POZZI, Giacomo Ippolito
POZZI, Giacomo Ippolito (in religione Cesareo Giuseppe). – Nacque a Bologna il 5 novembre 1718, figlio di Giuseppe e della sua prima moglie, Saveria Collenghi di Cremona, morta nel 1719. Ebbe due fratelli da parte di padre: Vincenzo, poi lettore di chimica presso l’Istituto delle scienze di Bologna, e una sorella monacata presso il monastero bolognese di S. Vitale.
Giuseppe di Jacopo di Ippolito Pozzi fu figura di primo piano nella vita culturale bolognese del primo Settecento. Allievo di Pietro Nanni e Giovanni Antonio Stancari, si laureò in medicina a Bologna nel 1717, divenendo nel 1725 professore ordinario di medicina nella medesima Università. Nel 1718 fu ascritto all’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, di cui rimase membro fino a divenirne presidente nel 1748. Assiduo cultore dell’anatomia (pubblicò molte delle sue osservazioni sui Commentari accademici), il suo nome è legato a un episodio ai margini della famosa contesa scientifica tra Giovanni Battista Morgagni e l’anatomico torinese Giovanni Battista Bianchi a proposito dell’esistenza dei dotti cisto-epatici: uno scambio di lettere tra lui stesso e il medico riminese Giovanni Bianchi (Jano Planco) del 1726, che aveva lo scopo di denunciare il plagio delle osservazioni condotte dal bolognese Gaetano Tacconi, stampate in coda alla prima edizione delle Epistolae anatomicae (Leida 1728) di Morgagni e spesso usate dai contemporanei a conferma dell’inesistenza dei dotti. Ritiratosi dalla professione, si dedicò alla composizione poetica (che ebbe discreto successo di stampa) e, salito al soglio pontificio nel 1740 l’amico Prospero Lambertini, ne divenne archiatra aggiunto o straordinario (meritando così il titolo di monsignore). Morì a Bologna il 2 settembre 1752.
Ricevuta in casa l’educazione elementare, nel 1730 Giacomo fu inviato a completare gli studi presso il Collegio della Congregazione dei monaci olivetani di S. Michele in Bosco a Bologna. Nel 1734 prese i voti (adottando il nome di Cesareo Giuseppe) dopo un anno di noviziato. Iniziò allora gli studi superiori: filosofia, teologia e soprattutto matematica, materia in cui era particolarmente versato e a cui venne addestrato dal confratello Ramiro Rampinelli, lettore a S. Michele dal 1733 al 1740. Bresciano, futuro lettore di matematiche a Pavia, precettore a Milano di Maria Gaetana Agnesi e mentore di Paolo Frisi, Rampinelli era uno dei pochi italiani allora competenti nel calcolo integrale leibniziano, istruitovi da Gabriele Manfredi, del quale anche Pozzi si dichiarava allievo (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 91, c. 29r).
Pozzi lodò in più occasioni i meriti del maestro: in versi (Canzona, Bologna s.d. [ma 1739]) e nei necrologi che compose in occasione della sua morte; uno conservato nell’Archivio dell’Abbazia del Monte Oliveto Maggiore di Siena (edito in Succi, 1992, pp. 209-213) e un altro per il Giornale de’ letterati. Interessante la menzione di se stesso nel necrologio manoscritto: «[Rampinelli] Ebbe molti discepoli, e specialmente D. Cesareo Pozzi bolognese, della medesima Congregazione monastica, giovane, come dicono, di grandissimo ingegno, che egli istruì nelle lettere umane e nelle matematiche discipline. In quelle fece progressi mediocri, in queste quanto la sua natura ardente e insofferente lo sorreggeva…» (p. 210).
