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GIRALDI, Giacomo

di Stefano Tabacchi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)
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GIRALDI, Giacomo (Jacopo)

Stefano Tabacchi

Nacque a Firenze il 30 giugno 1663, sesto dei quattordici figli di Giovanni e Anna Maria Capponi. Apparteneva a una nobile famiglia fiorentina di tradizioni repubblicane, ma da tempo inserita nell'amministrazione medicea. Suo padre fu cavaliere di S. Stefano e, in quanto conclavista del cardinale Leopoldo de' Medici, nel 1670 venne insignito del titolo di conte palatino.

Seguendo l'esempio del padre e dello zio Luigi il G. si pose al servizio dei Medici. Nel 1688 vestì l'abito di cavaliere di S. Stefano, e nel 1693 venne assunto nelle segreterie medicee. Dopo alcuni anni di lavoro burocratico, nel 1699 fu scelto come ambasciatore in Inghilterra, una carica di notevole importanza a causa dei traffici commerciali inglesi con Livorno e dei legami personali di Cosimo III con il mondo britannico. L'istruzione consegnata al G. il 24 nov. 1699 gli conferiva compiti ampi e diversificati, che andavano dalla difesa degli interessi mercantili toscani alla tutela dei cattolici inglesi e alla richiesta del trattamento regio per i rappresentanti diplomatici medicei.

Rimase in Inghilterra per ben tredici anni. Nonostante le notevoli capacità politiche, non sempre fu all'altezza della situazione anche a causa dell'imperfetta conoscenza della lingua e di una sostanziale incomprensione dei meccanismi del governo parlamentare, che lo portò a formulare giudizi molto severi sul sistema politico inglese.

Inizialmente la questione che lo occupò di più fu quella del mercante inglese W. Plowman, che nel 1696 aveva ottenuto il permesso di armare a Livorno una nave per commerciare con Alessandria, ma poi l'aveva utilizzata per azioni di pirateria contro le navi francesi. Allo scopo di preservare la neutralità di Livorno il granduca aveva condannato Plowman a una grossa multa a favore dei Francesi, ma ciò aveva suscitato il risentimento del governo inglese, che minacciava ritorsioni sui mercanti toscani. La vertenza durò molti anni e il granduca, forse scontento del G., gli affiancò un inviato straordinario, Roberto Maria Zeffirini. Solo nel 1705, quando l'ambasciatore inglese in Toscana, Lambert Blackwell, fu sostituito da Henry Newton, fu possibile avviare più cordiali rapporti tra i due Stati. Nel frattempo il G. si dedicò alle questioni religiose, mantenendo aperta al culto una cappella cattolica che favorì diverse conversioni, e proteggendo dalle frequenti persecuzioni alcuni vescovi cattolici, tra cui B. Giffard. Questo genere di attività richiedeva però molte cautele, e il G. si rifiutò di fungere da informatore del governo pontificio, temendo di danneggiare la posizione della legazione toscana. A partire dal 1705 si aprì una nuova e intricata vertenza diplomatica, a causa della pretesa del console inglese di Livorno di mantenere un ministro anglicano in Toscana. Grazie ai consigli del G. la questione fu risolta con un compromesso, che concedeva all'ambasciatore inglese di tenere un cappellano a Firenze ma escludeva l'istituzione di una chiesa anglicana a Livorno. L'ultima parte dell'ambasceria fu condizionata dai crescenti timori per l'estinzione dei Medici. Come gli altri inviati toscani anche il G. si impegnò per difendere l'indipendenza del Granducato e per evitare che le potenze si accordassero sulla successione non tenendo conto dei voleri di Cosimo III, senza peraltro ottenere risultati di rilievo.

Al ritorno dalle missioni diplomatiche il G. rimase ai margini della vita politica fiorentina. Il motivo della disgrazia non è noto, anche se è stato ipotizzato che Cosimo III si risentisse per una sua visita alla granduchessa Margherita di Orléans, che viveva separata dal marito a Parigi. Forse però pesarono anche i contrasti del G. con i fratelli, con i quali aveva da tempo rotto ogni rapporto. A partire dagli anni '20 del Settecento acquistò di nuovo un certo rilievo nell'entourage mediceo e si trovò a gestire la delicata vicenda della successione al Granducato. Sin dal 1718 le maggiori potenze avevano concluso un accordo secondo cui all'estinzione dei Medici la Toscana sarebbe stata assegnata a don Carlos, figlio di Filippo V di Spagna. La diplomazia toscana aveva cercato di opporsi a questa soluzione, giocando sui contrasti tra Asburgo e Borbone, ma senza successo. Perciò nel 1731 il granduca Gian Gastone prese atto della sconfitta e affidò al G. e al marchese Carlo Rinuccini il compito di trattare con l'ambasciatore spagnolo a Firenze, il padre Salvatore Ascanio, il passaggio del Granducato a don Carlos. I due inviati formularono una lunga serie di richieste, l'estremo tentativo della classe dirigente toscana per garantirsi la permanenza al potere dopo l'estinzione dei Medici. Le principali erano il mantenimento della tradizionale organizzazione politico-amministrativa e dell'Ordine di S. Stefano, la riserva ai toscani delle principali cariche pubbliche, la salvaguardia dei beni allodiali di casa Medici e della posizione costituzionale della principessa Anna Maria, sorella di Gian Gastone. Gli Spagnoli, ansiosi di impadronirsi del Granducato, accettarono tutte le condizioni (25 luglio 1731), tranne quella sulla concessione delle cariche pubbliche ai toscani, che restò in sospeso. Il relativo successo diplomatico ottenuto dal G. e dal Rinuccini rimase però senza esito. A seguito della guerra di successione polacca e della conquista del Regno di Napoli da parte della Spagna la Toscana entrò nell'orbita asburgica e fu assegnata a Francesco Stefano di Lorena, che non intendeva sottoporsi a condizioni di sorta.

