GRILLO, Giacomo
Nacque a Genova il 4 dic. 1830 da Agostino, medico, e da Angela Maria Capurro.
Scarse le informazioni sulla sua giovinezza: proveniente da famiglia di condizioni non particolarmente agiate (due fratelli, Federico e Agostino, sono censiti nel 1856 rispettivamente come "droghiere e commissionario" e "impiegato civico"), dovette comunque ricevere una certa istruzione, presumibilmente di carattere commerciale. Secondo il necrologio apparso ne Il Fanfulla, dopo aver fatto il commesso in uno studio notarile ottenne un posto presso il Banco Parodi, dove lo notò C. Bombrini, che nel 1853 lo assunse, come applicato, presso la sede genovese della Banca nazionale degli Stati sardi, destinata a divenire, dopo l'Unità, la Banca nazionale nel Regno d'Italia (BNRI). Qui il G. percorse tutti i gradini della carriera: sottosegretario capo nel 1857, segretario capo nel 1860, nel 1863 fu promosso segretario generale; infine il 21 marzo 1882 successe a Bombrini nella direzione generale. Uguale carica ebbe per breve tempo nella neonata Banca d'Italia: nominato il 28 dic. 1893, fu collocato a riposo in seguito a domanda il 24 febbr. 1894.
Come segretario generale il G. si era occupato probabilmente dell'assetto organizzativo dell'istituto, in particolare in relazione all'ampliamento del numero delle filiali presenti sul territorio e ai trasferimenti della sede centrale da Torino a Firenze e poi a Roma. Al momento dell'assunzione della massima carica ereditò dal predecessore l'obiettivo al quale avrebbe consacrato le proprie energie e capacità tecniche: rendere la BNRI l'unica banca di emissione, eliminando la concorrenza degli altri istituti; tra di essi il solo effettivamente in grado di contrapporsi alla BNRI sul piano dell'espansione territoriale era il Banco di Napoli, con cui il G. condusse una prima battaglia nel 1884, approvando controvoglia la riduzione del tasso di sconto per far fronte alle analoghe misure adottate dal concorrente, non condizionato dalla presenza di azionisti e dalla necessità di corrispondere dividendi agli stessi.
In un momento nel quale le banche di emissione appoggiavano la politica di deficit spending di A. Magliani furono forse proprio la necessità di contrastare l'emergere del Banco di Napoli e l'opportunità di sfruttare la congiuntura conseguente all'abolizione del corso forzoso (1883) ad avvicinare il G. al ministro. La fiducia mostrata dal pubblico nella circolazione cartacea aveva infatti determinato l'accumularsi di ingenti quantità di riserve metalliche nelle casse degli istituti di emissione. A fronte di tali sussistenze e sotto la pressione dei responsabili di questi ultimi, tra i quali si distinse il G., il governo autorizzò l'incremento della circolazione, fino allora parametrata alla consistenza del patrimonio, avviando una spirale speculativa che fu favorita anche dall'afflusso di capitali stranieri.
A partire dalla fine del 1883, in occasione della presentazione del disegno di legge a opera di Magliani e di D. Berti, il G. saggiò anche, anticipando le più incisive azioni lobbistiche degli anni successivi, la possibilità di influenzare i progetti di riordino degli istituti di emissione, inviando ai ministri note di commento sugli articoli proposti e memorie su singoli argomenti, come quello della "riscontrata", e sostenendo il proprio disegno con pressioni sulla stampa e su vari parlamentari (tra i più noti, R. De Zerbi e G. Nicotera); né fu trascurata l'indispensabile proiezione all'estero, rappresentata dai fitti rapporti intrattenuti con banchieri francesi, inglesi e tedeschi: tra gli interventi in tal senso figurano quelli della primavera del 1885 e poi del 1891 a sostegno del cambio e del corso della rendita italiana sulla piazza di Parigi.
