MORENO, Giacomo
MORENO, Giacomo. – Nacque a Ceriale, nel Savonese, probabilmente nel 1832 – come si desume dall’atto di morte che lo registra deceduto nel 1910 all’età di 78 anni – da una famiglia di contadini (Resasco, 1892, p. 293).
I genitori, dei quali non sono noti i nomi, avrebbero voluto che si dedicasse all’agricoltura, ma per le sue precoci doti artistiche ottenne di frequentare l’Accademia ligustica di Genova, dove la sua presenza è attestata fin dal 1852 e dove seguì i corsi di scultura di Santo Varni (Sborgi, 1988, p. 478). In data imprecisata si sposò con Cristina Castellano.
Iniziò un’autonoma attività artistica sul finire degli anni Cinquanta, con una serie di Putti che incontrarono il favore della committenza (Resasco, 1892, p. 294). Abile ritrattista, negli anni Sessanta espose con continuità alle mostre della Promotrice di Genova dove era solito presentare, riscuotendo un buon successo, ritratti, busti in marmo, ma anche modelli in gesso concepiti per una successiva realizzazione finale in materiale lapideo, come risulta dai cataloghi dell’epoca (Vicario, 1994, p. 737). Nel 1862 partecipò a questa manifestazione con L’Innocenza custodita dalla Fedeltà, opera che poi riprodusse in marmo e presentò nella stessa sede nel 1864.
La maggior parte della produzione nota e in buono stato di conservazione di Moreno si trova nel cimitero di Staglieno di Genova (Sborgi, 1997, pp. 400 s.). La sua ampia produzione funeraria è improntata alla corrente del realismo borghese, della quale divenne presto uno dei principali interpreti. Fu molto ricercato in Liguria e all’estero per la sua eccellente abilità nel lavorare il marmo e per la capacità di rappresentare i sentimenti dei personaggi scolpiti.
Nel 1868, quando aveva già uno studio avviato e riceveva importanti commissioni, terminò un complesso scultoreo di grandezza colossale, raffigurante Ippocrate, Galeno eAvicenna, concepito per decorare la porta maggiore dell’ospedale di S. Bonaventura di Buenos Aires. Nella stessa sede e nello stesso anno, aveva fatto collocare altre dieci statue colossali in marmo, scolpite probabilmente in precedenza, rappresentanti illustri medici del passato (ibid.).
Dalla visita al suo studio di un cronista dell’epoca emerge che Moreno possedeva già negli anni Sessanta notevoli abilità anche nella ritrattistica infantile (Una visita allo studio di G.M., 1869). Riusciva a rendere attraverso il marmo le fisionomie dei personaggi, fin nella grana dell’epidermide, nel realismo delle rughe e nei differenti tipi di tessuto dei vestiti e, già in quest’epoca, aveva realizzato monumenti funebri da collocare nell’ospedale di Camogli e nel cimitero di Staglieno a Genova. Fra le opere la cui presenza è attestata nello studio dell’artista ed eseguite negli anni Sessanta, non oltre il 1868, si segnalano le statue raffiguranti La Carità e Pia dei Tolomei. Nel 1869 realizzò la Tomba Petzalis destinata al cimitero di Patrasso (Sborgi, 1997, p. 337 n. 549).
Generalmente aderì all’estetica della scultura funeraria dell’epoca, che abbandonava la rappresentazione dei significati trascendenti, aumentando invece i particolari del contesto della vita terrena del defunto e dei suoi affetti. Spesso, al monumento funerario individuale si sostituì la tipologia della tomba di famiglia, dove vedove e bambini orfani venivano minuziosamente ritratti in composte manifestazioni di dolore e di pianto o in atto di preghiera (Sborgi, 1988, p. 371).
Nel 1878, nel porticato inferiore a ponente del cimitero di Staglieno, realizzò la Tomba Badaracco nella quale, con estremo realismo, seppe ritrarre il dolore di una donna che piange il defunto, rendendo vivi, attraverso il trattamento del marmo, i particolari della grana della pelle, i singoli capelli e peli delle sopracciglia, la trasparenza delle lacrime e i merletti della veste (Monumenti e statue, 2003, pp. 58 s.). Nel coevo cippo di Riccardo Devoto (Genova, cimitero di Staglieno; ripr. in Sborgi, 1997, p. 358 fig. 558), sempre con estremo realismo, rappresentò la figlia del defunto di profilo, a mani giunte, evidenziando, come di consueto, i particolari del tessuto della veste e dell’acconciatura. Nella prima metà degli anni Ottanta realizzò la Tomba Borzino (ripr. ibid., p. 363 fig. 572) nella quale, entro un’architettura neo-rinascimentale, è collocata la figura di una giovane signora in atto di fare l’elemosina a una donna che tiene in braccio un bambino sul sagrato di una chiesa.
