GIORGETTI, Giacomo
Figlio di Vincenzo e di Ottavia - di cui non si conosce il casato - nacque ad Assisi nel 1603, dove, il 12 febbraio, venne battezzato nel duomo di S. Rufino.
Vincenzo fu un personaggio alquanto in vista in città, poiché ricoprì importanti incarichi politici e amministrativi, tra cui quello di priore nel 1622. Lo storico locale Frondini (c. 201) lo ricorda come "sufficiente pittore", impegnato nel 1632 accanto a Cesare Sermei nella perduta decorazione ad affresco della chiesina del Nome di Gesù, detta de' Matrigiani, in porta S. Francesco. Un'accurata indagine archivistica di Lunghi (1987, p. 99) ha permesso di ricostruirne l'attività al servizio del capitolo della cattedrale, che lo impiegò ripetutamente nella realizzazione di stemmi (1592, 1598, 1605, 1610) e, tra il 1591 e il 1592, nella decorazione della cupoletta del ciborio sopra l'altare maggiore. Nel 1591 eseguì gli affreschi nella volta prima del presbiterio in S. Damiano raffiguranti l'Eterno benedicente e la Vergine che appare a s. Chiara morente (Lunghi, 1997, p. 32). Scomparsi gran parte dei lavori documentati, sulla scorta di questi dipinti è possibile stabilire il percorso artistico di Vincenzo (Id., 1992, pp. 380-383), accanto al quale si compì sicuramente la primissima formazione del Giorgetti.
Verosimilmente tra il 1623 e il 1624 il G. ebbe la possibilità di seguire a Roma il padre, inviato come procuratore al servizio dei canonici del duomo di S. Rufino (Id., 1987, p. 99).
Qui forse frequentò l'ambiente berniniano, cimentandosi nella scultura e realizzando una statua di S. Sebastiano - non rintracciata, né altrimenti documentata - per l'omonima chiesa (Cristofani, p. 410).
Come sottolineò Lanzi (p. 365), il G. ebbe in Giovanni Lanfranco il maestro capace di svincolarlo almeno in parte dagli stilemi e dalle formule tardomanieriste apprese ad Assisi accanto al padre o guardando ai lavori di Antonio Circignani, il Pomarancio, la cui presenza in città fu ricca di conseguenze non solo per Cesare Sermei, ma anche per gli artisti di una generazione più giovani come il G. e Girolamo Martelli (Toscano, 1980, pp. 34 s.).
Il G. nel 1626 fu pagato per l'esecuzione dell'arme Barberini e Sacchetti nel duomo di Assisi; l'anno successivo ricevette dagli stessi committenti uno scudo per aver dipinto due croci per l'olio santo (andate perdute).
La persistenza di caratteri tardomanieristi si coglie in una serie di lavori da scalare, per ragioni documentarie e stilistiche, entro il 1630-31.
Negli affreschi della chiesa Nuova ad Assisi, eseguiti accanto a Cesare Sermei e forse al padre tra il 1627 e il 1630 (Lunghi, 1992, pp. 380-383), il G. oscilla ancora tra soluzioni arcaizzanti, come nella Condanna dei progenitori, e i modi protobarocchi lanfranchiani della Nascita della Vergine, dove la qualità cromatica squillante e vivace unita a uno stile arditamente ampio sembrano anticipare soluzioni adottate nei dipinti successivi della cappella del Terz'Ordine. Il confronto con gli affreschi della chiesa Nuova consente di datare in questo stesso lasso cronologico la pala con S. Carlo Borromeo e i confratelli della Buona Morte sull'altare di S. Pasquale Baylon in S. Girolamo a Castelnuovo d'Assisi, dove certa simmetria e iconicità di matrice controriformata si accompagna a un forte luminismo, a un deciso chiaroscuro e, soprattutto, all'ardito "sfondato" protobarocco della figura centrale.
All'inizio del quarto decennio il G. lavorò accanto al più quotato Cesare Sermei nella cappella del Terz'Ordine, o delle Stimmate, nella basilica assisiate di S. Maria degli Angeli.
Vi eseguì la pala d'altare raffigurante S. Francesco riceve le stimmate (1631), sulle pareti S. Francesco dà la tonaca a un novizio e l'Accertamento delle stimmate da parte del miscredente Girolamo, nel sottarco il Beato Andrea Caccioli, i Ss. Ludovico da Tolosa ed Elisabetta d'Ungheria. Nelle fisionomie dei personaggi, nei volumi dei panneggi, nell'enfasi compositiva si coglie un evidente influsso dei modelli lanfranchiani, mentre le suggestioni caravaggesche, evidenti soprattutto nelle Stimmate, sono filtrate da pittori come Orazio Borgianni e Simon Vouet.
