MALABAILA, Giacomo
Nacque ad Asti sul finire del XIII secolo da Francescotto e da Beatrice Solaro, sorella di Leonardo, capo del clan guelfo che nel primo quarto del Trecento assunse potere egemonico sulla città, dal 1312 sottomessa al dominio angioino. Dal matrimonio di Francescotto e Beatrice, celebrato nel 1296, nacquero numerosi figli: il M., che riprendeva il nome dell'avo, fu probabilmente il primogenito, seguito da Baldracco, Guidetto (o Guido) e Antonio; secondo l'interpretazione di alcune fonti avignonesi andrebbero enumerati tra i figli anche Ugo e Ginetto, ma nelle ripartizioni patrimoniali tra i fratelli questi personaggi non compaiono mai.
La famiglia Malabaila, di ceto magnatizio e di simpatie guelfe, dall'ultimo quarto del secolo era entrata a far parte della classe dirigente del Comune cittadino, come attesta la presenza nel 1279 in qualità di "credendario" dell'avo Giacomo, che nel 1312 ricoprì anche l'officio di collettore dei redditi e a cui si deve probabilmente la raccolta dei diritti comunali, nota appunto come Codice Malabaila. Fin dal principio del Trecento la famiglia appare divisa in due rami distinti: quello disceso da Abellone, successivamente detto di Valgorrera, e quello disceso da Giacomo senior; tra Due e Trecento entrambi i rami esercitarono l'attività di prestadenari in Savoia, ma nel 1312, anche a seguito del sequestro ordinato dal conte Amedeo V di Savoia contro le famiglie guelfe astigiane, il ramo di Giacomo fu probabilmente costretto ad abbandonare la regione e trasferì la sua attività nel Sud della Francia, dove già operavano a Orange membri della famiglia astigiana degli Abellonei, appartenenti al medesimo clan guelfo denominato nel 1332 "hospicium illorum de Malabaylis".
Francescotto, morto nel 1352, contribuì in modo notevolissimo all'incremento patrimoniale della famiglia, come attesta il piccolo registro degli acquisti fondiari conservato inedito presso l'Archivio Malabaila di Canale, consolidando l'insediamento urbano nel quartiere di S. Giuliano, espandendo le proprietà agrarie nel contado e venendo in possesso anche di quote dei castelli di Castellinaldo, di Piobesi e di Monticello, tutti situati nell'attuale area del Roero (Cuneo). Le risorse per tali investimenti provenivano dall'attività finanziaria svolta fuori d'Italia in qualità di "lombardi" (prestadenaro), anche se non è stata finora rintracciata documentazione specifica al proposito; è probabile che fin dagli anni Venti padre e figli esercitassero il prestito nel Mezzogiorno della Francia: ciò spiegherebbe come mai nel 1342 il Papato ricorresse ai servigi di una "società di lombardi" per impiegarla in sostituzione dei fiorentini, coinvolti nel grande crac dei Bardi, dei Peruzzi e degli Acciaiuoli che in precedenza svolgevano per la Camera apostolica le funzioni bancarie. Il solo documento che attesti un collegamento dei Malabaila con Avignone prima dell'assunzione del loro incarico presso la Curia è l'investitura del castello di Monticello concessa il 20 febbr. 1341 in Avignone dal vescovo di Asti Arnaldo de Rosette a Francescotto e ai suoi figli Giacomo, Antonio, Guidetto e Baldracco, rappresentati dai loro delegati Guglielmo e Raffaele Damiano e con la malleveria di Guglielmo Cacherano e di Pietro Falletti; siccome in seguito i Damiano e i Cacherano risultarono essere fattori o soci della compagnia dei Malabaila, è probabile che già in precedenza fossero anche soci della loro società di lombardi.