Su questo e su altri temi, quali l'andamento del tasso di sconto, il progetto di banca unica, e, più in generale, la situazione del credito in Italia, che soprattutto negli anni della crisi doveva essere presentata oltre confine in maniera più positiva della realtà, il G. si spinse fino a vere e proprie campagne di finanziamento della stampa straniera, come avvenne nel 1891 nei confronti dell'agente di borsa e giornalista F. Fournier. Quanto alla questione monetaria, il G., che condivideva le posizioni bimetallistiche di L. Luzzatti e di Magliani, seguì il dibattito teorico e l'evoluzione normativa in corso negli altri paesi europei, grazie anche alla nomina (3 sett. 1886) nel comitato permanente di studi e ricerche sulla questione monetaria.
Quando comparvero i primi segnali di difficoltà dell'economia nazionale, il G. cercò di ricondurre le operazioni nell'ambito di quelle ufficialmente consentite a una banca di emissione. Il tentativo di riportare a una forma più consona alla sostanza gli impegni assunti a sostegno del settore edilizio, trasformando in mutui ipotecari ciò che fin lì era stato erogato con lo strumento improprio degli sconti commerciali, fu infatti alla base della istituzione, autorizzata con r.d. 5 apr. 1885, di una autonoma sezione di credito fondiario retta da un comitato del quale il G. assunse la vicepresidenza. A tale iniziativa si affiancò anche quella della costituzione di un Istituto italiano di credito fondiario, avvenuta il 7 febbr. 1891 con il concorso di varie aziende di credito e, in misura inferiore a quella sperata dal G., del capitale tedesco. Su questa nuova creatura la BNRI riuscì a trasferire però solo una parte dei mutui della propria sezione che con legge 10 ag. 1893 fu posta in liquidazione senza aver raggiunto il proprio scopo.
Dal 1887, con l'inizio della crisi edilizia che coinvolse la BNRI in una serie di tentativi di salvataggio destinati a gravare pesantemente sul suo futuro, il G. dovette gestire le operazioni straordinarie sollecitategli non solo dalla classe politica al potere, in particolare da F. Crispi e G. Giolitti, ma anche dal suo stesso consiglio superiore, massimo organo deliberativo della banca ed espressione dei principali azionisti, presieduto in quel momento da G. Belinzaghi e tra i cui componenti spiccavano i nomi di G. Balduino, U. Geisser, A. Cilento, G. Parodi, L. Cavallini, M. Arlotta, tutti disponibili ad accogliere le richieste governative perché proprietari o azionisti delle banche finanziatrici delle società immobiliari e delle imprese costruttrici o, talora, direttamente interessati in esse.
Il primo intervento fu effettuato per sostenere la circolazione cambiaria dell'Impresa dell'Esquilino, una società immobiliare attiva soprattutto a Roma, che da quel momento, e fino alla legislazione del 1890, fu di fatto amministrata da un consorzio di banche creditrici e da un comitato ristretto presieduto dallo stesso G., che successivamente profuse l'impegno maggiore nel tentativo di salvare la Banca tiberina.