In parallelo cronologico con le Stimmate di s. Francesco può essere collocata la tela con S. Giovanni Evangelista a Patmos nella sede vescovile di Assisi, identificabile con quella descritta da Cristofani (p. 411) sull'altare destro della chiesa di S. Crispino. Gli effetti di luce, con bagliori improvvisi, evidenziano i repentini movimenti delle figure, richiamando la pittura romano-caravaggesca.
Attorno al 1634 il G. sposò Girolama Palini, da cui ebbe due figlie, Cecilia e Diomira. Nello stesso anno, su incarico della Compagnia della Carità, avviò i lavori di ammodernamento architettonico del tempio di Minerva, trasformato sin dal 1539 per volere di Paolo III in edificio sacro col nome di S. Maria sopra Minerva.
Il G. modificò le proporzioni della cella allungandola e coprendola di una volta a botte; disegnò la grandiosa mostra per l'altare maggiore echeggiando le forme solenni del tempio e decorandola con fregi e stucchi, tra cui una serie di putti con serti di fiori; e dipinse la Madonna col Figlio sull'altare, la Nascita della Vergine e la Presentazione al Tempio di Maria in due tondi affrescati tra le colonne, immagini tutte rimosse nel corso di un rimaneggiamento settecentesco. Rimane in loco solo la bella tela incastonata nella cimasa, con la figura dell'Eterno maestosa e imponente, degna delle migliori realizzazioni dell'artista.
Nello stesso periodo attese anche all'ammodernamento della chiesa di S. Gregorio voluto dal vescovo Tegrimio Tegrimi, rinnovando l'interno con una nuova mostra d'altare, decori in stucco e tele. Dei numerosi lavori qui eseguiti e ricordati da Cristofani (pp. 410 s.) rimane soltanto il quadro con S. Antonio Abate, che rivela, nella marcata gestualità, nei panneggi gonfi e mossi, nel deciso cromatismo, la forte impronta barocca.
Al 1635 è datata la Madonna del Rosario e santi nella parrocchiale di Petrignano d'Assisi, attribuita alla cerchia del G., ma forse da restituire direttamente al maestro. L'anno dopo affrescò due lunette nel secondo chiostro del convento di S. Francesco al Prato a Perugia, facenti parte di un più ampio ciclo alla cui realizzazione parteciparono nell'arco di un decennio anche il perugino Anton Maria Fabrizi (1627), l'assisano Girolamo Marinelli (1630) e il tifernate Bernardino Gagliardi (1637).
I dipinti del G., raffiguranti, stando alla descrizione datane da Siepi, l'Adorazione di s. Francesco in braccio alla nutrice e la Caduta degli idoli in Egitto alla presenza del divo Infante, non sono più giudicabili per il pessimo stato di conservazione, ma è certo che dovettero essere di un buon livello qualitativo, se Orsini così li descrisse: "Hanno molta scioltezza e intendimento nei gruppi e nel chiaroscuro, belle attitudini, buon disegno e molta pratica del fresco".
Tra il 1636 e il 1644 nessun documento attesta la presenza del G. ad Assisi (Barazzoni, p. 67), e forse, proprio in questi anni, poté rinnovare a Napoli la collaborazione col Lanfranco.
Nel 1644 il Comune di Assisi affidò al G. l'esecuzione di un affresco in un'edicola nell'attuale via Borgo Aretino con l'immagine di S. Chiara che libera la città dai Saraceni mostrando l'ostensorio, oggi sostituita da una mediocre composizione settecentesca. Due anni dopo, il G. avviò la decorazione della sacrestia della basilica inferiore di S. Francesco.
Dal 1630 Cesare Sermei aveva iniziato a dipingerne la volta con la Gloria del santo titolare, per la quale i frati pagarono le ultime somme nello stesso anno in cui il G. iniziò le Storie della Vergine e dell'infanzia di Cristo (Sposalizio della Vergine, Nascita di Cristo, Adorazione dei magi, Fuga in Egitto) sulle pareti, inframmezzate da medaglioni con Fede, Speranza, Carità e Figura meditante. I lavori, conclusi nel 1648 e irrimediabilmente distrutti in un violento incendio divampato nel 1952, sono noti solo attraverso due riproduzioni fotografiche (Kleinschmidt, II, figg. 231 s.), alcuni lacerti conservati nel Sacro Convento (Carità e Angelo reggicortina) e il lusinghiero giudizio datone da Lanzi (p. 365), che, pur notando come alcune figure "pendano al tozzo", ritenne il G. più abile del suo stesso maestro nel realizzare "opere colorite assai bene e molto più finite di quel che il Lanfranco era solito".