Era prassi per Moreno, al pari di molti suoi colleghi, eseguire repliche delle sculture adattandole ai vari committenti. Un gruppo, dal titolo Elemosina (ubicazione ignota), conosciuto anche come Non sappia la tua sinistra quello che fa la destra, perfettamente analogo per pose e dettagli dei personaggi a quello realizzato per la sopraccitata Tomba Borzino, era già stato eseguito negli anni Sessanta e lodato più volte dalla stampa dell’epoca che l’aveva definito «una lezione di morale evangelica» (Una visita allo studio di G.M., 1869). Anche nella Tomba De Barbieri del 1887 (ripr. in Sborgi, 1988, p. 372), sempre nel cimitero di Staglieno, riprese la figura della giovinetta presente nella Tomba Moreno, realizzata in precedenza per suo padre nel cimitero di Ceriale (Resasco, 1892, p. 295). A causa della sua fama, le sue sculture furono replicate da altri artisti, che pagavano all’autore i diritti economici per l’invenzione dell’originale, ma talvolta furono eseguite anche copie non autorizzate delle sue opere come alcune presenti in America Latina (Sborgi, 1988, p. 398).
Nel 1890 eseguì la Tomba Enrico Amerigo (Genova, cimitero di Staglieno, porticato inferiore; ripr. in Sborgi, 1997, p. 365) e due anni dopo la Tomba Grondona (ripr. ibid., p. 365). Nella Tomba Carolina Gallino (1894), nel nicchione nr. XXXI del porticato inferiore a levante del cimitero di Staglieno, affrontò con modernità il tema del compianto borghese dei morti, scegliendo di rappresentare i familiari del defunto non nel momento del trapasso, ma intenti a rendere omaggio alla tomba dell’estinto durante una visita al cimitero (ripr. in Monumenti e statue, 2003, p. 68).
Il tema della morte è trattato da Moreno e da molti scultori suoi contemporanei come una manifestazione sociale, alla quale bisogna partecipare con tutta la famiglia (Sborgi, 1988, p. 371). È un’arte didattica, che mostra all’osservatore la ritualità di un comportamento esemplare. Il busto che ritrae la defunta Carolina è abbracciato da una bambina, alla quale viene insegnato da una donna, probabilmente la madre, il valore borghese della pietas; mentre l’uomo, verosimilmente il marito, manifesta il dolore in modo più solitario, guardando per terra a braccia conserte (ripr. in Sborgi, 1997, p. 144 fig. 188).
Si ricordano, inoltre, fra le molte sculture nel cimitero di Staglieno, anche la Tomba Bernardo Figari e la Tomba Lagorio-Serra (Sborgi, 1988, p. 478). Realizzò tombe infine per il cimitero di Rio de Janeiro, per quello di Valparaíso e per quello di Montevideo (Sborgi, 1997, p. 338 n. 565).
Morì a Ceriale il 25 giugno 1910.
Ritenuto uno dei migliori interpreti della scultura borghese realista del secondo Ottocento (Vicario, 1994, p. 737), lo scultore tuttavia non compare frequentemente nei repertori e sono state rintracciate poche menzioni sulla stampa dell’epoca.
Fonti e Bibl.: Ceriale, Archivio del Comune, Registro degli atti di morte, 1910, n. 14, parte I; M. A., Una visita allo studio di G. M., in Corriere mercantile, 1 ottobre 1869 (con bibl.); F. Resasco, La necropoli di Staglieno…, Genova 1892, pp. 293- 300; G. Grasso - G. Pellicci, Staglieno, Genova 1977, pp. 34, 94, 109; F. Sborgi, Dal romanticismo al ‘realismo borghese’, in La scultura a Genova e in Liguria. Dal Seicento al primo Novecento, II, Genova 1988, p. 363; Id., La fortuna della scultura ligure, ibid., pp. 397-399 e ad ind.; V. Vicario, Gli scultori italiani dal neoclassicismo al liberty, II, Lodi 1994, pp. 737 s.; F. Sborgi, Staglieno e la scultura funeraria ligure tra Ottocento e Novecento, Torino 1997, ad ind.; Monumenti e statue di Staglieno, Genova 2003, p. 94; Dizionario degli artisti liguri, a cura di G. Beringheli, Genova 1991, p. 207.