Il 23 febbr. 1887 il G. aveva appoggiato di fronte al consiglio superiore, che l'aveva respinta, la proposta del presidente della Tiberina, B. Caranti, di concorrere ad aumentare il capitale del Credito fondiario della BNRI in cambio dell'impegno di questo a erogare mutui a propri clienti entro un determinato ammontare. Il sostegno accordato era motivato dalla già debole condizione della Tiberina, che avrebbe influenzato, in caso di costituzione di un proprio Credito fondiario, il corso dei titoli emessi e, di riflesso, di quelli della BNRI. Come prevedibile, la situazione della Tiberina peggiorò, spingendo nel corso del 1889 il capo del governo, Crispi, e il ministro del Tesoro Giolitti a premere sulla BNRI e sul Banco di Napoli perché intervenissero anche per evitare gravi ripercussioni soprattutto sulla piazza di Torino, dove aveva sede il Banco di sconto e sete, principale creditore, oltre che azionista, della banca di Caranti. Al rifiuto del Banco di Napoli di aumentare il proprio impegno seguì il parere negativo del G., che aveva subordinato il proprio assenso al supporto dell'istituto meridionale. La sua opposizione a una operazione pure avvertita come estremamente rischiosa per la sopravvivenza stessa del proprio istituto non durò tuttavia a lungo. Consapevole di non poter negoziare l'aiuto richiesto, il G. tentò di trarne il maggior vantaggio possibile. Il 28 sett. 1889 firmò dunque, in cambio della concessione a un'eccedenza di circolazione pari all'aiuto fornito, la convenzione con la quale la BNRI accordava alla Tiberina lo sconto di cambiali per 40 milioni di lire, compresi quelli già erogati, accollandosi di fatto il suo debito nei confronti di altri istituti di credito e acquisendone in cambio le ipoteche sulle proprietà e i crediti vantati verso terzi.
Sempre sul finire del 1889 il G. assentì all'intervento in favore della Compagnia fondiaria italiana di U. Geisser. Due anni dopo fu la volta della Società di risanamento Napoli. In questo caso il G. convinse Crispi a ottenere da tutti gli altri istituti di emissione una compartecipazione all'erogazione dei 20 milioni necessari per rimborsare il sindacato italo-tedesco della somma anticipata alla società. Uguale disponibilità trovarono poi nel G. le pressioni degli ambienti governativi a favore di aziende sull'orlo del fallimento, specialmente nel settore industriale. In quest'ultimo l'unico esempio positivo fu quello delle Acciaierie Terni.
L'aggravarsi della crisi, accompagnato dal progressivo incremento della circolazione non garantita da riserve metalliche, aveva intanto reso più urgente un profondo riassetto degli istituti d'emissione. Mentre era in corso il dibattito tra i fautori della banca unica, in grado di sostenere la politica economica del governo, e i "pluralisti", nei quali prevaleva, in forme diverse, la volontà di favorire lo sviluppo degli istituti minori, il G. colse l'occasione per riprendere il suo progetto stringendo i rapporti con Crispi, ispiratore del primo schieramento.
Dapprima, tuttavia, l'intervento fu di carattere difensivo ed ebbe origine dalle modifiche apportate dalla commissione parlamentare al disegno di legge presentato alla fine del 1887 ancora da Magliani, stavolta insieme con B. Grimaldi. Il progetto era presto decaduto ma la possibilità che esso venisse ripreso accogliendo gli emendamenti peggiorativi della commissione spinse il G. a rivolgersi a Crispi, l'11 genn. 1889, e poi con altre due memorie il 1° e il 25 giugno, per affrontare decisamente i due nodi della questione: l'eccesso della circolazione e quello, strettamente collegato, della "riscontrata".
La presa di posizione in senso restrizionista del G., in apparente contraddizione con la politica di espansione del credito, appare prevalentemente dettata da motivi connessi al contrasto avviato da qualche anno con la Banca romana a causa della condotta di quest'ultima, che utilizzava il favore accordato dalla normativa vigente agli istituti minori riguardo alla riscontrata per porre in circolazione ingenti quantità di biglietti emessi, come si sarebbe scoperto solo in seguito, in maniera abusiva.
Un cenno a parte meritano proprio i rapporti del G. con l'istituto di B. Tanlongo, al di là di quanto concerne la successiva assunzione della sua liquidazione. Se da un lato egli non rinunciò a contrastare la Banca romana sulla riscontrata, dall'altro tentò anche, invero con scarsa convinzione, di portare avanti, in particolare nella seconda metà del 1892, alcuni tentativi di fusione con la stessa. Serio imbarazzo, e una forte lettera di diniego e di protesta, approvata anche dal consiglio superiore il 28 nov. 1893, suscitò l'accusa rivoltagli dal deputato A. Mordini, presidente della commissione di inchiesta parlamentare sulle banche, di aver aiutato il Tanlongo, del cui istituto si riteneva che non potesse non conoscere le reali condizioni, a coprire il vuoto di cassa riscontrato nel luglio 1889 con un'anticipazione di 10 milioni.
