GRIZIOTTI, Giacomo
Nacque l'11 maggio 1823 a Corteolona, vicino Pavia, da Antonio, cancelliere capo del tribunale di quella località, e da Lucrezia Ghislanzoni. Seguì i corsi di ingegneria presso l'Università di Pavia, ma non concluse gli studi perché impegnato, come la gran parte degli studenti, nell'attività politica antiaustriaca. Incarcerato il 16 marzo 1848 per avere manifestato in favore dello statuto albertino, fu liberato dai volontari lomellini, genovesi e piemontesi che attraversavano Pavia, diretti verso Milano insorta; allo scoppio della guerra si arruolò nella compagnia dei volontari pavesi aggregata alla brigata "Piemonte" dell'esercito sardo e con essa combatté a Pastrengo, Peschiera e Sommacampagna, ottenendo la nomina a sergente d'artiglieria e stringendo con alcuni dei suoi commilitoni (A. Maiocchi, A. Bassini, B. Cairoli) un sodalizio umano e politico destinato a durare tutta la vita.
Sciolta la compagnia il 29 luglio, il G. si portò a Venezia per partecipare alla strenua resistenza della città fino alla capitolazione (22 ag. 1849): in precedenza era stato nominato luogotenente (decreto della Repubblica veneta, 22 giugno 1849) e si era meritato il pubblico apprezzamento del generale Guglielmo Pepe.
In fuga da Venezia, dopo un rocambolesco viaggio via Grecia, Malta e Sicilia fino a Genova del quale ha lasciato un taccuino inedito, nell'ottobre 1849 il G. riparò ad Arena Po, un paesino in territorio piemontese poco distante dal confine con il Lombardo-Veneto. Qui acquistò una drogheria, che utilizzò come copertura per favorire gli espatri clandestini in Piemonte e per introdurre materiale di propaganda antiaustriaca in Lombardia. Orientato su posizioni repubblicane per influenza di Maiocchi, lui pure approdato ad Arena Po, entrò in rapporto con il comitato rivoluzionario che operava a Pavia sotto la direzione di B. Cairoli e, tramite questo, con altri gruppi mazziniani in Liguria, Piemonte e Lombardia. Coinvolto tanto nella cospirazione di Mantova, che condusse alle esecuzioni di Belfiore (1852-53), quanto nella fallita insurrezione di Milano (6 febbr. 1853), nel primo caso riuscì a sfuggire alla cattura, nel secondo fu arrestato da una squadra a cavallo piemontese che aveva sorpreso la colonna di circa cento volontari - della quale il G. faceva parte con B. Cairoli, A. Bassini, A. e G. Sacchi - mentre ripiegava lungo il Po con un carico di armi dopo avere inutilmente atteso che da Milano giungesse il segnale per avviare il "colpo molto ardito preparato anche per Pavia" (Cassola, p. 27). Incarcerato ad Alessandria, fu espulso in Svizzera con G. Sacchi e Cairoli. Nuovamente arrestato a Locarno ed estradato dalle autorità elvetiche, nell'autunno 1854 riuscì a tornare ad Arena Po.
Impulsivo e irruente, "incapace di tenere lungamente a briglia l'umore balzano" (Bandi, p. 72), il G. era ispirato da profondi sentimenti patriottici, che esprimeva unicamente attraverso l'azione, foss'anche individuale, come dimostra il sabotaggio compiuto nel 1859 ai danni di una pattuglia di ulani in perlustrazione nei boschi lungo il Po. Dopo i fatti del 1853, pur mantenendosi fedele ai principî mazziniani, sposò sulla scia di Cairoli il più realistico progetto di G. Garibaldi, il quale, avendo in lui uno dei referenti in Lombardia, nel 1856 lo incaricò, insieme con Cairoli, di raccogliere fondi per la causa italiana. Al G. si ricollegano molti degli episodi di protesta e di resistenza passiva alla dominazione asburgica che agitarono Pavia nel biennio 1857-59. Gli studenti, in particolare, subivano il suo fascino e "l'autorità dell'esperto cospiratore" (Adamoli, p. 4). Sin dal gennaio 1859, avvicinandosi la prospettiva della guerra all'Austria, la sua casa di Arena Po si trasformò in centro di accoglienza e di smistamento per volontari.
