MONALDI, Giacomo. –
Nacque a Roma il 10 febbr. 1819 da Tullio dei marchesi Monaldi e da Maria Cassiani (Cassani).
La famiglia paterna annoverava numerosi letterati: il nonno Francesco Monaldi (Roma 1736-1806), poeta e scrittore, fu membro dell'Accademia dell'Arcadia (T. Monaldi, Notizie biografiche dell’abate F. M., in Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti, LVII [1832], pp. 264-274); il padre Tullio, letterato e numismatico, ricoprì il ruolo di conservatore perpetuo dell'archivio della Pontificia Accademia romana di archeologia (Dissertazioni della Pontificia Accademia romana di archeologia, Roma 1842, X, p. X; Gasparoni).
Fu il padre a presentare a G. Salvi, docente di architettura teorica nelle scuole accademiche in S. Luca, il giovane M., che proseguì quindi presso lo studio di A. Sarti.
Nel 1844 gli fu conferito un premio straordinario di una medaglia d'oro di venti zecchini nella prima classe di architettura del concorso Clementino - Pellegrini, bandito dall'Accademia di S. Luca.
L'attività professionale del M. ebbe inizio in quegli stessi anni con un intervento di notevole rilevanza, il restauro della chiesa di S. Giovanni della Malva in Trastevere.
Chiamata anche S. Giovanni in mica aurea, la chiesa, di impianto medievale, versava in condizioni di serio degrado dai tempi dell'occupazione napoleonica. I lavori di restauro furono realizzati per volontà del padre L. Togni, prefetto generale dei ministri degli infermi dell'Ordine di S. Camillo de Lellis, ai quali la chiesa era stata affidata nel 1842, e grazie alle sovvenzioni della duchessa A. Londei Grazioli e di suo figlio Pio, barone di Castel Porziano. Secondo la prassi dell'epoca, il progetto del M. modificò radicalmente l'originaria conformazione dell'edificio: l'impianto longitudinale divenne uno schema a croce greca, sovrastato da una cupola emisferica «priva di tamburo e impostata su tre gradini perimetrali con funzione di contenimento delle spinte» (F. De Tomasso, Le cupole di Roma, Roma 1991, p. 150). L'ingresso è delimitato internamente da colonne sulle quali poggia la cantoria; la facciata, delicatamente ritmata dagli aggetti appena pronunciati, è tripartita da un ordine gigante di lesene con capitelli compositi e chiusa da un timpano triangolare. Al di sopra del portale d'ingresso corre una cornice che si interrompe in corrispondenza delle paraste, oltre la quale sono tre riquadri in bassorilievo, uno per ciascuna campata, raffiguranti Maria, Giovanni Battista e Giovanni Evangelista e i simboli dei due santi.
I lavori avevano avuto inizio nella primavera del 1845 con la posa della prima pietra; la chiesa fu quindi ultimata e inaugurata nel 1851. Ne dava già notizia Gasparoni nel 1846 il quale, ancora a proposito del giovane autore dell'intervento, forniva ragguagli in merito a un'ulteriore opera del M. nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio alla fontana di Trevi, l'edificazione della cappella del Sacro Cuore di Gesù, da poco ultimata per conto del marchese E. Di Gregorio. Lì il M. collocò uno stilobate corrente lungo le pareti, decorate con riquadri di scagliola, sul quale pose una serie di pilastri compositi sormontati da una trabeazione che giunge alla medesima quota dell'imposta del fornice; la volta a botte è ornata con stucchi e pitture raffiguranti le virtù teologali.
Tra il 1851 e il 1852, a Subiaco in S. Scolastica, il M. intervenne sull'impianto progettuale ideato da G. Quarenghi nel 1769, a sua volta inserito entro l'originaria struttura gotica, ideando la conca absidale sorretta da colonne e pilastri di ordine ionico rivestiti di scagliola a imitazione del marmo fior di pesco: «era realizzata la nuova soluzione a nicchia di ascendente palladiano, che a qualcuno parve uscita dalla mano del Quarenghi, ma che introduceva all'interno un elemento d'illusione spaziale in contrasto con la chiarezza dell'architettura quarenghiana» (C. Giumelli, L'architettura dell'abbazia di S. Scolastica, in I monumenti benedettini di Subiaco, a cura di C. Giumelli, Milano 2002, p. 41).
