NANI, Giacomo
– Nacque a Palma, l’attuale Palmanova, il 31 gennaio 1725, terzogenito maschio di Antonio, all’epoca provveditore generale della fortezza, e di Lucrezia Lombardo.
Quando fu battezzato, gli furono imposti anche i prenomi, caduti poi in disuso, di Maria e Pietro. La casa paterna, un ramo secondario dei Nani di S. Trovaso, che allora viveva in affitto a S. Maurizio, godeva di fortune mediocri, ma anche di un peso politico alquanto considerevole. Antonio si era distinto nel corso della prima guerra di Morea e in seguito era stato provveditore generale nella penisola greca e capitano di Brescia; si conquistò poi un posto nel ‘giro’ del Consiglio dei dieci (tra l’altro fu eletto quattro volte inquisitore di Stato). Aveva potuto fare assegnamento soprattutto su un influentissimo cognato (marito di Lucia, la sorella di Lucrezia), il procuratore di S. Marco Giovanni Emo di S. Simon piccolo, nella Venezia tra gli anni 1720 e il 1760 riconosciuto come il più autorevole punto di riferimento del patriziato medio e piccolo e al quale Giacomo dedicò intorno al 1749 una serie di scritti, tra cui Serie ed ordine delle idee del Pr. Emo e Carattere del Pr. Emo rivestito in un dialogo de’ morti a norma di que’ di Luciano e di Giuliano Imperatore.
Tra il 1734 e il 1740 Giacomo studiò in casa, insieme al minore dei fratelli, Giovanni, sotto la guida di un precettore, l’abate Gasparo Patriarchi, un letterato tradizionalista che influì ben poco sulla sua formazione culturale, sulla quale invece impressero un’orma significativa un cugino, il filosofo libertino Antonio Conti, e i milieux illuminati che Conti frequentava e di cui facevano parte, tra gli altri, Giacomo Stellini, Carlo Lodoli e Francesco Algarotti, nonché, tra i patrizi più o meno coetanei di Giacomo, il cugino Alvise Emo, Andrea Memmo e Angelo Querini. Il giovane patrizio doveva imparare, oltre alle lingue classiche, il francese e l’inglese, leggere, apprezzare e in qualche caso commentare le opere di Francesco Bacone e di John Locke, di Jonathan Swift e del conte di Shaftesbury, di Giovan Battista Vico e di Antonio Genovesi, di Montesquieu e di Voltaire, di George Berkeley e di Jean Le Clerc.
I quattro figli maschi di Antonio furono destinati a coprire tutto l’arco delle attività ritenute consone ai patrizi veneziani: Bernardo, il primogenito, fu avviato a una carriera politica che, grazie alle sue doti e alla protezione dello zio Emo, fu quanto mai brillante (fu per una quindicina d’anni savio di Terraferma e dal 1754 alla morte, avvenuta nel 1761, savio del Consiglio); Alvise, il secondogenito, mentre seguì un cursus honorum di secondo piano imperniato sulle magistrature finanziarie, si occupò soprattutto dell’amministrazione dei beni della casa; Giambattista (in religione Giovanni), il minore, si scoprì, dopo la morte di Bernardo, una tardiva vocazione ecclesiastica e divenne vescovo di Torcello e poi di Brescia.
Il padre destinò Giacomo a quella ‘strada del mare’, vale a dire la carriera nell’armata, la flotta da guerra veneziana, che egli stesso aveva percorso, una decisione che il ragazzo – s’imbarcò infatti per la prima volta a 15 anni quale nobile di galera, una sorta di cadetto guardiamarina – subì assai malvolentieri. Come scrisse nel 1754 a Bernardo (dal 1742, vale a dire dalla morte di Antonio, capo della casa), «sapete che la strada non mi piace, che mai mi piacque, e che non altro che necessità mi vi condusse» (cfr. Del Negro, 1971); sei anni più tardi arrivò a dichiarare nella dedica al fratello maggiore della Difesa di Venezia (opera rimasta inedita) che era «per colpa non sua ascritto ad un’inerte ed oziosa milizia» (ibid.). Quando Bernardo morì, Giacomo, che pure aveva ormai raggiunto una posizione di spicco nell’armata, cercò di convincere i fratelli superstiti a lasciarlo ritornare a Venezia: «la Casa verrebbe a risparmiare il mio mantenimento, io questo di un’inutile fatica, travaglio di animo e di corpo e tale che rinuncierei quasi a tutto il passato ancora intieramente»; quanto agli «avanzamenti», «quando io stia mediocremente bene in casa essi non mi solleticano» (ibid.).