Sul finire del 1889 il G. riprese comunque l'offensiva. Il 3 dicembre prospettò a Crispi la costituzione di una "banca dello Stato", con il nome di Banca d'Italia, in forma di società per azioni con un capitale di 250 milioni. L'80% di questo sarebbe stato riservato agli ex soci della BNRI e il resto ripartito tra gli altri istituti di emissione in cambio della rinuncia a tale facoltà.
Il progetto delineava molto chiaramente i confini che il G. attribuiva alla banca unica: graduale incremento della circolazione fino a un miliardo di lire; assunzione del servizio di Tesoreria dello Stato; anticipazione allo stesso dell'importo occorrente per far fronte alla liquidazione della Regia dei tabacchi; cambio dei biglietti a corso legale; formazione di un comitato presieduto dal ministro del Tesoro o del Commercio e con la presenza del presidente del consiglio superiore e del direttore generale, che avrebbe esaminato periodicamente la situazione dell'istituto e deliberato su questioni connesse al commercio e alla circolazione.
Malgrado il sostegno di una nutrita campagna di stampa - comprendente gli interventi de L'Economista di A. De Johannis -, il progetto venne però abbandonato: poco dopo gli eventi cominciarono infatti a muoversi apparentemente a favore degli altri istituti, che beneficiarono anche dell'abolizione di fatto della riscontrata, grazie all'emanazione del decreto del 30 ag. 1891. Caduto Crispi, Giolitti propose, alla fine del '92, una proroga di sei anni della facoltà di emissione dei biglietti concessa alle banche. L'ampia dilazione riscosse l'approvazione del G., in quanto avrebbe permesso al suo istituto di avviare con più tranquillità la dismissione delle immobilizzazioni.
Il montare dello scandalo della Banca romana, provocando un'ispezione agli istituti di emissione sotto la guida del senatore G. Finali, bloccò però ogni manovra dilatoria. Contemporaneamente Giolitti avviò la preparazione della legge costitutiva della Banca d'Italia. In questo momento decisivo il G. approfittò dell'impossibilità per il governo di reperire rapidamente i capitali occorrenti a fondare un nuovo istituto di emissione, come richiesto per esempio da S. Sonnino. Il 19 genn. 1893, all'indomani della stipula della convenzione che regolava la fusione della BNRI con la Banca nazionale toscana e con la Banca toscana di credito, egli poté dichiarare al consiglio superiore che, pur a fronte di una rinuncia alla costituzione di una vera e propria banca unica, vista la fermezza del governo nel voler mantenere in vita il Banco di Napoli e quello di Sicilia, l'indirizzo che avrebbe determinato il definitivo predominio dell'istituto era ormai tracciato. A partire da allora i contatti con Giolitti divennero più frequenti e il G. partecipò attivamente all'elaborazione della legge.