Di nuovo a Roma nel 1867 il M. redasse una perizia sulle condizioni del palazzo di Firenze, descrivendo compiutamente le modalità dell'intervento di recupero, il quale avrebbe inoltre previsto la demolizione delle piccole case adiacenti situate sulle vie di Pallacorda e del Clementino, al fine di utilizzare l'area in maniera più redditizia. Con l'avvento del governo italiano, l’edificio subì una serie più articolata di opere di sistemazione per diventare la sede del ministero di Grazia e Giustizia e Culti (Bonfiglietti).
Tra il 1869 e il 1871 curò i lavori di restauro e risanamento della chiesa del S. Sudario dei Piemontesi, anch'essa chiusa al culto dopo l'occupazione napoleonica, nel corso della quale era stata adibita a scuderia; il rettore G. Croset-Mouchet affidò al M. l’opera architettonica e a C. Maccari le decorazioni (Fossi).
Per ciò che attiene ancora all'edilizia civile, gli anni seguenti videro il M. – e con questo la gran parte degli architetti operanti in quel periodo – alle prese con numerosi interventi su edifici della città storica. Le modifiche richieste dalla committenza riguardavano l'acquisizione di ulteriori volumi attraverso la sopraelevazione di uno o più livelli: tali operazioni non comportavano ancora alterazioni sostanziali della tipologia originaria, come avverrà in seguito grazie all'utilizzo delle strutture in ferro mediante le quali veniva modificata la quota d'imposta dei solai per ricavare un maggior numero di piani.
Tra queste si ricordano le sopraelevazioni dell'edificio di proprietà del conte A. Alborghetti nella piazza di Campo de' Fiori e del palazzo Vicentini in via Due Macelli (1872); le opere di sistemazione e sopraelevazione dell’ospizio teutonico presso S. Maria dell'Anima (1883-84), casamento del quale peraltro aveva curato la realizzazione tra il 1869 e il 1870 (Pellegrini), e dell'edificio in borgo S. Angelo in angolo con la via Traspontina (1884); il restauro e la ristrutturazione interna dell'edificio di proprietà dell'opera pia di S. Michele arcangelo dei corridori di Borgo, in via di Ripetta (1897).
Nel 1872, incaricato di realizzare un edificio per abitazioni in un lotto facente parte dell'emiciclo delle terme di Diocleziano, venne invitato in via informale da un funzionario dell’ufficio tecnico capitolino a redigere uno studio per la sistemazione dell'intera area, in quanto «mente era del Comune di Roma che quel semicircolo fosse costruito con un solo concetto». Appreso dalla stampa che il lavoro sarebbe stato invece affidato a Vespignani, il M. inviò il proprio progetto a F. Graspigni, facente funzioni di sindaco di Roma, rammentandogli i fatti. Grispigni lo restituì all’autore non senza aver grandemente lodato la qualità architettonica dell’opera, spiegando tuttavia come la commissione edilizia non avesse ancora stabilito le precise modalità dell’intervento da attuarsi (Roma, Archivio storico capitolino, Titolo 54, prot. 25031/1872).
Una nota biografica manoscritta, redatta in occasione della sua commemorazione presso l'Accademia di S. Luca, della quale egli fu membro a partire dal 1851, attribuisce al M. gli interventi di restauro e modifiche nel palazzo Cenci a S. Eustachio, oggi Stati Maccarani di Brazzà, le case di via della Maddalena in angolo con via delle Coppelle, «di stile purissimo», di via Tor Millina in angolo con via di Parione e di corso Umberto, poi albergo Campidoglio (Roma, Archivio storico dell'Accademia di S. Luca, vol. 190 n. 1). La medesima fonte cita un'ulteriore opera del M. a Rieti, i restauri del palazzo Vicentini: si tratta del rifacimento della facciata del palazzo Dosi Delfini, sulla piazza Vittorio Emanuele, attuale sede della fondazione Varrone e già dei marchesi Vicentini, i quali ne avevano intrapreso la costruzione nel XVII secolo accorpandovi il preesistente impianto della residenza della famiglia Montegambaro. Il M. ne ridisegnò il prospetto nelle forme neorinascimentali a lui care, ponendovi un alto basamento di bugnato sormontato da una fascia che ingloba la loggia centrale, sorretta da due colonne (1889).
