MACRÌ, Giacomo
Nacque a Messina il 27 sett. 1831 da Silvestro e Filippa Santangelo. Di formazione classica, si laureò in giurisprudenza nel locale ateneo nel 1853. Dal 1859 al 1866 dimorò a Palermo, dove nel 1862, quando era docente di Pandette, pubblicò i Principii metafisici della morale e la monografia Lo Stato e la religione. Tesi di diritto pubblico amministrativo, in cui si dichiarò a favore della separazione fra Stato e Chiesa e del più ampio rispetto delle minoranze religiose.
Di orientamento liberale, nel 1864 venne eletto deputato per il collegio di Milazzo, in sostituzione di A. Bertani. Alla Camera sedette a destra, ma la sua partecipazione ai lavori parlamentari fu molto limitata: votò l'abolizione della pena di morte e intervenne perlopiù su questioni di interesse locale. Al termine della breve esperienza di deputato, il M. tornò agli studi e alla carriera accademica. Nella facoltà giuridica messinese risulta incaricato di diritto costituzionale dal 19 genn. 1866, e, nello stesso anno, professore straordinario di diritto internazionale, costituzionale e amministrativo. Da quel momento il suo percorso di docente si svolse in quell'ateneo, e in quella città ebbe modo di svolgere anche la professione di avvocato.
Nel 1878 venne edito a Messina il suo Corso di diritto amministrativo. È forse l'opera più nota e significativa del M., inclusa fra quelle che, tra i primi anni dell'Unità e gli anni Ottanta dell'Ottocento, vennero da "una generazione di studiosi che condivisero la medesima concezione costituzionale e ideale di carattere garantistico e privatistico del diritto amministrativo, inteso quale rapporto giuridico paritario tra pubblica amministrazione e cittadini" (Cianferotti, p. 203). Si tratta di una corrente fortemente legata all'idea che il diritto amministrativo fosse "l'ordinamento di libertà e di reciproci diritti e doveri tra amministrazione e privati, posti su un piano di sostanziale parità", piuttosto che "la previsione dell'ordinario esercizio di poteri di supremazia della pubblica amministrazione nel confronti dei diritti individuali" (ibid., p. 242). Legate ai principî dell'abolizione del contenzioso e dell'unità della giurisdizione, attente ai temi del decentramento, tuttavia le opere di questi autori mancavano del forte impianto dogmatico caratteristico poi della scuola orlandiana, su cui era destinato a poggiare il successivo sviluppo disciplinare del diritto amministrativo. Nel suo Corso il M. partiva appunto dal convincimento che il diritto amministrativo dovesse adeguarsi ai principî privatistici propri dell'ordine costituzionale liberale. Egli difese perciò la legislazione varata nel 1865, che contemplava l'abolizione del contenzioso amministrativo e la giurisdizione unica. L'opera, infine, era caratterizzata da un forte intento sistematico, segnato dalla distinzione di origine civilistica e romanistica fra personae e res; mentre in tema di autonomie locali era valorizzato il ruolo delle associazioni minori rispetto allo Stato, dotate di personalità giuridica ma pur sempre soggette a tutela da parte dell'amministrazione centrale.
Nel 1883 il M. diventò ordinario di diritto amministrativo e nell'ateneo messinese ebbe modo di insegnare anche statistica (dal 1888 al 1906), istituzioni di diritto civile (nel 1886), nonché, come appunto si è detto, diritto costituzionale e diritto internazionale. In quel periodo pubblicò anche la Teorica del diritto internazionale (I-II, Messina, 1883-84). Dal 1884 al 1891, inoltre, fu preside della facoltà giuridica messinese.
Nel 1894 furono editi i suoi Prolegomeni ad una dottrina di una scienza della gerarchia civile (sempre a Messina), con i quali intervenne nella discussione sull'opportunità di distinguere le caratteristiche disciplinari della scienza dell'amministrazione e del diritto amministrativo: un tema su cui si era già soffermato qualche anno prima con le Prenozioni ad un corso di diritto amministrativo (in L'Ape giuridico-amministrativa, II [1886], pp. 394 s.).