Dopo aver collaborato alla costituzione del corpo dei Cacciatori delle Alpi, nella campagna del 1859, con il grado prima di tenente e poi di capitano, il G. fu protagonista di episodi di valore (come la traversata del lago Maggiore, il 28 maggio, compiuta di notte con G. Visconti Venosta e I. Nievo per trasportare da Arona a Varese quattro obici da montagna) che accrebbero la sua fama di uomo audace e temerario. Insignito di medaglia d'argento per azione di artiglieria a Bormio (8 luglio), dopo l'armistizio di Villafranca seguì Garibaldi al quartier generale di Bologna, dove, in un clima di tensione e di incertezza, svolse funzioni di collegamento tra i volontari, impazienti di passare all'azione, e il generale, impegnato, peraltro senza successo, a concordare con Cavour e con Vittorio Emanuele II un'iniziativa nell'Italia centrale. Partito il 5 maggio 1860 insieme con gli amici della cerchia cairoliana con la prima spedizione per la Sicilia, venne applicato allo stato maggiore del generale e incaricato di comandare la 9ª compagnia. Ferito a un braccio nella battaglia di Calatafimi, fu promosso maggiore. Nominato tenente colonnello, ai primi di ottobre ottenne il comando del 2° reggimento della brigata "Basilicata", divisione "Medici", e partecipò alle operazioni sul fronte del Volturno. A lui Garibaldi, uscendo il 7 nov. 1860 dal palazzo reale a Napoli, dopo l'incontro con il re Vittorio Emanuele II, avrebbe dichiarato: "Caro Griziotti, ho finito!" (Bandi, p. 368).
Mosso dal desiderio di garantire stabilità economica alla famiglia che aveva da poco formato ad Arena Po, il G. optò per l'inquadramento nell'esercito regolare ottenendo che gli fosse riconosciuto il grado di tenente colonnello di fanteria. Tuttavia, le lettere del periodo febbraio-ottobre 1861, quando con il suo reggimento si trovò stanziato presso il deposito militare di Biella, rivelano uno stato di profondo disagio e testimoniano le difficoltà oggettive che ostacolavano l'integrazione dei combattenti garibaldini nell'esercito regolare.
Proprio questa incompatibilità fu all'origine di un evento devastante nella vita del Griziotti. Collocato a disposizione presso il distretto militare di Voghera a causa di una malattia invalidante, si trovò circondato dall'ostilità degli altri ufficiali, che non apprezzavano il suo pertinace garibaldinismo. Una leggerezza del G., che non aveva immediatamente rilevato e restituito una piccola somma in eccesso nel suo stipendio, offrì il pretesto per montare un caso contro di lui. Denunciato al ministro della Guerra, nel settembre 1863 fu sottoposto al consiglio di disciplina e, giudicato colpevole di "mancanza contro l'onore" (copia di una lettera di A. Maiocchi a G. Medici, 17 luglio 1870, in Archivio storico civico di Pavia, Sacchi, pos. III, b. 144), fu degradato, privato degli assegni ed espulso dall'esercito. Il movimento democratico e garibaldino si mobilitò prontamente in sua difesa, sostenendo che dopo Aspromonte il governo aveva gettato discredito su uno degli uomini più vicini al generale per colpire e umiliare Garibaldi stesso. Tuttavia, la campagna condotta per mesi dal giornale Il Diritto non valse a modificare la sentenza. In questa circostanza il maggior conforto venne al G. da una lettera di Garibaldi, severissimo verso la "consorteria di bugiardi sapienti" che vituperava gli autentici patrioti (lettera del 29 ott. 1863, ibid., Fondo Risorgimento, cart. V).
