MARZANO, Giacomo
– Duca di Sessa e conte di Squillace, nacque verosimilmente verso la metà del XIV secolo; di nobile famiglia napoletana, era figlio di Roberto, conte di Squillace e grande ammiraglio, e fratello di Goffredo, conte di Alife e gran camerario. Il 12 maggio 1370 la regina di Sicilia Giovanna I d’Angiò riconobbe al M. il titolo di grande ammiraglio, che alla morte del padre egli aveva ereditato insieme con la contea di Squillace. Secondo i Diurnali, Giovanna vendette Sessa al M. per 25.000 fiorini, per rifarsi delle spese sostenute per strappare Teano, alla fine di quell’anno, a Francesco Del Balzo, duca d’Andria.
Dopo la rivolta scoppiata a Napoli e la fuga del papa avignonese Clemente VII, Giovanna fu costretta a schierarsi temporaneamente a favore di Urbano VI. Il 4 luglio 1379 la regina inviò a Roma una delegazione composta da cinque nobili, fra cui figurava anche il M., per raggiungere un accordo con Urbano VI, che accolse gli ambasciatori con ogni onore. Quando seppe che stavano arrivando a Napoli le truppe del marito Ottone di Brunswick, Giovanna richiamò gli ambasciatori, tornò a sostenere Clemente VII e perseguitò i seguaci di Urbano VI. Alla fine del giugno 1380 la regina adottò come erede al trono Luigi, duca d’Angiò, il futuro Luigi I. Di contro, il 1° giugno 1381 Urbano VI investì re di Sicilia (Napoli) Carlo III d’Angiò Durazzo, che catturò e imprigionò Giovanna, morta poi il 27 luglio 1382 in circostanze poco chiare.
Nel gennaio 1385 Carlo III ruppe con Urbano VI e fece assediare il papa a Nocera da un esercito capeggiato dal M. e da Villanuccio da Brunforte. Il 12 febbraio al vespro il M. levò l’assedio e portò l’esercito prima a Castellammare di Stabia, poi a Napoli. Il 14 settembre Carlo III partì per l’Ungheria mentre la moglie Margherita d’Angiò Durazzo rimase a Napoli come vicaria, sostenuta da un Consiglio di reggenza di cui anche il M. faceva parte. Dopo l’assassinio di Carlo III, avvenuto a Buda il 7 febbr. 1386, il M. sostenne la regina vedova Margherita, reggente e tutrice del figlio Ladislao, erede al trono.
Nell’autunno 1386 alcuni baroni napoletani, fomentati da Urbano VI, orchestrarono una sommossa contro la reggente, per ottenere la liberazione di Francesco Prignano, principe di Capua e nipote del papa. Nonostante la pressione popolare, Margherita avrebbe voluto tenere in prigione Prignano, ma il M. le suggerì di liberarlo, di scendere a patti con il papa e i rivoltosi e di sorvegliare attentamente Napoli, per fronteggiare l’imminente arrivo delle truppe papali, capeggiate dal gonfaloniere Raimondello Orsini (Del Balzo Orsini). Nel luglio 1387 la situazione precipitò. Le truppe di Luigi II d’Angiò, figlio del defunto Luigi I, capeggiate da Ottone di Brunswick, e da Tommaso Sanseverino entrarono a Napoli e costrinsero Margherita a fuggire a Gaeta con Ladislao. La regina affidò il compito di ridurre alla fedeltà e perdonare i baroni ribelli al M. e al fratello di questo, Goffredo. Quando nel gennaio 1389 le truppe di Margherita si radunarono ad Aversa per difendere il castello capuano assediato dagli Angioini, il M. e il fratello si prepararono a combattere con un consistente numero di cavalieri, ma a maggio il castello si arrese e i baroni tornarono nelle loro terre.
Nell’ottobre 1389 il M. fece parte del seguito di Ladislao che, su una barca ornata con un drappo d’oro, andava incontro alla promessa sposa Costanza Chiaramonte (figlia del grande ammiraglio e vicario di Sicilia Manfredi) che giungeva a Gaeta da Palermo.
