Gradenigo, Giacomo
Giacomo di Marco G., detto Belletto (morto nel 1420), colto gentiluomo e abile diplomatico, è figura rilevante nella Venezia trecentesca. Ricoperse cariche in città e fuori fin dal 1386; nelle pause della sua vita movimentata si abbandonava agli studi, dedito soprattutto al culto di D. (ciò gli meriterà una citazione nella Leandreide del Natali).
Fra il '90 e il '94 copiò in elegante scrittura, con la diligenza aristocratica di un amanuense d'eccezione, il ms. D II 41 della Gambalunghiana contenente la Commedia col commento laneo, da lui sottoposto a una meticolosa revisione. Vi figurano anche i sunti o argomenti introduttivi (in terzine) alle prime due cantiche attribuiti dalla tradizione a Iacopo, al Boccaccio e (nel codice riminese) a Menghino Mezzani; da alcuni, per equivoco, allo stesso G. ma forse anche di mano diversa.
Autografo è invece il sonetto proemiale a I quattro Evangeli concordati in uno, parafrasi e riduzione del Nuovo Testamento in metro e stile dantesco compiuta a Padova nel 1398. I quarantaquattro capitoli di terzine, per un totale di quasi undicimila versi in una lingua ibrida fra veneto e toscano, ci sono conservati con ampie didascalie in uno splendido membranaceo autografo, ora Hamilton 247 del Museo di Berlino. A questa grande opera di divulgazione si affianca, in tono minore, un manipolo di nove orazioni disposte in rima (nel Laurenziano Conventi soppr. 122), singolare mescolanza d'intenti devoti e moduli profani.
Verseggiatore di materia religiosa, vicino agli artefici di poemi sacri in volgare, come Candido Bontempi e Francesco Filelfo; ma anche suggestivo manipolatore di stilemi e motivi danteschi. Non a caso amico e corrispondente di Francesco di Vannozzo, il personaggio più illustre di una cospicua accolta d'intellettuali e dilettanti di poesia, al Nord: Gidino da Sommacampagna, Bartolomeo di Castel della Pieve, Marsilio da Carrara, Antonio del Gaio, Nicolò del Bene, Gasparo Lanzarotto, Pietro della Rocca, Francesco di Caserta, Giovanni Dondi, Pietro Montanari. A parte le rime di occasione, dove pure affiorano ricordi danteschi, il complesso della produzione del G. si configura come uno degli anelli della fortuna di D., sul piano della tradizione religiosa: distinta dal filone dei compendi o ‛ ristretti ' della Commedia (i tre sopra citati, e quelli di Bosone da Gubbio, Guido da Pisa, Mino di Vanni d' Arezzo, Cecco di Meo degli Ugurgeri). Ma la poderosa concordanza dei Vangeli gli vale anche un posto accanto ai didattico-allegorici d'imitazione dantesca, Fazio degli Uberti, Cecco d'Ascoli, Federico Frezzi, Giovanni Gherardi, Zenone da Pistoia.
Bibl. - L. Biadene, I manoscritti italiani della collezione Hamilton, in " Giorn. stor. " X (1887) 320-321; V. Lazzarini, Rimatori veneziani del secolo XIV, Padova 1887 (recens. in " Giorn. stor. " X [1887] 429-430); O. Zenatti, Rimatori veneziani del Trecento, nella " Rivista Crit. Lett. Ital. " V (1888) 83-84; A. Tambellini, Il codice dantesco Gradenighiano, in " Propugnatore " n. s., IV p. 2 (1891) 159-198; G. Mazzoni, I quattro evangeli concordati in uno da Iacopo Gradenigo, in " Atti e Mem. R. Accad. Scienze Lettere Arti Padova " n.s., VIII (1892) 263-306; E. Levi, Francesco di Vannozzo e la lirica nelle corti lombarde durante la seconda metà del secolo XIV, Firenze 1908, 148, 219, 225-232 (recens. di A. Medin, in " Giorn. stor. " LV [1910] 399); Francesco di Vannozzo, Rime, a c. di A. Medin, Bologna 1928, XVI, XXIII, 131-132, 256-258; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, 284; N. Sapegno, Il Trecento, ibid. 1934, 114 e 467; ID., Storia letteraria del Trecento, Milano-Napoli 1963, 179.