Nello stesso giro di anni il G. dovette eseguire anche gli affreschi nell'intradosso dell'arco della cappella di S. Ludovico da Tolosa sempre nella chiesa inferiore, con la raffigurazione della Fede, dell'Abbondanza, della Speranza e della Vigilanza.
A una fase stilisticamente parallela ai lavori nella basilica di Assisi appartiene anche lo Sposalizio della Vergine, già nella chiesa del cimitero di Palazzo d'Assisi.
Esso è sicuramente identificabile con il dipinto di stesso soggetto ricordato in S. Antonio da Padova ad Assisi da Cristofani (p. 415), che ne segnalò il disegno preparatorio nella collezione del conte Cilleni Nepis. Nella tela, oggi nella Pinacoteca cittadina, Falcidia (p. 288) sottolinea la capacità dell'artista di "prolungare nel Seicento maturo la tarda maniera di Antonio Circignani e di Cristoforo Roncalli, pur con innesti naturalistici e di gusto barocco". Nel dipinto, infatti, si ritrovano l'enfasi espressiva e il senso narrativo della cultura umbra tardomanierista e controriformata, associati ai colori squillanti e ai volumi gonfi di ascendenza lanfranchiana.
Il grandioso affresco di controfacciata, eseguito dal G. su incarico del cardinale A.F. Rapaccioli attorno al 1648 in S. Maria Assunta a Terni, raffigurante la Vergine col Figlio in una gloria d'angeli e i ss. vescovi ternani, andò distrutto durante i bombardamenti nell'ultimo conflitto mondiale. Nella stessa circostanza scomparvero i dipinti della cappella di S. Antonio da Padova, detta poi di S. Bernardino, nella chiesa ternana di S. Francesco, realizzati dal G. accanto al suo vecchio maestro Cesare Sermei, del quale sopravvive la pala d'altare con l'Adorazione dei pastori.
In questo periodo estremamente fecondo della sua attività fu chiamato a lavorare nelle Marche a due importanti cicli, già attribuiti al pittore bolognese Emilio Savonanzi (Fortunati; Dania), ma giustamente restituiti da Toscano (1989, p. 52 n. 84) al Giorgetti.
Si tratta delle cinque tele di soggetto mariano (Sposalizio, Annunciazione, Natività, Adorazione dei magi, Riposo dalla fuga in Egitto) nella sagrestia dei Canonici nel duomo di Camerino e della decorazione della cappella di S. Lucia in S. Martino a Esanatoglia, dove il G. affrescò nelle pareti la Santa accompagnata dall'ancella Eustachia a pregare sulla tomba di s. Agata a Catania e la Santa intenta a distribuire l'elemosina ai poveri, nella volta la Gloria della santa, nella pala d'altare l'Ultima comunione di Lucia, nel sottarco i Ss. Antonio, Francesco, Anatolia e Martino. Questi lavori devono collocarsi verosimilmente all'inizio del sesto decennio del secolo, in un momento compreso tra le perdute opere della sacrestia di S. Francesco (1646-48) e quelle più mature del palazzo vescovile (1653-56). Lo Sposalizio di Camerino ha una composizione rigorosa, contraddistinta da decise annotazioni naturalistiche e dall'essenzialità dei gesti, cui si aggiungono, specie nella Natività e nell'Adorazione, forti contrasti luministici e una brillante tavolozza, tipicamente barocca, ma sempre composta e controllata. Anche i dipinti di Esanatoglia partecipano della stessa temperie, in cui ricordi caravaggeschi, con il vivido alternarsi di luci e ombre, si accompagnano a panneggi meno gonfi, più regolari, nei quali ben si avverte l'eco del filone classicista della pittura seicentesca. Presentano evidenti consonanze con i lavori eseguiti nel Camerte anche l'Immacolata e quattro santi nella chiesina del Gesù nell'Isola Maggiore al lago Trasimeno (Barazzoni, p. 74) e le due tele che il G. eseguì per il Comune di Assisi intorno al 1657, oggi conservate nella Pinacoteca cittadina, raffiguranti i Ss. Vetturino e Rufino e la Madonna che appare a s. Chiara morente, dove nella stesura fluida sono ormai pienamente acquisiti e fusi motivi del naturalismo romano con tocchi cromatici e moduli figurativi lanfranchiani.