In ogni caso la prima attestazione del M. è costituita dalla procura da lui rilasciata ai fratelli Damiano - astigiani residenti ad Avignone - il 25 ott. 1340 per ricevere la concessione della castellania di Monticello. Le clausole della concessione prevedevano che i Malabaila, in funzione di castellani, tenessero e difendessero il castello, ne godessero tutti i diritti e i redditi giurisdizionali da quel momento "usque ad beneplacitum" del vescovo, contro il versamento annuo alla Chiesa di Asti di un censo annuo di 100 lire astesi; la concessione vescovile in realtà garantiva un prestito di 1400 lire fatto dai Malabaila alla Chiesa per il riscatto dei diritti sul luogo, in cambio del quale il vescovo cedeva, a titolo di restituzione del debito, tutti i frutti della castellania per otto anni. Arnaldo de Rosette, originario di Cahors e già canonico di Saintes in Guascogna, prima di diventare vescovo di Asti nel 1327 era stato officialis della Curia durante il pontificato di Clemente V e di Giovanni XXII e anche in seguito continuava a conservare un'abitazione ad Avignone: dal suo testamento del 5 maggio 1348 risulta che aveva contratto ad Avignone con il M. e il fratello Antonio Malabaila un debito "pro provisione tam vini quam aliarum rerum sibi necessariorum facienda", per saldare il quale dispose in tale circostanza che per quattro anni i fratelli non pagassero il censo dovuto per Monticello. Non è indicato a quando risalisse il debito, ma appare evidente che i Malabaila ad Avignone - prima o durante il loro impiego ufficiale presso la Curia - esercitassero anche il commercio.
Dopo il fallimento delle compagnie fiorentine, il Papato non intendeva più correre rischi e nel 1342 stipulava una convenzione con il M., che compare come direttore della compagnia Malabaila, probabilmente fatta sorgere ad hoc sulla base di una precedente società di lombardi di cui la Curia conosceva le capacità, grazie forse anche all'influenza esercitata da Arnaldo de Rosette, loro "cliente".
Consapevole della differenza rispetto alle grandi compagnie del passato, Clemente VI ridimensionò subito il ruolo dei Malabaila, restringendo la raccolta dei fondi alle collettorie dell'Europa settentrionale, centrale e orientale, ma affidando loro anche tutti i servizi complementari, sia propriamente bancari (cambi, conti correnti, prestiti, direzione della Zecca), sia generici (commerciali, postali, di informazione). È evidente l'intento del papa di promuovere la nuova banca astigiana con la quale aveva rimpiazzato i fiorentini, cercando di farla apparire come un potente organismo: si è constatato infatti che, specie sotto Clemente VI, i prestiti concessi dai Malabaila a clienti di alto rango, come il re di Castiglia, il duca di Bretagna o il conte di Valentinois, erano di fatto effettuati su fondi della Camera, anche se la compagnia appariva impegnata nelle formalità esterne del contratto.
Della compagnia di Avignone pare non abbia mai fatto parte Francescotto, forse residente in Piemonte, mentre ne furono soci tutti i suoi figli. In qualità di direttore generale, il M. ogni anno rinnovava personalmente gli accordi particolari relativi ai singoli Paesi europei e compare in quasi tutte le registrazioni dei versamenti alla Camera riguardanti i fondi trasferiti ad Avignone tramite le succursali della compagnia, fatte sorgere a Bruges, a Londra, a Napoli e a Venezia e dirette dagli altri fratelli; Baldracco infatti diresse contemporaneamente le succursali di Bruges e di Londra (dove seguì il suo apprendistato anche il fratello Guidetto) dal 1343 fino al 1348 quando venne nominato vescovo di Asti; anche Antonio ricoprì ruoli di spicco a Londra e a Bruges, mentre rapidamente decaddero le succursali di Napoli e di Venezia (che compare solo nel 1343 come ricevitoria del trasferimento di fondi ungheresi).
Nella prospettiva di valorizzare l'attività della compagnia Malabaila, nel gennaio 1344 il M. fu nominato dal papa anche magister monete, cioè direttore della coniazione della Zecca pontificia; in tale funzione egli svolgeva un compito di controllo sul lavoro dei tecnici che coniavano i fiorini papali, la cui prima partita fu consegnata nel febbraio dello stesso anno, insieme con il censo di 20 fiorini; il M. continuò nel suo incarico di responsabile della Zecca fino al 1346.
Oltre che per i servizi propriamente finanziari, la S. Sede si rivolgeva alla compagnia diretta dal M. anche per gli acquisti della corte: così nei primi anni del suo pontificato Clemente VI lo incaricò della fornitura di perle e pietre preziose, di stoffe pregiate e pellicce, destinate al personale della Curia, di cera per le funzioni religiose e di ornamenti per la cappella e per l'uso personale del papa. I Malabaila, che ad Avignone possedevano certo un fondaco dove depositare le merci, godettero di una sorta di monopolio fino al 1346, quando il papa, resosi conto dell'intrinseca debolezza economica della compagnia, tornò a ridistribuire le forniture presso mercanti genovesi e fiorentini, lasciando loro soltanto l'approvvigionamento delle stoffe fiamminghe.