È interessante notare la qualità dei rapporti intrattenuti con lo statista, al quale il G. non si astenne dall'esprimere opinioni molto nette su questioni che riteneva di vitale importanza per la futura Banca d'Italia. È quanto emerge dalla memoria inviata a Giolitti il 7 marzo 1893, relativa all'eccedenza di circolazione da autorizzare per l'assunzione della liquidazione della Banca romana. In essa il G. distingueva nettamente tra l'eccedenza di circolazione autorizzata per le operazioni di salvataggio - coperta, scriveva, da proprietà che prima o poi si sarebbe riusciti a dismettere - e quella di 50 milioni prevista per sostituire le banconote della Banca romana, per la quale proponeva che il Tesoro costituisse a garanzia biglietti di Stato per un pari importo. Al di là della risposta di Giolitti, che cedette solo parzialmente, accettando la proposta alternativa del presidente del consiglio superiore Parodi di emettere non già biglietti bensì titoli di Stato, colpisce il tono usato dal G. e il richiamo alle responsabilità morali del governo: "Con quella somministrazione lo Stato riconosce ed afferma la propria responsabilità pel fatto della emissione fraudolenta di biglietti della Banca Romana. In pari tempo però esso dà alla nuova Banca l'incarico di ritirarli dalla circolazione e pattuisce con essa che la perdita derivante da tutta la liquidazione […] starà a suo carico in correspettivo di vantaggi, concessioni e privilegi dallo Stato accordatile. […] Un diverso modo di risolvere il punto in esame offrirebbe agli oppositori larga messe di considerazioni per combattere […] il progetto bancario, mettendo in evidenza i vizi d'origine del nuovo Istituto e la difficoltà o la impossibilità in esso a migliorare seriamente nell'interesse del paese, il credito e la circolazione".
Il 22 marzo fu finalmente presentato alla Camera il disegno di legge; nel serrato dibattito che seguì non furono risparmiate aspre critiche alla BNRI. Più tardi il G. dovette ancora attivarsi per contrastare gli emendamenti introdotti dalla commissione speciale incaricata dell'esame della legge, volti a ridurre la circolazione iniziale del nuovo istituto, ad accollare allo stesso tutte le perdite derivanti dalla liquidazione della Banca romana (e non solo i 50 milioni previsti inizialmente) e a non esentare dalla tassa di circolazione i biglietti emessi a fronte dell'operazione. Il filo diretto con Giolitti permise al G. di ottenere l'eliminazione delle ultime due condizioni peggiorative: anzi, il testo finale della legge ridusse ulteriormente le perdite previste a 40 milioni. Invece non sollevò proteste l'introduzione del consenso governativo alla nomina del direttore generale, prassi che innovava in modo del tutto anomalo l'ordinamento di quella che restava pur sempre una società per azioni. Il 10 ag. 1893 si giunse infine all'emanazione dell'atto bancario, che rappresentò, con tutti i limiti del caso, il momento del massimo successo per il Grillo.
Già il 23 novembre, nel corso di una riunione congiunta dei consigli della BNRI e delle banche toscane per l'approvazione dello statuto della Banca d'Italia, alla redazione del quale il G. aveva partecipato, vennero espresse lamentele per le modifiche apportate dalla commissione parlamentare prevedendo l'approvazione governativa anche per la nomina dei vicedirettori generali. Dimessosi poi Giolitti, fu chiamato al Tesoro Sonnino che, pur decidendo di non contrastare l'entrata in vigore della legge appena approvata, riuscì tuttavia ad applicare il principio di un più stretto controllo del nuovo istituto di emissione da parte dell'esecutivo. Ciò avvenne nel momento peggiore della crisi, a ridosso della caduta delle due maggiori banche italiane: la Società generale di credito mobiliare e la Banca generale, nei confronti delle quali la Banca d'Italia, pena la sua stessa esistenza, non poté intervenire come aveva fatto per altre società. Il 23 genn. 1894 inoltre, mentre il sistema creditizio sembrava sul punto di cedere definitivamente, il G. comunicò a Sonnino la gravissima misura della sospensione delle anticipazioni a causa del superamento del limite legale della circolazione. Il ministro reagì autorizzando un'eccedenza tale da permettere alle casse di risparmio di far fronte alle richieste di rimborso dei depositi da parte della clientela, obbligando nel contempo gli istituti di emissione a versare al Tesoro, sui due terzi dell'eccedenza stessa, una pari quota del tasso legale di sconto. Il G. replicò pubblicamente con un'intervista; altrettanto forte fu la sua protesta contro l'ispezione straordinaria ordinata il 15 febbraio, quando dispose di non rendere noti agli incaricati i nomi dei clienti della Banca.