Attorno al 1650 il G. affrescò la cappella interna del monastero di S. Andrea ad Assisi, realizzando dodici medaglioni con i ritratti degli Apostoli e nella lunetta la Vocazione di Pietro e Andrea, in cui certa grossolanità di esecuzione è forse imputabile a un maldestro restauro del 1940, aggravato dai danni arrecati al ciclo dal terremoto del 1997.
Nel 1653 il cardinale Paolo Emilio Rondinini, non appena eletto vescovo di Assisi, affidò al G. la decorazione ad affresco della residenza vescovile, eseguita verosimilmente entro il 1656, anno in cui il prelato rientrò stabilmente a Roma, ove morì nel 1668.
Stando alla testimonianza di Cristofani (p. 413) il G. progettò l'ampliamento del palazzo "e vi dipinse di storie, di grottesche e di paesi assai belli più stanze in compagnia de' Martelli e del Marinelli", opere andate in gran parte distrutte nel violento terremoto del 1832. Sebbene gravemente danneggiate dal sisma del 26 sett. 1997, di mano del G. rimangono le decorazioni del soffitto della galleria dei Ritratti e dell'attigua saletta. Nella galleria articolò la volta mediante una balaustra in finta pietra su cui poggiano putti recanti fiori, frutti e uccelli; al centro dipinse sei Angioletti con lo stemma Rondinini, nonché le raffigurazioni allegoriche della Notte, dell'Aurora, dell'Iride e della Tempesta. Nella saletta adiacente, nota con l'appellativo di sala dell'"Allegoria della famiglia Rondinini" dal tema affrescato al centro del soffitto, definì attorno al motivo principale quattro trapezi con grottesche e ovato centrale contenente le personificazioni della Chiesa, della Prudenza, della Giustizia e della Carità, in cui il linguaggio del G. raggiunse la sua piena maturità.
Il sesto decennio del secolo segnò l'intensificarsi anche della sua attività di architetto, con importanti commissioni pubbliche e private che si susseguirono in Assisi.
Tra il 1648 e il 1655 il G. ristrutturò l'antico palazzo Vigilanti in via Superba, l'odierna via S. Francesco, acquistato da Paolo Giacobetti e notevolmente ampliato inglobando i medievali casalini adiacenti. Qui nel 1655 fu ospitata la regina Cristina di Svezia, giunta in visita ai luoghi francescani della città; per l'occasione il G. curò l'allestimento degli appartamenti a lei riservati e gli addobbi della tavola, eseguiti con "trasparenti lavori di gelo" e "statue di zuccaro" (Fortini, pp. 97 s.).
Nella stessa via progettò il palazzo Sperelli, oggi Bernabei, eretto per gli eredi del vescovo Francesco tra il 1646 e il 1661.
Nel 1656 allestì un teatro mobile nella sala del Consiglio del palazzo dei Priori, su commissione dei membri della locale Accademia degli Eccitati, che ebbe a queste date come protettore il cardinale Paolo Emilio Rondinini. Qui l'anno successivo venne presentata la Dafne di O. Rinuccini, con il libretto riveduto e ampliato dal conte Ulderico Fiumi e le scene dello stesso Giorgetti. L'artista fu incaricato di eseguire per 6 scudi anche un gonfalone con l'emblema dell'Accademia, oggi perduto, noto tuttavia attraverso un disegno che orna il frontespizio del libro di Memorie dell'erettione e proseguimento dell'Accademia degli Eccitati della città di Assisi, con l'impresa della medesima, l'anno 1656, conservato nell'Archivio della cattedrale di S. Rufino. Vi è effigiata la dea Minerva con lo scudo in mano, ornato di un nido di rondinini - simboli del cardinale protettore - che stanno per spiccare il volo verso la madre accompagnati dal motto "Circum agi docet".
Negli anni Cinquanta e Sessanta il G. fu particolarmente attivo anche in altri centri umbri.
A Foligno non vi è quasi più nulla della sua produzione, nota soltanto attraverso la Madonna col Bambino tra i ss. Francesco di Paola e Antonio da Padova nella chiesa di S. Michele a Sterpete e il ricordo di Cristofani (p. 413), che cita suoi lavori nell'oratorio del Buon Gesù, per la Fraternita dei Nobili, per S. Giacomo dei Servi, per il convento dei cappuccini e per il monastero di S. Lucia, di cui pare progettasse anche la chiesa primitiva.