Dal 1740 le tabulae familiarum del suo Ordine lo registrano tra i residenti del monastero di S. Maria Nova di Roma. Probabilmente nell’Urbe al seguito del padre, nel 1742 vi fu assunto all’Università Sapienza come coadiutore del lettore di matematica Diego de Revillas per le lezioni serali. Già nel 1744 era titolare della cattedra, che avrebbe mantenuto fino al 1778 con brevi interruzioni. Mentre, come coadiutore, a lui era spettata la lettura delle ‘matematiche miste’ (idraulica, astronomia ecc.), dal 1751 queste materie divennero di competenza del minimo Thomas Le Seur (che peraltro Pozzi riconosceva come suo maestro), mentre egli leggeva ininterrottamente elementi di aritmetica, geometria, algebra, quest’ultima probabilmente da intendersi come analisi. L’olivetano aveva allora già avuto un ruolo molto importante nella riforma attuata da Benedetto XIV alla Sapienza nel 1747, quella che aveva portato in cattedra Le Seur e il confratello Francois Jacquier (per la fisica sperimentale), anch’egli maestro di Pozzi a Roma. Era stato Cesareo, infatti, a segnalare al papa la necessità di dotare l’Università di un gabinetto di macchine, sul modello delle accademie d’Oltralpe, «per conoscere coll’esperimento la verità […] aplicando la geometria, e l’algebra a le parti fisiche della matematica» (Archivio di Stato di Roma, Università, b. 88, c.n.n.), e a suggerire allo scopo l’acquisto della collezione di macchine di monsignor Antonio Leprotti, come poi avvenne.
Membro dell’entourage di papa Lambertini, Pozzi fu uno di quegli intellettuali che questi mobilitò per realizzare il suo articolato programma di difesa dei diritti della S. Sede svolto sul piano storico-ecclesiastico. Rientra in questo progetto la composizione da parte di Pozzi di un discorso sul restauro del Triclinio lateranense (avvenuto nel 1750) – Del triclinio lateranense di Leone Terzo libro unico alla santità di Nostro Signore Papa Benedetto XIV – rimasto manoscritto (Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 1218), dal chiaro significato politico-simbolico di riaffermazione del primato della Roma cristiana.
Pozzi ebbe un ruolo importante nel sollevare anche in Italia il dibattito sulla teoria dell’irritabilità animale di Albrecht von Haller. Fu lui infatti a stimolare la discussione sulla nuova dottrina a Bologna, dove essa ebbe in Italia il suo teatro principale, inviando all’illustre medico bolognese Tommaso Laghi una relazione sugli esperimenti da lui stesso condotti a Firenze e a Roma – dove era comparsa nel 1755 la prima raccolta di scritti sull’argomento a opera degli scolopi Giovanni Vincenzo Petrini e Urbano Tosetti – con esito favorevole alle tesi halleriane. Benché un po’ dilettanteschi, gli esperimenti di Pozzi ebbero una certa risonanza europea, grazie soprattutto alla circolazione assicurata alla sua relazione e alla risposta di Laghi attraverso i Commentari dell’Accademia delle scienze di Bologna e il ricco dossier contenuto negli opuscoli Sulla insensitività ed irritabilità halleriana, raccolti da Giacinto Bartolomeo Fabri.
È del 1756 un suo manuale di filosofia destinato ai giovani – Institutiones phylosophicæ, edito a Nizza e dedicato al cardinale Giovanni Giacomo Millo – in cui si affrontano, in dieci dense sezioni, argomenti di metafisica, logica, psicologia, anatomia, fisiologia, etica, teologia in un serrato confronto con le proposte dei filosofi moderni. I dibattiti nell’ambiente scientifico bolognese sui fenomeni elettrici, se non la divulgazione (dopo il 1757) delle esperienze berlinesi di Aepinus sulle proprietà elettriche del cristallo attraverso i giornali eruditi internazionali (ai quali Pozzi aveva facile accesso, data la sua conoscenza di molte lingue europee), rappresentano forse la cornice in cui collocare una sua lettera attestata, ma oggi irreperibile, Sulla turmalina. Documenta infine dei suoi interessi scientifici una lettera al medico napoletano Francesco Serao sulle molecole del sangue (1761).
Nel 1756, intanto, aveva ottenuto il titolo di abate titolare del suo Ordine, benché esentato dall’incarico a causa dei molti altri impegni. Il 26 novembre 1763 fu nominato dal principe di Francavilla, Michele Imperiali jr, prefetto della Biblioteca fondata dallo zio di questi, cardinale Renato Imperiali, succedendo nell’incarico all’abate Costantino Ruggieri.