Egli era però destinato a uscire sconfitto dallo scontro: occasione fu il ripristino del corso forzoso, di fatto già operante da diversi anni, attuato con il decreto del 21 febbraio. Con esso Sonnino elevò la circolazione dei biglietti di Stato da 400 a 600 milioni, impegnando però gli istituti di emissione a tenere a disposizione del Tesoro una riserva in oro pari all'incremento accordato. Il G. non poté accettare quella che sentì come l'ultima provocazione: il 24 febbraio, dichiarando di non voler causare contrasti tra il governo e il consiglio superiore, presentò le proprie dimissioni al presidente di quest'ultimo, F. Ceriana, ripercorrendo nel corso dell'assemblea degli azionisti tenutasi lo stesso giorno a Firenze alcuni dei momenti nei quali negli ultimi anni, a suo parere, maggiori e ingiustificate erano state le ostilità verso la Banca. Il giorno dopo il G. fu sostituito da G. Marchetti.
Non sarebbe vissuto ancora a lungo: morì infatti a Roma il 2 febbr. 1895, secondo quanto riportato da La Tribuna, per "nefrite e vizio cardiaco".
Il ruolo del G. non si esercitò esclusivamente all'interno dell'istituto di appartenenza. Con r.d. 13 marzo 1884 fu nominato componente del consiglio dell'industria e del commercio: due anni dopo, in una relazione sulla istituzione del credito coloniale, sottolineò la necessità della costituzione di una apposita banca in grado di favorire anche lo sviluppo di società commerciali. Nel maggio 1885 lasciò la carica che per circa un triennio, su impulso di D. Balduino, aveva ricoperto nel consiglio d'amministrazione delle Ferrovie meridionali. Il 13 giugno 1886 fu eletto consigliere comunale a Roma, ma si dimise il 4 marzo successivo. Dopo l'approvazione della legge di riforma del credito agrario del gennaio 1887 divenne membro della commissione reale per la compilazione del relativo regolamento applicativo. Nel 1894 fece anche parte della commissione per i danneggiati del terremoto nei comuni delle province di Porto Maurizio, Genova e Cuneo. Fu insignito del titolo di grande ufficiale della Corona d'Italia e dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
L'esame della figura del G. - grazie anche a una più recente e aggiornata rilettura critica - ne evidenzia sia le capacità tecniche e politiche, sia il ruolo svolto nella elaborazione della legge costitutiva della Banca d'Italia. Permane comunque la fondatezza delle critiche, rivoltegli dai suoi contemporanei e dagli storici (primi fra tutti M. Pantaleoni e A. Confalonieri), circa una sua arrendevolezza alle richieste governative e alle pressioni esercitate su di lui dai proprietari della Banca, ossia da quel gruppo storico di azionisti, riconducibili soprattutto all'area della finanza genovese e piemontese, in seno al consiglio superiore.
Il G., d'altronde, non fu mai un mero esecutore di ordini. Nell'ambito di un progetto di banca unica all'interno del quale condurre a soluzione tutte le difficoltà contingenti e le strozzature strutturali dell'economia e della finanza italiana, prevalse in lui una visione aziendalistica. Egli accettò consapevolmente il vincolo fondamentale agli interessi della proprietà anche se, pur non potendo ancora essere considerato un vero e proprio banchiere centrale, dovette fare i conti con l'amplificarsi di necessità pubbliche, con l'impreparazione della classe di governo ad affrontare il nuovo fenomeno e con l'inadeguatezza degli strumenti tecnici di conduzione della politica monetaria. Non è quindi paradossale che, nel momento in cui aveva apparentemente raggiunto l'obiettivo, egli risulti sconfitto dalla visione di Sonnino di un istituto di emissione in grado di sostenere la politica economica e monetaria del governo senza essere condizionato dagli interessi degli azionisti.