Attorno al 1660, per la chiesa di S. Chiara ad Assisi, il G. disegnò l'altare in stucco della cappella di S. Giorgio, ed eseguì una parte della pala con S. Giorgio che uccide il drago e altri santi.
Il quadro, oggi conservato in convento, è ricordato da Cristofani (p. 442) come opera di Filippo Martinucci. Il restauro eseguito nel 1989 ha rivelato che essa è frutto della giustapposizione di due distinte fasce di tela, una corrispondente alle figure in basso, quelle dei Ss. Antonio, Lucia e Giorgio, l'altra ai Ss. Apollonia, Giuseppe e Anna in alto. Soltanto queste ultime rivelano la mano del G.; mentre le altre, dalla condotta più secca e bloccata, dovrebbero ascriversi al Martinucci (Falcidia, p. 292). Al maestro spetterebbe inoltre l'affresco nella lunetta del portale maggiore della chiesa, raffigurante l'Apparizione della Vergine a s. Chiara, sebbene lo stato di conservazione ne renda assai difficoltosa la lettura (Lunghi, 1991, p. 151).
Negli anni Sessanta il G. fu ripetutamente occupato nella cattedrale di S. Rufino.
Dal 1663 progettò e decorò la cappella del Ss. Sacramento, realizzata grazie a un lascito del benefattore Girolamo di Ortorio Paci. I lavori architettonici, diretti da Angelo Sbraca e Giuseppe Prosperi, vennero conclusi tre anni più tardi; nel 1668 fornì il disegno per gli stucchi della volta e dell'ovato centrale, dove entro il novembre dello stesso anno eseguì l'Allegoria della Fede. Su incarico del capitolo della cattedrale progettò la volta della sacrestia, compiuta nel 1668 sotto la direzione dello Sbraca.
Tra il 1663 e il 1664 consegnò il disegno per la ricostruzione dell'altare dell'Immacolata Concezione, finanziato anch'esso grazie alla munificenza di Girolamo Paci (Id., 1987, pp. 59 s.). Nel 1664 fu chiamato a giudicare i lavori dell'altare di S. Gaetano Thiene. Nello stesso anno eseguì la pala per l'altare di S. Antonio da Padova e verosimilmente anche la mostra in stucco che lo completava. Il dipinto, oggi conservato nel Museo della cattedrale, raffigura S. Antonio che riceve Gesù Bambino dalle braccia della Vergine. In esso si colgono forti reminiscenze legate al classicismo barocco di matrice cortonesca.
Interrotti alla fine del 1668 i rapporti con la Compagnia del Sacramento, probabilmente per il sopraggiungere di qualche difficoltà economica e il conseguente rallentamento dei lavori di decorazione della cappella, il G. stipulò in Assisi, il 29 dicembre, il contratto per la realizzazione di quattro Episodi biblici da affrescare nella volta della cappella del Suffragio nella chiesa di S. Venanzio a Camerino. I dipinti, che il maestro si impegnò a eseguire entro il luglio successivo per un compenso di 100 scudi elargiti in più rate, sono andati distrutti nel terremoto del 1799.
Tra il 1670 e il 1675 sono registrati alcuni pagamenti a favore del G. per la tela raffigurante S. Antonio Abate, posta sull'altare dell'omonima cappella in S. Maria degli Angeli. È un'opera di contenuto dinamismo, in cui ben si coglie quella pacatezza compositiva che caratterizza le sue realizzazioni più tarde. Negli stessi anni fornì ai frati della Porziuncola la sua consulenza per i lavori architettonici della chiesa.
Sono perduti alcuni quadretti commissionati al G. tra il 1677 e il 1679 (Barazzoni, p. 68); mentre l'ultimo lavoro documentato dell'artista, il gonfalone con il Martirio di s. Lorenzo per la Confraternita dei Ss. Lorenzo e Antonino, da lui lasciato incompiuto per il sopraggiungere della morte, venne ultimato dal pittore perugino Pietro Montanini.
Il G. morì ad Assisi il 12 sett. 1679 e venne sepolto nella basilica di S. Maria degli Angeli, nel luogo concessogli tre anni prima dai frati per aver a lungo lavorato al loro servizio.
Nella Biblioteca comunale di Assisi sono conservati numerosi disegni di pittori assisiati del XVII secolo, tra cui diversi fogli riconducibili alla mano del G., donati al Comune dal pittore e collezionista Augusto Malatesta.
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