Il 29 maggio 1390 Ladislao fu incoronato re a Gaeta dal cardinale Angelo Acciaiuoli, legato del nuovo papa Bonifacio IX. Il 14 agosto, però, Luigi II entrò a Napoli, accolto da una folla di nobili e popolani, cavalcò per la città con il vessillo di Clemente VII, antipapa avignonese, ed entrò a S. Chiara, per ricevere l’omaggio dai cittadini. La regina Margherita chiamò a raccolta i baroni a Gaeta ove si presentarono anche il M. e il fratello.
Il 17 ottobre Ladislao ratificò al M. la cessione di alcuni beni feudali del capitano di ventura John Hawkwood (prima ipotecati come garanzia di un prestito di 3930 fiorini e poi sequestrati perché il debito non era stato onorato) e il possesso del feudo di Satriano in Calabria, che il M. aveva comprato dal conte di Catanzaro. Il 20 novembre il re donò al M. feudi a Caleno e Limate, nella valle del Volturno, giunti alla Curia regia per la morte senza eredi del maresciallo Martuccio Bonifacio. Tra l’8 e il 12 dicembre Ladislao confermò al M. l’infeudazione delle città di Sessa e Isernia; la facoltà, concessagli da Carlo III, di disporre liberamente nel testamento di beni allodiali del valore di 12.000 onze, a patto che le donne della famiglia non acquisissero mai tale diritto; la terra di Lesina, vendutagli dalla regina Margherita; i feudi Laverno, Magliano, Castelluccio e Acquario, nel Principato citeriore, confiscati ad Amerigo Sanseverino. Oltre ai feudi, Ladislao confermò al M. la carica di grande ammiraglio, con la facoltà di creare «protontini» (ammiragli) in tutto il Regno di Napoli.
Il 20 dic. 1392 il M. e il fratello parteciparono al consiglio convocato da Margherita a Gaeta. Il 17 apr. 1393 Ladislao ratificò il contratto con il quale il M. aveva venduto a Giorgio di Toraldo alcuni beni feudali nel territorio di Sessa. Liberatosi della tutela della madre, a luglio Ladislao assunse il governo e il comando dell’esercito e convocò i baroni a lui fedeli sul piano di Traetto (oggi Minturno). A fine luglio i baroni fecero accampare le truppe in riva al Garigliano e si recarono a Gaeta.
Nel settembre 1394 morì Clemente VII e il 15 ottobre Ladislao tenne a Gaeta un parlamento, al quale parteciparono il M. e il fratello, durante il quale venne deciso di attaccare L’Aquila e di ridurre alla fedeltà i baroni abruzzesi. Tra il 27 ottobre e il 19 novembre il M. accompagnò Ladislao a Roma per chiedere denaro e consigli a Bonifacio IX, che a Ladislao offrì 25.000 fiorini per le operazioni militari e lo invitò ad ascoltare i suggerimenti del M. «ch’era il maggior personaggio c’havesse il Re, sì per la nobiltà della famiglia, come per grandezza dello stato, e per l’opinione di tutti» (Summonte, II, p. 522).
A fine marzo 1395 i baroni risposero alla convocazione di Ladislao e radunarono sul piano di Sessa un esercito di 4000 cavalieri e 6000 fanti, che il 4 aprile entrarono a Capua e poi si fermarono due giorni ad Aversa. In seguito le truppe di Ladislao si accamparono a 2 miglia da Napoli per assediarla da terra, mentre 4 galee impedivano di approvvigionare la città dal mare. Dopo 36 giorni la flotta provenzale rifornì di viveri i sostenitori di Luigi II, asserragliati a Napoli, e l’esercito di Ladislao dovette levare il campo. Nel settembre Venceslao Sanseverino, duca di Venosa, Tommaso Sanseverino, conte di Montescaglioso, Ugo Sanseverino, conte di Tricarico e Potenza e protonotaro del Regno di Napoli, e altri esponenti della famiglia si incontrarono a Napoli, per studiare un piano di rafforzamento della coalizione favorevole a Luigi II.
Consapevoli che il M. era il più potente sostenitore di Ladislao, poiché possedeva il territorio compreso tra il Garigliano e il Volturno, controllava Capua e Aversa ed era a capo della flotta, i Sanseverino progettarono di fare sposare Luigi II con Maria, figlia del M., perché rompesse l’alleanza con Ladislao.