Queste vicende diplomatiche testimoniano dell'importante ruolo svolto dal G. al tramonto del regime mediceo. Un'ulteriore conferma è fornita dalla tradizione storiografica, peraltro priva di fondamento, secondo cui nel 1737 l'economista Sallustio Bandini avrebbe presentato a lui le proposte di riforma contenute nel suo Discorso sulla Maremma senese, ottenendone un netto rifiuto. Anche se universalmente stimato, il G. non dovette però godere di un grande potere. All'interno del Consiglio di Stato, che gestiva la politica estera, egli si trovava infatti isolato a causa dell'unione tra il Rinuccini e Giovanni Antonio Tornaquinci, che accentravano nelle loro mani la maggior parte degli affari. Dopo la morte di Gian Gastone (1737) il G. entrò nel Consiglio di reggenza che amministrava la Toscana in nome di Francesco Stefano di Lorena. La nuova congiuntura politica gli offriva ampie possibilità di azione, anche perché i ministri lorenesi erano alla ricerca di appoggi per contrastare lo strapotere del Rinuccini.

Tuttavia, prima che il nuovo regime si assestasse, il G. morì a Firenze il 19 genn. 1738.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2672 (istruzione); 4215-4220, 4233-4234 (corrispondenza del G. dall'Inghilterra); Miscellanea Medicea, 590, ins. 5 (plenipotenza per trattare la successione nel Granducato); Raccolta Sebregondi, 2644 (albero genealogico della famiglia). Per una rassegna delle fonti diplomatiche disponibili cfr. M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), in Notizie degli Archivi di Stato, XII (1952), pp. 85, 90. Cfr. inoltre L. Magalotti, Relazioni d'Inghilterra 1668 e 1688, a cura di A.M. Crinò, Firenze 1972, pp. 5-11; B. Tanucci, Epistolario, I, a cura di R.P. Coppini - L. Del Bianco - R. Nieri, Roma 1980, ad indicem; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, V, Firenze 1845, pp. 1849-1851; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, I, Firenze 1850, pp. 60-62; D. Tiribilli Giuliani, Sommario stor. delle famiglie toscane, II, Firenze 1862, s.v.; E. Viviani della Robbia, Bernardo Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze 1942, ad indicem; C. De Clercq, François-Étienne de Lorraine, Marc de Beauvau Craon et la succession de Toscane 1717-1759, Ventimiglia 1976, ad indicem; G.R.F. Baker, Sallustio Bandini, Firenze 1978, p. 88; Arch. di Stato di Firenze, Carteggio universale di Cosimo I de' Medici, Inventario, a cura di A. Bellinazzi - C. Lamioni, Firenze 1982, p. XLIX n. 177; V. Ferrone, Scienza, natura, religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, p. 59; M. Verga, Da "cittadini" a "nobili". Lotta politica e riforma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano 1990, p. 148; J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane sous les derniers Médicis, Rome 1990, ad indicem; Repertorium der diplomatischen Vertreter aller Länder…, I, p. 534.

Vedi anche
Asburgo (o Absburgo; ted. Habsburg). - Dinastia feudale prima, regale e imperiale poi, originaria probabilmente dell'Alsazia, assurta a potenza fin dal sec. 13º. Iniziata sul finire del sec. 15º la fortuna europea della casa, gli Asburgo ebbero, per un periodo di tempo più o meno lungo, oltre la corona imperiale, ... cardinale Titolo di alta dignità ecclesiastica. Storicamente, i cardinale sono i più importanti e stretti collaboratori del pontefice. ● La nomina dei cardinale spetta esclusivamente al pontefice e la sua scelta deve cadere su uomini che siano già stati nominati sacerdoti e che eccellano per dottrina, moralità, ... Carlo V imperatore (I come re di Spagna, II d'Ungheria e IV di Napoli). - Figlio (Gand 1500 - San Jerónimo de Yuste 1558) dell'arciduca d'Austria Filippo il Bello (perciò nipote dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo) e di Giovanna la Pazza (figlia di Ferdinando d'Aragona e di Isabella di Castiglia), divenne a soli sei ... Regno di Napoli Entità statale sorta nel Mezzogiorno continentale alla fine del 13° sec., dopo la rivolta dei Vespri siciliani e il conseguente distacco della Sicilia. angioini, aragonesi e asburgo Parte integrante del Regno di Sicilia durante l'età normanna e sveva, il Napoli, Regno di di Napoli, Regno di diventò entità ...
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Vocabolario
giàcomo
giacomo giàcomo s. m. [voce fonosimbolica, raccostata al nome pr. Giacomo]. – Nella locuz. pop. fare giacomo giacomo, detto delle gambe che tremano, si piegano per paura, per debolezza, ecc.: ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo.
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