La nomina di Pozzi corrisponde a una fase oscura della vita della biblioteca, seguita alla morte del cardinale Giuseppe Spinelli, nipote di Imperiali, al quale ne era spettata l’eredità. Se non è noto il volume di traffico della biblioteca, è però certo che essa continuava a funzionare e che, a quella data, pur essendo il palazzo sede della biblioteca (Bonelli, ora Valentini) non più in mano degli Imperiali, si prevedeva la figura di un prefetto con una dotazione in denaro (dieci scudi al mese) e un appartamento («tre stanze con cataratta, e stanzino fatto ad uso di cucina, al secondo piano del palazzo», Cancedda, 1995, pp. 134-137).
Nel 1765, fu ancora Pozzi a dare avvio alla polemica suscitata dalla pubblicazione della lettera scritta dal philosophe francese Alexandre Deleyre sulla Gazette littéraire d’Europe (in data 3 gennaio 1765), una lucida e appassionata critica della situazione culturale italiana e del nostro Illuminismo. Nella lettera indirizzata Agli Autori della Gazzetta Letteraria d’Europa li 9. aprile 1765, Pozzi contestava l’importanza attribuita da Deleyre all’economia nel processo di decadenza italiana e rispondeva – in sintonia con Giambattista Vico che egli citava ed elogiava – con l’esaltazione della povertà e del genio italiano. Recepita dai destinatari con stupore, la lettera di Pozzi, rilanciata dalle Novelle letterarie di Firenze, sollevò un dibattito sulla stampa erudita italiana, che è stato giudicato «una tappa significativa del nostro Settecento» (Illuministi italiani, 1965, p. 438).
Eletto esaminatore dei vescovi, il 16 agosto 1769 venne giubilato dal papa dall’insegnamento in Sapienza per ragioni di salute, con intero onorario. Alla fine di quell’anno, fu incaricato di pronunciare un’orazione in onore del neoeletto Clemente XIV presso l’Accademia delle scienze di Bologna.
Animata da «zelo roseo e ridondante» l’orazione indicava nel nuovo pontefice il ‘genio illuminato’ che avrebbe saputo restituire «alla cattedra di Pietro il lucidissimo […] chiarore» (Venturi, 1984, p. 19), che aveva conosciuto ai tempi di Benedetto XIV e poi perduto. Egli vi tratteggiava un programma di rinnovamento – infrastrutture, strumenti finanziari e commerciali – di cui vedeva il mezzo principale nelle società agrarie, e additava – sull’esempio delle accademie scientifiche europee di Gran Bretagna, Parigi, Berna, Zurigo, ma soprattutto di Dublino – lo studio fisico-meccanico del clima e delle terre dello Stato ecclesiastico.
Nell’estate del 1771 fu prescelto dal suo Ordine per negoziare con l’imperatrice Maria Teresa d’Austria la revoca del decreto di soppressione del monastero olivetano di Mantova. Portò a compimento la missione con successo e intessé relazioni con gli eruditi della corte viennese; fu qui che conobbe Pietro Verri, di cui si professava «amico e ammiratore» (Carteggio, 1934, p. 212). Nel 1776 accompagnò monsignor Nicola Colonna di Stigliola – «come suo amico, senza carattere, ma in sostanza per assisterlo» (Alessandro a Pietro Verri, 22 giugno 1776, ibid., p. 120) – nel suo incarico di nunzio a Madrid presso la corte di Carlo III d’Asburgo. Ben accolto negli ambienti della corte madrilena, qui compose e diede alle stampe il Saggio di educazione claustrale (1778).
Il Saggio, uno scritto pedagogico rivolto agli alunni – laici o novizi – della Congregazione dei monaci olivetani, si proponeva come una soluzione alla polemica contro il clero regolare accusato di essere ricco, ozioso e inutile; un’opinione non del tutto respinta da Pozzi, il quale sembrava condividere il motto di Pedro Rodríguez de Campomanes secondo cui «bisognava far capire ai frati che l’uomo è fatto per il lavoro» (Venturi, 1965, p. 796). Egli proponeva un aggiornamento del modello educativo delle origini, che comprendeva «soda virtù, perfezione morale, vera pietà», ma anche la «coltura delle scienze a profitto dell’umana società» (p. 6). L’apertura alle novità dei tempi si registrava soprattutto nella seconda parte, in cui egli indicava ai giovani la «ragione modesta» come antidoto contro il pregiudizio e additava – seguendo Étienne Bonnot de Condillac – nella felicità il fine di entrambe.