La totale scomparsa di ogni fonte diretta, libri di conto della compagnia o atti costitutivi, impedisce di conoscere il funzionamento dell'azienda e il suo giro d'affari verso una clientela diversa rispetto alla Camera apostolica. Solo per quanto riguarda la succursale di Bruges, Renouard ha potuto esaminare un quaderno di minute di quietanze rilasciate dai Malabaila ai mercanti polacchi che versavano qui le entrate apostoliche dell'Europa centrale, ma si può pensare che la compagnia abbia saputo approfittare della sua condizione privilegiata per ampliare la clientela sia bancaria, sia commerciale, specialmente nei rapporti con l'Inghilterra.
Il M. resse la compagnia fino al 1348, quando fu affiancato dal fratello Guidetto, probabilmente molto più giovane di lui, che, insieme con Antonio, lo sostituì nella direzione della sede avignonese dopo la sua morte, avvenuta intorno al 1349-50.
Nell'ottobre del 1350, infatti, il figlio Ludovico è indicato "quondam Iacobi" nell'atto in cui ricevette dal vescovo d'Asti Baldracco la concessione in enfiteusi perpetua del castello di Monticello insieme con l'avo Francescotto e gli zii Antonio e Guidetto. Nulla si conosce della moglie del M., mentre successive notizie relative a Ludovico si trovano nell'atto di divisione dei fratelli Malabaila, effettuato ad Avignone il 15 ott. 1362, secondo il quale al figlio del M. pervennero i possessi fondiari situati intorno ad Asti e a Sommariva Perno e un dodicesimo del castello e della giurisdizione di Piea. La divisione dei beni di famiglia costituiva un provvedimento cautelare da parte dei Malabaila nei confronti della compagnia che infatti di lì a poco dichiarò il fallimento, lasciando un debito di 20.000 fiorini nei confronti della Camera apostolica, in gran parte saldato prima del gennaio 1364, data in cui è ordinato il dissequestro dei loro beni.
Fonti e Bibl.: Canale (Cuneo), Castello Malabaila, Archivio Malabaila, m. 1, nn. 10, 37; m. 2, nn. 46, 47; Torino, Università di Torino, Dipartimento di storia, datt.: V. Abre, Una famiglia di banchieri astigiani: i Malabaila (1300 circa - 1362) [1981], ad ind.; Ibid., datt.: V. Mortellaro, L'aristocrazia bancaria astigiana: la famiglia Malabaila [1991], ad ind.; Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella - P. Vayra, Romae 1880, IV, pp. 70, 75; Il Libro verde della Chiesa di Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1907, pp. 238-247; Die Einnahmen der Apostolischen Kammer unter Klemens VI., a cura di L. Mohler, Paderborn 1923, ad ind.; Clément VI. Lettres closes, patentes et curiales France, a cura di E. Déprez - J. Glénisson - G. Mollat, Paris 1901-61, ad ind.; Clément VI. Lettres, a cura di E. Déprez - G. Mollat, Paris 1960, ad ind.; P. Dacquino, Il testamento del vescovo Arnaldo de Rosette, in Gazzetta d'Asti, 25 maggio 1973; Y. Renouard, Les relations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaries de 1316 à 1378, Paris 1941, ad ind.; R. Bordone, Progetti nobiliari del ceto dirigente del Comune di Asti al tramonto, in Progetti e dinamiche nella società comunale italiana, a cura di R. Bordone - G. Sergi, Napoli 1995, pp. 285-289; L. Castellani, Gli uomini d'affari astigiani. Politica e denaro tra il Piemonte e l'Europa (1270-1312), Torino 1998, pp. 140-142, 156; Id., Le famiglie del patriziato astigiano nel Medioevo, in Araldica astigiana, a cura di R. Bordone, Asti 2001, p. 121; Id., I fratelli Malabaila, banchieri del papa, in Lombardi in Europa nel Medioevo, a cura di R. Bordone - F. Spinelli, Milano 2004, pp. 189-192.