Nonostante la sua avversione per quella che gli appariva un’ingrata e monotona corvée, una «vita da facchino» (ibid.) tra l’altro assai poco rimunerata e che obbligava a sostenere non poche spese (nel 1748 Bernardo calcolò che il fratello era già costato alla casa 6000 ducati e che ne sarebbero stati necessari altri 20.000 «per finir la sua strada»), Giacomo percorse uno dopo l’altro i gradini della milizia marittima, da nobile di galera e poi di nave (1740-44) a governatore di nave (1744-48) e, dopo aver trascorso a Venezia gli anni dal 1749 al 1752 in qualità di magistrato alle Pompe e sopra Banchi, governator di nave per la seconda volta (1752-56), patrona (1756-59), almirante (1759-62) e, infine, capitan delle navi (1762-66). In quest’ultima veste guidò nel 1766 una spedizione contro Tripoli, i cui corsari non avevano rispettato un trattato stipulato con la Serenissima. «Senza sbarar un schiopo» – come scrisse Giorgio Baffo in un sonetto elogiativo del patrizio che circolò manoscritto in quell’anno (ibid.) – Giacomo costrinse il bey a rinnovare l’accordo con Venezia.
Negli anni 1740 fu due volte a Costantinopoli e nel 1763 raggiunse Corfù dalle Puglie dopo un viaggio attraverso l’Italia, di cui redasse un diario assai interessante, così come in precedenza aveva tenuto accurati diari di bordo delle sue crociere nel Mediterraneo, nelle quali fu accompagnato da scienziati quali Giacomo Marescotti e Guido Vio e che gli servirono anche per arricchire il museo archeologico e la biblioteca, che Bernardo aveva notevolmente rilanciato dopo la morte del padre.
Ricompensato in seguito all’impresa di Tripoli con il cavalierato della Stola d’oro, Giacomo, che nel frattempo era diventato il capo della casa (Alvise era morto nel 1763) e che nel 1764 era stato ammesso in Senato, fu nei decenni successivi impiegato in magistrati di un certo rilievo, ma sempre ai margini del centro veneziano del potere, il Collegio dei savi. Nel 1772, l’anno in cui fu eletto provveditore estraordinario alla Sanità nel Padovano e Polesine, si sposò con Moceniga Vendramin ai Carmini, che usciva da una casa assai agiata e politicamente influente. Da Moceniga ebbe una femmina, Lucrezia, che sposò nel 1792 Lorenzo Sangiantoffetti, e due figli maschi, entrambi chiamati Antonio, il primo di quali morì di pochi mesi nel 1778 e il secondo, ultimo rampollo dei Nani di S. Trovaso, nacque nel 1791.
Nel 1776-79 Giacomo fu provveditore generale da Mar (vale a dire comandante in capo della flotta e governatore delle isole Ionie) e nel 1780-81 capitano a Padova. Rientrato definitivamente a Venezia, non occupò posizioni di particolare spicco, se si eccettua un mandato quale riformatore dello Studio di Padova (1791-93), né si segnalò nei dibattiti senatori di quegli anni. La minaccia rivoluzionaria lo riportò in primo piano. Dopo la scomparsa del cugino Angelo Emo, protagonista delle campagne navali degli anni 1780 contro il bey di Tunisi, Nani appariva il più competente dei patrizi con un passato militare: nel giugno 1796 fu eletto provveditore alle Lagune e lidi, l’uomo incaricato di difendere Venezia dalla minaccia francese.
Politico, tutto sommato, di secondo rango e militare che fu sempre sottratto dal destino alla prova del fuoco, Nani ritenne di raggiungere una certa fama dedicando i suoi ultimi anni al completamento di un’opera imponente, Della veneta milizia marittima (rimasta in buona parte inedita), grazie alla quale si augurava di conservare per un domani migliore il prezioso patrimonio delle gesta della marina militare della Repubblica.
La iniziò nel 1756-57, allorché intraprese – nella prima fase della guerra dei Sette Anni, quando erano «intenti gli occhi di tutta l’Europa all’assedio di Praga» – Della difesa di Venezia (ed. a cura di G. Filippi, Venezia 1997). Federico II aveva dimostrato che «nessun luogo e città avrebbe potuto credersi intieramente al coperto da sfortunate e dannose vicende» (p. 11). «Non fortezza di sito né lunga prescrizione di tempo» potevano garantire che Venezia fosse «per sé stessa fuori d’ogni pericolo». Nani era anzi convinto che «la decorsa nostra tranquillità [fosse] derivata dalla sola combinazione di fortunati avvenimenti» (p. 12). L’opera fu completata nel 1760, ma poi ripresa e aggiornata in qualche capitolo intorno al 1770, quando Nani volle far tesoro delle lezioni impartite dalla rivoluzione corsa; ancora nel 1796, all’indomani della nomina a provveditore alle Lagune, vi aggiunse un’avvertenza Al lettore, che teneva conto delle novità introdotte dalla rivoluzione francese in ambito militare.