La guerra del 1866 gli fornì l'occasione del riscatto. Arruolatosi con i fratelli Marcello e Antonio nel corpo dei volontari italiani, il 24 giugno si trovava già a Salò, presso il quartier generale di Garibaldi, che gli restituì d'autorità il grado di tenente colonnello e lo pose al comando del 6° reggimento, affidandogli dopo Custoza il compito strategicamente importante di fortificare Brescia. Alla fine della campagna, Garibaldi ottenne dal ministro della Guerra la promessa della sua completa riabilitazione, ma la pratica burocratica non arrivò mai a completamento. Per motivi di salute il G. non riuscì a intervenire nell'impresa di Mentana, alla quale tuttavia contribuì impegnandosi a raccogliere armi e fondi. Nel 1868 fu designato presidente dell'Associazione tra i reduci dalle patrie battaglie di Pavia.
Trascorse gli ultimi anni conducendo in affitto un terreno degli Ospizi civili di Piacenza. Morì ad Arena Po il 20 nov. 1872.
Fonti e Bibl.: Lettere del G., in buona parte inedite, si conservano a Pavia, presso l'Archivio storico civico, nei fondi Sacchi (pos. III, b. 144), Risorgimento (cartt. IV e V) e Cairoli (cartt. XV, b. 677; XXX, b. 7). Di tali fondi sono pubblicati i cataloghi: Inventario delle carte di Gaetano Sacchi, a cura di M. Milani, Pavia 1962; Archivio della famiglia Cairoli, a cura di G. Zaffignani, in Risorgimento pavese, Pavia 1982, pp. 74-91, e G. Zaffignani, Archivio del Risorgimento, ibid., pp. 92-98. Necrologi in: La Canaglia, 24 novembre e 1° dic. 1872; La Libertà, 23 nov. 1872. Tra le fonti riferimenti al G. in E. Conti, Cenni storici sulla vita del colonnello G. G., Pavia 1882; B. Cairoli, Discorso pronunciato nella solenne inaugurazione del monumento a Garibaldi in Pavia. 11 maggio 1884, Pavia 1884, p. 8; C. Cassola, Tentativo di insurrezione del febbraio 1853 in Milano e altre memorie politiche, Pavia 1896, pp. 26-28; Alcuni documenti relativi alla difesa di Brescia nel 1866. In memoria del ten. colonnello cav. G. G., a cura di A. Griziotti, Pavia 1901; G. Bandi, I Mille: da Genova a Capua (1902), Milano 1977, pp. 72 s., 100, 364, 368; M. Rosi, I Cairoli, Milano-Roma 1908, pp. 39, 45; G. Adamoli, Da San Martino a Mentana, Milano 1911, p. 4; R. Rampoldi, Pavia nel Risorg. nazionale, Pavia 1927, ad dies e pp. 269, 273; M. Milani, Il movimento garibaldino in Lombardia. 1859-1860, Pavia 1969, pp. 13, 26, 58, 64; Vicende di Giacomo (I) Griziotti, in Un cognome, due famiglie, un patriottismo: dalle guerre garibaldine alla seconda guerra mondiale, a cura di A. Griziotti, Pavia 1987, pp. 11-15; G. De Paoli, Benedetto Cairoli. La formazione etico-politica di un protagonista del Risorgimento, Pavia 1989, pp. 122, 189, 190; G. Monsagrati, La cospirazione mazziniana nel Lombardo Veneto dopo il 6 febbr. '53 attraverso le carte della raccolta Cavalli, in Mazzini e la Lombardia, a cura di G. De Paoli, Pavia 1998, pp. 99 s.; Ad familiares. Politica e privato nell'epistolario di B. Cairoli, a cura di M. Brignoli, Pavia 2000, pp. 353-359; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.