Pubblicato con l’approvazione di accademici (probabilmente, anzi, caldeggiata da Campomanes come sprone a una nuova stagione di riforme), ministri e inquisitori, inizialmente il libro venne accolto con favore: l’autore, secondo la Gazzetta di Lugano, sarebbe stato addirittura nominato dal re consultore dell’Inquisizione e censore della stampa, carica molto rara per un italiano. Le cose cambiarono radicalmente quando il cosmografo maggiore delle Indie, Juan Baptista Muñoz, pubblicò un Juicio (1778) in cui accusava Pozzi di aver plagiato autori eretici introducendo in Spagna le idee illuministe e di aver denigrato la letteratura e la nazione spagnola. Denunciato dal S. Uffizio e incredulo di fronte a un simile attacco, Pozzi lasciò la Spagna e trovò rifugio a Perpignan, dove pubblicò un’Apologia […] in diffesa del suo libro (1780) e si adoperò per sollecitare in ogni modo l’intercessione in suo favore di politici e intellettuali italiani e spagnoli; invano: il Saggio e l’Apologia vennero infine messi all’Indice nel maggio del 1787.
Secondo Franco Venturi (1984), dietro l’espulsione di Pozzi dalla Spagna – che giudicava una sconfitta per l’Illuminismo spagnolo – stava soprattutto «un rifiuto personale e politico di quella morbida indulgenza, di quel vasto eclettismo che Pozzi pensò possibile trapiantare fuori dall’Italia e che era così contrario alle tradizioni e al temperamento spagnolo» (p. 24). Più recentemente Niccolò Guasti (2006, p. 442) ha proposto di leggere l’episodio nel contesto delle lotte politiche e clientelari allora in corso alla corte di Madrid, in particolare tra Campomanes e il conte di Floridablanca.
Colpito da ripetuti attacchi apoplettici provocati dallo shock, una volta in Italia Pozzi non riuscì a reinsediarsi nell’ambiente curiale. Si ritirò nel convento olivetano di S. Bernardo a Bologna (con le cariche di abate titolare e lettore emerito), dove morì il 25 agosto 1782.
Opere. Oltre alle commemorazioni di Rampinelli, l’attività letteraria interna all’Ordine si limita alla descrizione di una guarigione miracolosa ascrivibile al fondatore dell’ordine (Relazione di ciò, che avvenne in Napoli a Giuseppe d’Antonio per la di lui viva fede al B. Bernardo Tolomei, Roma 1770). Giovanni Fantuzzi (1789) elenca diverse opere manoscritte di cui Pozzi fu autore (tra le quali il discorso sul restauro del Triclinio) rimaste, insieme al suo epistolario, presso il convento di S. Michele in Bosco, quindi (1789) disperse e a oggi non più segnalate. Opere edite: Canzona consacrata al merito sempre grande del molto reverendo padre don Pietro Rampinelli in occasione, che nella Chiesa Metropolitana di Ravenna predica la quaresima l’anno 1739, Bologna s.d. [ma 1739]; Lettera del padre don Cesare Pozzi olivetano pubblico professore di mattematica nella Sapienza di Roma al sig. dottore Antonio Laghi professore di filosofia e medicina, e socio dell’istituto di Bologna tradotta dal latino, Firenze 1755 (anche in Sulla insensitività ed irritabilità halleriana. Opuscoli di vari autori raccolti da Giacinto Bartolomeo Fabri, I, Bologna 1757, pp. 10 ss.); Cl. viro Antonio [sic!] Laghi philosopho, ac medico Instituti Bononiensis sodali, Florentiae 1755; Institutiones philosophicæ, Nicææ 1756; Elogio del P.D. Ramiro Rampinelli Bresciano, in Giornale de’ letterati, VIII (1760), pp. 