Il conte Ugo Sanseverino giunse nella marina di Sessa e si recò dal M. per illustrargli la proposta di nozze, che fu accolta anche grazie al favore dell’ambiziosa moglie del M., Caterina Sanseverino, figlia di Ruggero conte di Mileto. Dopo il ritorno a Napoli di Ugo Sanseverino, Luigi II inviò al M. Louis de Montjoie, nipote di Clemente VII e vicario generale del Regno di Napoli, e molti signori napoletani e francesi, con ricchi doni nuziali per la promessa sposa, e iniziarono le trattative matrimoniali.
La mossa dei Sanseverino si rivelò vincente. Quando Luigi di Capua, conte di Altavilla, seppe che Luigi II stava per sposare la figlia del M., promosse la sollevazione di Capua, cacciò il capitano di giustizia, il castellano e tutti i seguaci del M., al quale rimasero solo due torri edificate a guardia del ponte. Appena la notizia delle imminenti nozze giunse a Ladislao, costui spedì Giovanni di Trezzo, conte di Trivento, con 100 o 110 lance per occupare la rocca di Mondragone, appartenente al M.; il conte attaccò, saccheggiò e incendiò i casali di Sessa e Carinola con tale veemenza che non bastarono a fermare le incursioni neanche i 1000 cavalieri guidati da Bernabò Sanseverino, inviati in soccorso da Luigi II. Bonifacio IX spedì il fratello Giovanni Tomacelli a Sessa, per fare rappacificare il M. con Ladislao, e fu stipulata una tregua di un anno, con il parere favorevole di Luigi II. Quando il matrimonio tra Luigi II e Maria andò a monte, il M. rimase al fianco del duca d’Angiò.
Il 26 genn. 1396 Tomacelli si recò a Sessa e consegnò al M. un breve papale, per fargli firmare un trattato di pace con Ladislao, ma il M. trascinò le trattative per le lunghe, finché Tomacelli dovette rientrare a Roma per domare una sollevazione popolare contro Bonifacio IX. Nel 1397 Capua era ormai nelle mani del conte di Altavilla, fautore di Ladislao, a eccezione delle torri sul Volturno, dove sventolavano ancora le bandiere di Luigi II.
Scaduta la tregua, il M. e il fratello tornarono a combattere contro Ladislao e difesero i propri castelli dall’attacco del potente esercito di Cecco dal Borgo. Bonifacio IX fece ancora una volta da paciere e inviò a Sessa Tomacelli, per fare firmare un trattato di pace.
Il 14 maggio 1398 Ladislao stipulò un accordo con il M., il fratello Goffredo, Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo, e Giacomo Stendardo, maresciallo, in base al quale i soldati e i sudditi di Ladislao sarebbero potuti circolare liberamente a Sessa e nel suo territorio per 15 giorni, con o senza armi, di giorno e di notte, senza arrecare danni agli abitanti. In cambio, i nobili napoletani si impegnarono a non sostenere più Luigi II; tuttavia avrebbero potuto inviare a Napoli tre ambasciatori per giustificare con il duca d’Angiò il loro comportamento. Il 23 maggio Bonifacio IX raccomandò al M., al fratello e al conte di Tagliacozzo di obbedire a Ladislao e di sostenerlo contro Luigi II. Il 1° giugno il papa ratificò la pace stipulata a Sessa e ordinò ai baroni di prestare omaggio di fedeltà a Ladislao che, in cambio, avrebbe restituito ai baroni i beni allodiali e feudali, ereditati, comprati e donati, le città, i castelli, le terre, le contee, le baronie, i diritti e le azioni, e rimesso ogni delitto, incluso il crimine di lesa maestà. Ladislao confermò al M. il ducato di Sessa e si impegnò a restituire a lui e al fratello i privilegi, le immunità, le grazie e le esenzioni fiscali loro concesse in passato da Carlo III, da Margherita e da lui stesso. Il 23 febbr. 1399 Ladislao ratificò la vendita di un casale nei pressi di Aversa, fatta da Giovanni de Madio, razionale della Magna Curia e procuratore del M., al procuratore del maresciallo Marino Cossa, per 2000 fiorini.