In un secondo tempo Della difesa di Venezia fu inclusa quale «opera quinta» della Veneta milizia marittima, la cui opera prima fu individuata nelle Memorie sopra le militari imprese de’ veneziani, in cui trovarono posto sia le Memorie manoscritte per servire alla istoria militare marittima della Repubblica, una raccolta di documenti in maggioranza di provenienza pubblica, sia le Azioni navali dei veneti. Estratti da storici veneti, due sillogi accompagnate da commenti e osservazioni del patrizio. Nani incluse quale opera seconda della Veneta milizia marittima un trattato di arte politico-militare destinato ai vertici delle forze armate veneziane, De’ piani deliberativi ed esecutivi di guerra (inizialmente gli attribuì il titolo autoironico di Sogno militare marittimo per il miglior servizio della Repubblica di Venezia) e quali terza e quarta le istruzioni tattiche per l’armata «grossa» (le navi) e «sottile» (le galere).
Più che per questo monumento raccolto in un’ottica alla Marco Foscarini, Nani merita di essere ricordato per i numerosi e innovativi scritti che dedicò all’analisi del patriziato e del governo della Repubblica tra il 1749 e la prima metà degli anni Ottanta del Settecento. In gioventù fu portavoce di un gruppo di patrizi – «spiriti forti, liberi» (Del Negro, 1971) – nato dall’incontro tra l’esperienza politica della media nobiltà avversa a un regime oligarchico controllato dalle grandi case del patriziato e un milieu culturale eterodosso, che raccoglieva i primi illuministi veneziani. Nel Saggio politico del corpo aristocratico della repubblica di Venezia e in altri scritti degli anni 1750 e 1760, tra i quali meritano di essere segnalate le penetranti Osservazioni sui metodi, costumi, e inclinazioni di alcuni rappresentanti nelle provincie del Levante (inedite), Nani denunciò la crisi della Serenissima, applicando tra l’altro l’aritmetica morale allo studio di un patriziato lucidamente e impietosamente colto nelle sue stratificazioni e opposizioni politico-sociali e ideologiche.
Nei primi anni Ottanta, quando si dedicò nuovamente alla riflessione politica – appartengono a questa fase, tra le opere rimaste inedite, i Divisamenti e confronti per il governo delle provincie d’oltremare (1780), i Principi d’una amministrazione ordinata e tranquilla (1781) e i Discorsi sul governo della repubblica di Venezia (1782-84) – si riconobbe invece in una diagnosi moralistica della crisi del regime che rispecchiava le posizioni conservatrici alle quali era approdato.
Era dell’opinione che fossero «già stati corrosi tutti li fondamenti» della costituzione veneziana (Del Negro, 1971): nuovi costumi, letali per i valori repubblicani, avevano attecchito sulle rive della laguna veneta. Lo spirito di «despotismo» – uno spirito al quale assimilava, sul piano interno, il riformismo di Andrea Tron e della sua cerchia – stava per avere il sopravvento. Convinto che «l’ultimo fatale momento» della Repubblica fosse vicino («non manca che l’urto di una qualche interna o esterna combinazione, che faccia crollar quella fabbrica»), l’ultimo Nani raccomandava «il mantenimento dell’ordine» e di evitare «qualunque adesione a riforma»: la Repubblica aristocratica doveva dissolversi nel modo più indolore possibile, scomparire senza «straggi e convulsioni» nel buco nero dell’«inazione».
A partire dal 1785 si allontanò dal mondo della politica, rifugiandosi nella storia della marina veneziana e nell’analisi economica (si veda l’Esposizione di quelle avvertenze e morali cause per la sola verificazione delle quali la economia delle Nazioni può migliorarsi, che portò a termine intorno al 1790). Anche se fu, paradossalmente, uno dei pochi patrizi a battersi risolutamente nel 1796-97 per evitare il destino, che aveva pronosticato alla Repubblica, la fine della Serenissima rispettò gli schemi della sconsolata sceneggiatura che aveva tracciato un paio di decenni prima.
Morì il 4 aprile 1797, precedendo di 40 giorni la fine della Repubblica aristocratica.
Scritti editi: Nozze Rosselli-Modena (Dalla relazione di un viaggio a Corfù scritta da G.N. Capitano delle navi veneziane), Padova 1894; Nozze Marzolo-Occioni. Estratti di relazioni di combattimenti navali tolti dalle Memorie mss. delle imprese militari marittime de’ Veneziani del Kav. G.N. Capitano delle navi preceduti da un’illustrazione delle memorie stesse, Padova 1894; Instituzioni navali per il servizio dell’armata sottile, a cura di M. Nani Mocenigo, Venezia 1937.