Il 28 apr. 1860 aveva sposato Rosa Anielli. Il figlio Carlo sposò Carolina Ponte, figlia di Aurelio, segretario generale della Banca nazionale nel Regno e primo vicedirettore generale della Banca d'Italia.
Fonti e Bibl.: Le poche notizie sulle origini della famiglia G. sono reperibili in Arch. stor. del Comune di Genova, Registri di leva, 1830; Registri di censimento: 1827, Quartiere del Molo; 1856, lettera GR; 1856, Ruolo di variazioni, vol. 57.
Necrologi in: Il Fanfulla, 4 febbr. 1895 (elogiativo); L'Economista, 10 febbr. 1895; La Tribuna, 4 febbr. 1895 (critico). Fonte principale per la biografia del G. è il vasto materiale conservato a Roma presso l'Arch. stor. della Banca d'Italia. Le tappe della carriera sono riassunte nel fondo Segretariato, Personale degli impiegati, vol. 2. Per la ricostruzione delle scelte ufficiali del G. nel suo ruolo di direttore generale e la dialettica con gli azionisti dell'istituto è necessario fare ricorso, nell'omonimo fondo, ai Verbali del consiglio superiore della Banca naz. nel Regno, 1882-94, e, nello stesso periodo, alle relazioni del G. alle Adunanze generali degli azionisti, a stampa. Per gli interessi, la rete di contatti interni ed esteri e la corrispondenza con i principali esponenti politici del tempo, si vedano i fondi: Direttorio, Grillo; Segretariato, Pratiche; Gabinetto, Pratiche; Studi, Copialettere. Per il salvataggio dell'Impresa dell'Esquilino, i resoconti delle riunioni consortili si trovano nel fondo Liquidazioni, Impresa dell'Esquilino, Verbali del Consorzio per l'Impresa dell'Esquilino.
Per i rapporti con Crispi e Giolitti, v. Roma, Arch. centr. dello Stato, Carte Crispi-Palermo, b. 152, f. 1546; sc. 38, f. 239; Roma, f. 147; Presidenza del Consiglio dei ministri, Segreteria, 1890, ff. 1408, 1410; Carte Giolitti, I e II versamento, b. 7 bis, ff. 109, 110. In T. Palamenghi Crispi, Giolitti. Saggio storico-biografico, Roma 1913, pp. 71-78, è la lettera del G. a Crispi del 12 maggio 1893 e la risposta di questo in merito al debito contratto dallo statista con la BNRI nel 1887 e rimborsato solo in parte e all'uso politico che Giolitti avrebbe voluto fare di tale notizia. La corrispondenza con Luzzatti è conservata nell'Archivio Luzzatti presso l'Istituto veneto di scienze, lettere e arti di Venezia. Altri cenni e corrispondenza in: G. Giolitti, Memorie della mia vita, Monza 1945, ad ind.; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, I, a cura di P. D'Angiolini, Milano 1962, ad indicem.
Sull'operato del G. attraverso le carte della cosiddetta commissione dei sette: Camera dei deputati, Atti, legislatura XVIII, sessione I, Atti della commissione d'inchiesta parlamentare sulle banche, n. 169 F, Interrogatori, ad ind.; n. 169 H, Indagini d'ordine personale, p. 9; n. 169 I e I bis, Processo della Banca romana, ad indicem. La relazione sul credito coloniale fu pubblicata con il titolo Istituz. del credito coloniale, in Annali dell'industria e del commercio, 1886, pp. 1-125. Inoltre: Credito agrario. Atti della commissione reale incaricata di compilare lo schema di regolamento, in Annali del credito e della previdenza, 1887. A stampa anche: G. Grillo - E. Appelius, Osservazioni delle banche nazionale nel Regno, nazionale toscana e toscana di credito sul disegno di legge per il riordinamento degli istituti d'emissione presentato alla Camera dei deputati il 22 marzo 1893, Roma 1893.