87-97; Clarissimo viro D.D. Francisco Serao in regia Neapolitana studiorum universitate…, Romae 1761; Lettera del P. abate D. Cesareo Pozzi agli Autori della Gazzetta Letteraria d’Europa li 9. d’Aprile 1765, Roma 1765; Al beatissimo e santissimo papa e signor nostro Clemente XIV, Orazione di D. Cesareo Pozzi […] detta in lode di lui e de’ pregi suoi nell’Accademia delle scienze di Bologna il dì nove di novembre dell’anno 1769, Bologna 1769; Saggio di educazione claustrale per li giovani che entrano nei noviziati religiosi, accomodato alli tempi presenti, affinchè colla pietà, coll’esempio, e con le scienze ben coltivate si rendino utili alla pubblica società…, Madrid 1778; J.B. Muñoz, Juicio del tratado de educación del M.R.P.D. Cesareo Pozzi, Madrid 1778 (trad. it. Ravenna 1779, a opera del gesuita spagnolo espulso Francisco Gustà); Apologia del P. D. Cesareo Pozzi […] scritta in diffesa del suo libro intitolato, Sagio di educazione claustrale, contro la Impugnazione del Signor Giambattista Mugnos…, Perpignan 1780; Estratto dell’apologia del reverendiss. p. abate Pozzi inserito nel tom. 20. del Nuovo giornale de’ letterati d’Italia stampato in Modena, Modena 1780; Lettera sulla turmalina, s.n.t.
Fonti e Bibl.: T. Laghi, Clarissimo viro D. Caesareo Pozzi Romano lyceo matheseos professori, in Sulla insensività ed irritabilità halleriana. Opuscoli di varj autori raccolti da Giacinto Bartolomeo Fabri, II, Bologna 1757, pp. 115 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VII, Bologna 1789, pp. 90 s.; F.M. Renazzi, Storia dell’università degli studj di Roma detta comunemente La Sapienza, IV, Roma 1801, p. 101; Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, dal 1 gennario 1776 al 31 marzo 1771, a cura di A. Giulini - G. Seregni, Milano 1934, pp. 120, 212; F. Venturi, Un enciclopedista: Alexandre Deleyre, in Rivista storica italiana, LXXVII (1965), 4, pp. 790 ss.; Illuministi italiani, VII, a cura di G. Giarrizzo - F. Venturi - G. Torcellan, Milano 1965, p. 438; F. Venturi, Settecento riformatore, IV, La caduta dell’antico regime, 1776-1789, Torino 1984, pp. 19-24; E. Raimondi, I lumi dell’erudizione: saggi sul Settecento italiano, Milano 1989, pp. 155 s.; A. Dini, Vita e organismo: le origini della fisiologia sperimentale in Italia, Firenze 1991, p. 29; C. Succi, Un matematico bresciano: Ramiro Rampinelli, monaco olivetano: 1697-1759, Brescia 1992, passim; F. Cancedda, Figure e fatti intorno alla biblioteca del cardinale Imperiali, mecenate del ’700, Roma 1995, pp. 134-137; M. Cavazza, La recezione della teoria halleriana dell’irritabilità nell’Accademia delle scienze di Bologna, in Nuncius, XII (1997), 2, pp. 359-377; M.P. Donato, Le accademie romane e l’antiquaria: tre casi e alcune riflessioni, in Dell’antiquaria e dei suoi metodi: atti delle giornate di studio, a cura di E. Vaiani, Pisa 1998, p. 139 e n.; N. Guasti, L’esilio italiano dei gesuiti spagnoli: identità, controllo sociale e pratiche culturali, 1767-1798, Roma 2006, pp. 442 s. e nn.; F. Favino, Università e scienza. La «grande riforma» della Sapienza di Benedetto XIV, in Rome et la science moderne. Entre Renaissance et Lumières, a cura di A. Romano, Rome 2009, pp. 504 s.; G. Montègre, La Rome des français au temps des lumières: capitale de l’antique et carrefour de l’Europe, 1769-1791, Rome 2011, p. 330.