Fonti e Bibl.: All’Arch. di Stato di Venezia si trova un Archivio Nani di S. Trovaso (10 bb.), che conserva una documentazione di carattere per lo più amministrativo, mentre le carte personali di Giacomo Nani sono distribuite principalmente tra la Bibl. civica di Padova (una descrizione in appendice (pp. 141-147) a P. Del Negro, G. N. Appunti biografici, in Bollettino del Museo Civico di Padova, LX [1971], 2, pp. 115-147; si indica qui la segnatura delle più importanti: Memorie mss., C.M. 139; De’ piani, C.M. 140, 141 e 633; Tattica per l’armata grossa, C.M. 143; Tattica ... sottile, C.M. 145; Osservazioni sui metodi, C.M. 216; Principi d’una amministrazione, C.M. 125; Esposizione, C.M. 124; lettere a Bernardo e ad altri familiari 1741-61, C.M. 126 I e II, 155 e 270) e la Bibl. Universitaria di Padova (ms. 161: Memorie sopra le militari imprese; ms. 396: diario del viaggio del 1763; ms. 914: contiene tra l’altro il Saggio politico, gli scritti su G. Emo e parecchi altri sulla politica veneziana; ms. 1653: Azioni navali; ms. 2234/7: Discorsi); i Divisamenti sono inclusi nella Leopold von Ranke Manuscript Collection della George Arents Research Library della Syracuse University, ms. 13; la raccolta maggiore di lettere a Nani in Bibl. naz. di Torino, ms. Q2- III -5. P. Zurla, Memorie intorno alla vita, e agli studi del Veneto Senatore Cavaliere Jacopo N. lette nell’Ateneo Veneto nel giorno 30 maggio 1816, in Bibl. Univ. di Padova, ms. 2219, f. 22, cc. 207-234; E. Manetti, Di un manoscritto del provveditore cav. Jacopo N. Cenni, Padova 1879 (sull’Esposizione); F. Nani-Mocenigo, G. N. Memorie e documenti, in Agostino, Battista e G. N. (Ricordi storici), Venezia 19172, pp. 387-597; T.A. Catullo, G. N., in Biografie degli Italiani illustri ... del secolo XVIII, V, Venezia 1837, pp. 243-250; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant’anni, I, Venezia 1855, pp. 163-166; P. Del Negro, La retorica dei Savi. Politica e retorica nella Venezia di metà Settecento, in Retorica e politica. Atti del II Convegno italo-tedesco. Bressanone 1974, a cura di D. Goldin, Padova 1977, pp. 121-130; Id., Venezia allo specchio. La crisi delle istituzioni repubblicane negli scritti del patriziato (1670-1797), in Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, CXCI (1980), pp. 920-926; Id., G. N. e l’Università di Padova nel 1781. Per una storia delle relazioni culturali tra il patriziato veneziano e i professori dello Studio durante il XVIII secolo, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XIII (1980), pp. 77-114; Id., Vico nel discorso politico di un patrizio veneziano del Settecento, in Vico e Venezia, a cura di C. De Michelis - G. Pizzamiglio, Firenze 1982, pp. 183-197; Id., La distribuzione del potere all’interno del patriziato veneziano del Settecento, in I ceti dirigenti in Italia in età moderna e contemporanea. Atti del convegno... 10-12 settembre 1983, a cura di A. Tagliaferri, Udine 1984, pp. 311-337; Id., Proposte illuminate e conservazione nel dibattito sulla teoria e la prassi dello Stato, in Storia della cultura veneta, V, 2, Il Settecento, Vicenza 1986, pp. 123-145; Id., Politica come sapienza e politica come scienza negli scritti del giovane G. N., in Quaderni di retorica e poetica, II (1986), pp. 155-162; F. Venturi, Settecento riformatore, V, L’Italia dei lumi, 2, La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990, passim; V. Hunecke, Der venezianische Adel am Ende der Republik 1646-1797. Demographie, Familie, Haushalt, Tübingen 1995 (trad. it.: Il patriziato veneziano alla fine della Repubblica: 1646-1797. Demografia, famiglia, ménage, Roma 1997); S. Stoppato, G. N.e il “Saggio politico del corpo aristocratico della Repubblica di Venezia per l’anno 1756”: prime osservazioni, in Studi storici Luigi Simeoni, XLV (1995), pp. 209-223; A. Viggiano, Lo specchio della Repubblica. Venezia e il governo delle Isole Ionie nel ’700, Verona 1998, passim.