Nella vasta letteratura sul ruolo della BNRI si segnalano, con specifica attenzione alla figura del G., oltre all'opera, autodifensiva per il ruolo giocato nello scandalo della Banca romana, di A. Monzilli, Note e documenti per la storia delle banche di emissione in Italia, Città di Castello 1896, pp. 192-195 e passim, e a quella severamente critica di M. Pantaleoni, La caduta della Soc. gen. di credito mobiliare italiano, Napoli 1977, pp. 118, 196 s.; anche E. Corbino, Annali dell'economia italiana, IV, Città di Castello 1934, pp. 332 s., 357; N. Quilici, Fine di secolo. Banca romana, Milano 1935, ad ind.; L. De Rosa, Il Banco di Napoli e la crisi economica del 1888-1894. Tramonto e fine della gestione Giusso, in Rassegna economica, XXVII (1963), 2, pp. 391-394, 402-404, 407-410; Id., Carestia di capitali, ibid., XXVIII (1964), 1, pp. 28, 53-56, 72; Alla ricerca di una politica anticongiunturale, ibid., 2, pp. 359, 392; Id., Il riordinamento bancario: premessa per la liquidazione della crisi e l'inizio di una ripresa, ibid., XXIX (1965), 1, pp. 101 s., 108, 128, 136 s.; G. Luzzatto, L'economia italiana dal 1861 al 1894, Torino 1968, ad ind.; G. Manacorda, Crisi economica e lotta politica in Italia, 1892-1896, Torino 1968, pp. 171, 173-175, 186-188; E. Vitale, La riforma degli istituti di emissione e gli "scandali bancari" in Italia, 1892-1896, Roma 1972, ad ind.; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia (1894-1906), I-II, Torino 1974-75, ad indicem. Si segnalano, anche per il ricco apparato documentario, i volumi della "Collana storica della Banca d'Italia - Documenti": Giolitti e la nascita della Banca d'Italia nel 1893, a cura di G. Negri, Roma-Bari 1989, ad ind.; Gli istituti di emissione in Italia. I tentativi di unificazione, 1843-1892, a cura di R. de Mattia, ibid. 1990, ad ind.; L'Italia e il sistema finanziario internazionale, 1861-1914, a cura di M. de Cecco, ibid. 1990, ad ind.; S. Cardarelli, La questione bancaria in Italia dal 1860 al 1892, I, ibid. 1990, pp. 162, 168.
Sul contenzioso tra il G. e gli eredi di Bombrini e sulla scoperta di crediti fittizi concessi dalla BNRI durante la sua amministrazione e di operazioni effettuate a titolo personale, v. R.P. Coppini, C. Bombrini finanziere e imprenditore, in Storia dell'Ansaldo, I, Le origini, 1853-1882, a cura di V. Castronovo, Roma-Bari 1994, pp. 61 s., 69, 74. Per le operazioni nei confronti di società immobiliari v. anche M. Bocci, Banche e edilizia a Roma tra Otto e Novecento, in Roma moderna e contemporanea, VII (1999), 1-2, pp. 127-133; S. Masi, Il credito fondiario della Banca nazionale nel Regno d'Italia ed il finanziamento dell'edilizia romana (1885-1893), ibid., VIII (2000), 3, p. 499; Id., Politica monetaria e credito immobiliare: la sezione fondiaria della Banca nazionale (1885-1893), in Studi storici, XLVII (2001), pp. 62 s. e passim.
L'intervista rilasciata dal G. dopo il decreto di Sonnino è riportata ne Il Caffaro, 2 febbr. 1894; sullo stesso giornale, v.: Le dimissioni del comm. Grillo, 21 febbr. 1894. Inoltre: La successione del comm. G., in Il Fanfulla, 25 febbr. 1894; Il comm. G. e il comm. Marchiori alla direzione della Banca d'Italia, in L'Economista, 4 marzo 1894.