In contrasto con le tesi formulate da C.F. Ferraris in una sua prolusione del 1878, in cui sosteneva la necessità di ripartire il diritto amministrativo in varie scienze speciali, il M. elaborò una convinta difesa dello statuto disciplinare e dell'autonomia del diritto amministrativo. A suo parere, esso poteva fare da base a una più ampia "scienza della gerarchia civile", dove con "gerarchia civile", si riferiva a "quell'ordine di ufficiali, che intendono alla generale amministrazione" (Prolegomeni, p. 14). La "scienza dell'amministrazione politica" andava perciò suddivisa in "scienza della gerarchia civile", "scienza dell'esercito", "scienza della polizia", "scienza della finanza" ("primogenita fra quelle che separandosi dal diritto amministrativo, hanno già acquistato dignità di dottrina indipendente", ibid., pp. 10-15). A queste occorreva aggiungere una "scienza dell'amministrazione sociale", che avrebbe avuto per oggetto "l'opera della potestà pubblica diretta a sussidiare, a promuovere, a sostituire l'attività individua nel conseguimento de' suoi fini" (ibid., p. 16). Perciò, la "scienza della gerarchia civile" andrebbe intesa come la "teorica dei subbietti che specificano la grande unità dello stato, ed operano per atti d'autorità, nell'intento di provvedere all'interesse pubblico o collettivo. È dunque la teorica delle persone nella vita pubblica, val quanto dire la teorica degli enti suscettivi di diritti e d'obbligazioni, e della loro rappresentanza secondo le leggi che costituiscono l'aggregato civile" (ibid., p. 18).
L'orizzonte teorico che fa da sfondo alle riflessioni del M. appare tuttavia nella sua complessità, con la definizione del concetto di Stato: il quale "è organico in se medesimo, ed è custode dell'organismo civile intero, in quanto mantiene e riconduce nell'intento e nell'opera comune non solo i subbietti che lo compongono, ma ben pure le persone singolari. E quest'organismo che può manifestarsi in forma fisica e corporea, è puramente etico nella sostanza, e quindi immateriale. [(] Lo stato è un popolo, sovra determinato territorio, eticamente composto ad ente reale ed organico, operante per autorità propria, alla conservazione ed al progresso comune" (ibid., pp. 27 s.).
L'impostazione metodica del M. appare molto lontana da quella di V.E. Orlando, il quale tuttavia recensì favorevolmente i Prolegomeni (in Arch. di diritto pubblico, IV [1894], 5, pp. 397 s.), con particolare riferimento all'ostilità del M. verso l'ipotesi di un codice di diritto amministrativo. Ma l'aspetto più significativo dei Prolegomeni, consiste in una prospettiva volta a mettere a fuoco l'articolazione plurisoggettiva degli apparati statali e, più in generale, pubblici, che può ricordare le tesi "pluraliste" portate a maturazione un ventennio dopo da S. Romano.
Dal 1896 al 1897 il M. fu anche rettore dell'ateneo messinese (già al Calendario generale del Regno del 1898 non risulta più tale), poi di nuovo preside di giurisprudenza dal 1906 fino alla morte.
Il M. morì nella propria abitazione il 28 dic. 1908 durante il terremoto che colpì Messina.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Dir gen. istruzione universitaria, Fascicoli personali dei professori ordinari, II versamento, Macrì Giacomo; C. Mozzarelli - S. Nespor, Giuristi e scienze sociali nell'Italia liberale: il dibattito sulla scienza dell'amministrazione e l'organizzazione dello Stato, Venezia 1981, p. 24; C. Mozzarelli, Per una storia accademica del diritto amministrativo. I concorsi a cattedra dal 1884 al 1914, in Cheiron, VIII (1991), 2, pp. 153-175; G. Cianferotti, Storia della letteratura amministrativistica italiana, Milano 1998, in partic. pp. 203, 242, 254 ss.; A. De Gubernatis, Diz. biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, s.v.; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, s.v.; Nuovo Digesto italiano, s.v.; Novissimo Digesto italiano, sub voce.