponte Calvi, come documenta la registrazione dell'affitto pagato al Comune nel 1709 (Cervetto, 1903, p. 186). L'entità dell'affitto annuale (52,16 lire), comparata a quella di altre botteghe di scultori, fa supporre un laboratorio di grandi dimensioni, mentre l'intestazione dell'affitto al solo Giuseppe (e non ai due fratelli, come ha scritto il Cervetto) nella Pandetta dei condottori degli stabili (Genova, Arch. storico del Comune, Padri del Comune, n. 761) attesta la morte del G. prima di questa data. Gli stretti rapporti di Giuseppe con gli altri scultori di origine lombarda attivi a Genova si leggono nel testamento steso nel 1710 da Francesco Garvo, anch'egli originario di Bissone (Belloni, 1988, p. 191), che lo nominò esecutore testamentario e curatore degli interessi dei suoi figli minori, affidandogli inoltre la gestione della sua bottega situata vicino a quella di Giuseppe a ponte Calvi.
L'ultimo lavoro documentato dello scultore è la grande statua in marmo bianco di Margherita di Savoia duchessa di Mantova e del Monferrato (morta nel 1655) nel santuario di Vicoforte (presso Mondovì). Nel 1709 egli si impegnò a eseguire l'opera, da collocare sull'urna sepolcrale preesistente nella cappella funeraria della duchessa; fra i testimoni presenti alla stesura del contratto c'era anche Giovanni Francesco, nipote di Giuseppe, probabilmente figlio del G.; nella documentazione dei pagamenti (Carboneri, 1952, pp. 60-62) la spesa a parte "per il disegno della statua fatto fare da persona d'intelligenza" e, in seguito, il regalo al "Piola pittore" (certamente Paolo Gerolamo Piola), per il collaudo finale dell'opera terminata nel 1712, fanno supporre che il progetto della scultura sia stato fornito dal Piola stesso. Sempre nel 1712 Giuseppe s'impegnò a eseguire anche un grandioso sfondo in marmo nero di Portovenere per la figura della duchessa, nelle forme di un drappo dal movimentato panneggio, sormontato da tre angeli recanti lo stemma in marmo bianco. L'anno seguente, oltre che a questo lavoro, Giuseppe e i suoi collaboratori attendevano a un altare marmoreo per la chiesa parrocchiale di Piozzo (vicino a Mondovì).
Giuseppe morì il 25 apr. 1713 a Genova e fu sepolto nella chiesa della Ss. Annunziata.
Furono il nipote Giovanni Francesco e Pietro Francesco (fratello o cugino del primo) a prendere le redini della bottega e a continuare i lavori per la cappella della duchessa nel santuario di Vicoforte, eseguendo quattro statue di Santi benedettini in marmo bianco e perfezionando il drappo in marmo nero. Il complesso, terminato nel 1714, è una sontuosa scenografia barocca al centro della quale, sullo sfondo del grande drappo funebre drammaticamente mosso, spicca la candida figura della duchessa inginocchiata, nello sfarzo delle vesti virtuosisticamente descritte a rappresentarne il rango. Non si conoscono altre opere di questi artisti né si hanno altre notizie sulla loro vita.
Fonti e Bibl.: L.A. Cervetto, I Gagini da Bissone…, Milano 1903, pp. 186 s., 284-287, 289, fig. XXXIX, tav. XXXI; F. Rollino - A. Ferretto, Storia documentata della parrocchia di Santa Margherita Ligure, Genova 1907, pp. 67, 209; N. Carboneri, Il monumento della duchessa di Mantova nel santuario di Mondovì…, in Boll. della Società di studi storici, archeologici e artistici nella Provincia di Cuneo, 1952, n. 31, pp. 60-65; V. Belloni, L'Annunziata di Genova, Genova 1965, pp. 189, 195; N. Carboneri, Antologia artistica del Monregalese, Torino 1971, pp. 113-115; V. Belloni, Caröggi crêuze e möntae, Genova 1975, pp. 122 s.; R. Paglieri - N. Pazzini Paglieri, Architettura religiosa barocca nelle valli di Imperia, Oneglia 1981, p. 92; L. Alfonso, Tomaso Orsolino e altri artisti di "natione lombarda" a Genova e in Liguria dal sec. XIV al XIX, Genova 1985, p. 237 n. 36; M. Torre, in L'arredo sacro nelle chiese del Tigullio, Genova 1985, p. 14 fig. 13; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova (secoli XVII e XVIII), Genova 1988, pp. 181, 191, 218, 240-245, 247, 270, figg. 118-119 bis; F. Franchini Guelfi, D. Parodi e F. Biggi, "Architetti de marmi" e "marmarari", in La scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp. 281, 288; A. Molinari, in La chiesa di San Rocco di Camogli, a cura di F. Simonetti, Genova 1991, pp. 14-17, figg. 7-8; M. Bartoletti, Altari del secondo Seicento nelle parrocchiali di Castellaro e Civezza, in Boll. della Comunità di Villaregia, II-III (1991-92), 2-3, pp. 19-35, figg.1-8; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 58.