Nel luglio 1399 Luigi II, abbandonato anche dai Sanseverino, rientrò in Francia e Ladislao convocò un Parlamento generale a Napoli, nella chiesa di S. Chiara, per sancire la rappacificazione con il baronaggio, ma non è noto se il M. e il fratello vi abbiano preso parte. Passato nuovamente dalla parte di Ladislao, il M. fu autorizzato a occupare con le proprie truppe i possedimenti di Francesco Sanseverino, conte di Lauria. Nel 1400 Ladislao investì il M. duca di Sessa; il 6 marzo 1401 concesse a tutti i vassalli del M. una moratoria per i debiti; il 19 settembre gli confermò tutti i beni e le cariche. Nonostante le concessioni largite dal re, nell’aprile 1401 il M. e il fratello non parteciparono al Parlamento convocato da Ladislao a S. Chiara.
Il M. morì nel 1402.
Con Caterina Sanseverino ebbe Giovanni Antonio, Maria, Angela, Margherita e Isabella. Alla morte del M., Giovanni Antonio, ancora minore, fu posto sotto la tutela dello zio Goffredo, ma nel 1404, dopo la morte di Bonifacio IX, Ladislao decise di vendicarsi e lo imprigionò insieme con la madre e le sorelle. Giovanni Antonio fu liberato solo a 12 anni; Maria, andate a monte le nozze con Luigi II, continuò a essere chiamata regina e nel 1407 sposò Nicola, conte di Celano e gran giustiziere, con una dote di 2000 onze; rimasta vedova, nel 1421 sposò il capitano di ventura Muzio Attendolo Sforza, che morì nel 1424; infine, nel 1429 sposò Nicola Orsini, conte di Manoppello. Angela, detta Angiolella, sposò Antonio Cantelmo, conte d’Alvito e Pepoli. Secondo De Lellis, è priva di fondamento la notizia che Angela abbia sposato in seconde nozze, nell’agosto 1422, Luigi Camponeschi dell’Aquila, conte di Montorio, con una dote di 12.000 ducati d’oro, poiché Cantelmo morì nel 1439. Margherita era così avvenente che, mentre la teneva prigioniera, Ladislao se ne innamorò. Divenuta amante del re, Margherita riuscì a combinare matrimoni vantaggiosi per le sorelle, a far liberare il fratello e a ottenere per lui la restituzione dei feudi. Margherita sposò Antonello Della Ratta, conte di Caserta. Isabella sposò Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo.
Fonti e Bibl.: I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 5, pp. 15, 53, 60, 64, 66-68, 73 s.; Codex Italiae diplomaticus…, a cura di J.Ch. Lünig, IV, Francofurti et Lipsiae 1735, pp. 542-546; Cronicon Siculum, a cura di G. De Blasiis, Neapoli 1887, p. 56; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, I, Fiorenza 1580, pp. 188 s.; A. Di Costanzo, Historia del Regno di Napoli, L’Aquila 1581, pp. 235, 238, 242, 248, 251-256, 264; F. Campanile, Dell’armi overo Insegne de i nobili, Napoli 1618, pp. 138 s.; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forestiere e non, Napoli 1641, pp. 249 s., 253; C. De Lellis, Discorso delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, p. 196; III, ibid. 1671, pp. 25, 186; G.A. Summonte, Dell’historia della città e Regno di Napoli, I, Napoli 1654, pp. 128 s.; II, ibid. 1675, pp. 498, 503, 511, 514, 519, 522-526, 531-533, 562; G.B. Marzano, Memorie storiche intorno alla famiglia Marzano, Pisa 1874, pp. 8-10; E. Ricca, La nobiltà del Regno delle Due Sicilie, V, Napoli 1879, pp. 56, 66; G. De Blasiis, Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, p. 316; A. Valente, Margherita di Durazzo, vicaria di Carlo III e tutrice di re Ladislao, in Arch. stor. per le provincie napoletane, n.s., II (1916), p. 278; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli 1968, pp. 46, 130 s., 150, 162, 187, 190-192, 236 s., 315; Storia di Napoli, III, Napoli 1969, p. 364; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, pp. 58 n. 83, 125 n. 50, 129 n. 54; A. Cutolo, Maria d’Enghien, Galatina 1977, pp. 46 s.; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Torino 1978, II, p. 1075; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, II, p. 231.