Opera più nota del M. è il palazzo Campanari su via Nazionale a Roma (1883), riguardo al quale P. Bonelli, nelle pagine de Il Buonarroti, si esprimeva in termini più che lusinghieri riconoscendo in lui «uno di coloro che cercano di allontanare dalla pura scuola romana le infettazioni del moderno architettare».
Il linguaggio del M., attingendo a piene mani dall'architettura del Cinquecento, appare il più delle volte improntato a una grande sobrietà stilistica. Decisamente più arditi e sovraccarichi, per quanto in sintonia con il gusto dell'epoca, gli apparati decorativi degli interni, che il M. usava curare con grande attenzione fin nei dettagli.
Membro dell'Accademia tiberina dal 1846, fu autore degli allestimenti degli eventi tenuti in quella sede; nel 1868 figurava, in qualità di architetto vice amministratore dei concorsi, tra i membri della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon. La citata nota biografica rammenta l'impegno profuso dal M. nel prestare assistenza alle vittime dell'epidemia di colera che colpì la città di Roma nel 1859.
Morì a Roma il 9 genn. 1905.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico capitolino, Titolo 54, prott. 25493/1872; 75603/1883; 9457/1884; 28590/1884; 23303/1897; 31319/1899; Ibid., Arch. storico del Vicariato, Parrocchia di S. Maria in Via, Stati d'anime, reg. 123 (1843); Ibid., Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, voll. 103 n. 30; 190 nn. 10-52; F. Gasparoni, Riedificazione della chiesa di S. Giovanni in Mica Aurea nel Trastevere, in Giornale degli architetti con rassegna di cose e notizie d’arte in continuazione del Girovago, I (1846), 4, pp. 25 s.; Id., Cappella del S. Cuore di Gesù nella chiesa de’ Ss. Vincenzo e Anastasio a Fontana di Trevi, ibid., p. 26; Annuario Pontificio 1868, Roma 1868, p. 497; A. Pellegrini, Sulle tre colonne recentemente scoperte presso S. Maria della Pace e sul luogo del loro ritrovamento…, in Il Buonarroti, s. 2, V (1870), 7, p. 198; G. Croset-Mouchet, Dello stato presente della r. chiesa del Ss. Sudario in Roma, Roma 1872, p. 52; P. Bonelli, Il palazzo Campanari sulla via Nazionale, in Il Buonarroti, s. 3, I (1882), 6, pp. 233-236; J. Arnaud, L’Académie de Saint-Luc à Rome…, Rome 1886, pp. 235, 367-369; R. Bonfiglietti, Il palazzo di Firenze restaurato, in Capitolium, VI (1930), p. 14; P. Carosi, La provincia sublacense (1851-1867), in Pietro Casaretto e gli inizi della Congregazione sublacense (1872-1880). Saggio storico nel I centenario della Congregazione (1872-1972), Montserrat 1972, p. 427; P. Marconi - A. Cipriani - E. Valeriani, I disegni di architettura dell’Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, Roma 1974, nn. 1009-1012; G. Spagnesi, Edilizia romana nella seconda metà del XIX secolo (1848-1905)…, Roma 1974, pp. 32, 215, 272; Guide rionali di Roma. Rione VIII. S. Eustachio, parte I, a cura di C. Pericoli Ridolfini, Roma 1977, p. 56; Rione XIII. Trastevere, parte I, a cura di L. Gigli, ibid. 1977, pp. 100, 102, 109; Rione II. Trevi, parte V, a cura di A. Negro, ibid. 1992, p. 94; A.M. Racheli, Restauro a Roma 1870-1990. Architettura e città, Venezia 1995, p. 33; La storia dei Giubilei, a cura di G. Fossi, IV, 1800-2000, a cura di F. Margiotta Broglio, Roma-Firenze 1997, p. 87; Le «scuole mute» e le «scuole parlanti». Studi e documenti sull’Accademia di S. Luca nell’Ottocento, a cura di P. Picardi - P.P. Racioppi, Roma 2002, p. 404.