PACCHIAROTTI, Giacomo
– Nacque a Siena nel 1474 da Bartolomeo di Giovanni e da Elisabetta di maestro Niccolò.
La fama di Pacchiarotti, come dimostrano i numerosi documenti conservati negli archivi e nella biblioteca comunale di Siena, è dovuta per lo più alla sua attività 'politica' che lo vide animatore di tumulti e diretto partecipante ai convulsi avvenimenti della storia senese del primo Cinquecento. Le gesta dell'artista ribelle furono riprese dai cronisti locali fino a farne il protagonista, dai tratti aneddotici e caricati, di una novella di Pietro Fortini (ed. 1858). Probabilmente grazie alla nomea di pittore libertino, attivo nella faziosa compagnia dei Bardotti, furono legati al suo nome, nel corso dei secoli, gruppi di dipinti stilisticamente anche molto diversi fra loro. Nel corso del Seicento si riferì a Pacchiarotti la quasi totalità del corpus delle opere di Girolamo del Pacchia (Girolamo di Giovanni), pittore di poco più giovane e suo probabile collaboratore fin dai primi anni di attività. A inizio Ottocento grazie a una monografia sull'artista, curata dall'abate Luigi de Angelis, venne riferita a Pacchiarotti anche tutta una serie di opere di cultura strettamente quattrocentesca, il cui autore fu poi riconosciuto in Pietro di Francesco Orioli (Angelini 1982, pp. 72-78). Grazie a Gaetano Milanesi (1856, p. 59) fu poi possibile scindere dal composito corpus riferibile a Pacchiarotti il gruppo delle opere di Girolamo del Pacchia. È stato però necessario aspettare i fondamentali studi di Alessandro Angelini e di Fiorella Sricchia Santoro degli anni Ottanta del Novecento per individuare la vera personalità artistica di Pacchiarotti e collegare al suo nome un gruppo di opere che si legavano al soggiorno del Pinturicchio a Siena, precedentemente gravitavanti intorno al nome di Matteo Balducci (Sricchia Santoro, 1982, pp. 14-23).
Assume notevole importanza la notizia, riferita da Milanesi (1881, p. 416) e fino a oggi tralasciata dalla critica, che vuole Pacchiarotti autore degli affreschi del piccolo oratorio di S. Sebastiano in Camparboli, nei pressi di Asciano. Se la grande Assunzione della Vergine è da riferire al binomio, tutto senese, Benvenuto di Giovanni e Girolamo di Benvenuto, i due affreschi laterali, raffiguranti S. Lucia e s. Rocco e S. Girolamo, datati 1497, si possono coerentemente inserire all'interno del corpus del giovanissimo Pacchiarotti, in un momento precedente il suo soggiorno romano. L'ipotesi viene confermata stilisticamente dalla mancanza dell'influenza pinturicchiesca negli affreschi di Asciano che sembrano piuttosto accostarsi ai modi della pittura luminosa dell'Orioli.
Nel far luce sull'attività giovanile di Pacchiarotti Sricchia Santoro (1982, p. 14), basandosi su un documento datato 1500, che recita «ha el Pachia sta a Roma» (Milanesi, 1856, p. 7), ha proposto un soggiorno romano di Pacchiarotti, il quale, in stretto rapporto con il più giovane compagno Girolamo di Giovanni (el Pachia), orbitando nella bottega romana del Pinturicchio, avrebbe preso parte alla decorazione della cappella Basso della Rovere in S. Maria del Popolo. Pinturicchio, coordinato il lavoro di decorazione e decisa l'innovativa partizione illusionistica delle scene, avrebbe delegato l'intera esecuzione delle due scene principali (Madonna con s. Agostino e s. Francesco e l'Assunzione di Maria) e delle lunette con Storie mariane al suo promettente allievo senese (Todini, 1989, p. 111; Angelini, 2002, pp. 117-183).
I due artisti, sempre a fianco del Pinturicchio, questa volta con un ruolo predominante svolto dal più esperto Pacchiarotti, avrebbero preso parte alla decorazione del soffitto della libreria Piccolomini, impresa allocata al Pinturicchio da Francesco Todeschini Piccolomini solo pochi mesi prima di essere eletto papa con il nome di Pio III (29 giugno 1502).
Nel sontuoso soffitto della libreria, che deriva direttamente dall'illustre modello della Domus aurea, le figurazioni entro gli scomparti (Scene di vita pastorale, Baccanali e Thiasos marino nei riquadri laterali; Ratto di Proserpina e Diana ed Endimione nei riquadri maggiori al centro) non corrispondono però ai modi tipici del maestro umbro. La storiografia artistica è infatti concorde nell'indicare Pacchiarotti come esecutore, aiutato forse da Girolamo del Pacchia, della gran parte delle figurazioni della volta. I modi di Pacchiarotti si riconoscono nelle raffigurazioni di stile sintetico, nelle monotone figure dalle fisionomie arrotondate e negli avvolgimenti corposi delle linee, nelle teste imbambolate e leggermente sproporzionate.
L'attività all'interno della bottega del Pinturicchio risultò fondamentali per Pacchiarotti il quale in quel periodo maturò quello stile umbro-romano che lo caratterizzò poi per l'intera carriera. Nel 1503 è documentato il suo intervento nel duomo senese, con la realizzazione di alcune teste di ‘cesari’ in stucco e la decorazione a grottesche delle arcate che accolgono le teste degli imperatori. I pagamenti, che si susseguono dal 1503 fino al 1504, sono di notevole importanza non solo perché costituiscono il primo riferimento certo a un'opera dell'artista ma anche in quanto recano testimonianza della sua particolare specializzazione in quella particolarissima cultura antiquaria, che vide nel Pinturicchio il suo maggior esponente ed ebbe così tanta fortuna a Siena fra la fine del Quattrocento e l'inizio del secolo successivo (Fattorini, 2009, pp. 47-51).
Furono quelli gli anni della fase artistica più felice di Pacchiarotti che, grazie alle sue collaborazioni, diventò una sorta di alter ego locale del col Pinturicchio: lo dimostrano le importanti commissioni successive che lo videro variamente impegnato in città.
Nel 1505 Pacchiarotti prese in moglie Girolama di ser Alessandro Martini che gli dette due figlie: Gabbriella, nata nel 1507 e Lucrezia Agostina, battezzata nel 1509. Nello stesso 1505 gli fu commissionata la pala d'altare con l'Assunzione della Vergine per la cappella Borghesi in S. Spirito, lavoro che fu finito nel 1507.
Niccolò Borghesi si era distinto non solo come partecipante ai convulsi avvenimenti della politica senese del tempo ma anche come illustre letterato: rimane infatti memorabile la sua biblioteca privata, che comprendeva più di 400 volumi. Colpito a morte dai sicari del genero Pandolfo Petrucci nel 1498, nelle sue disposizioni testamentarie dette istruzione di «erogari in picturis tabula altaris et fondamentis altaris dicte cappelle» (Mussolin, 1997, pp. 84 s.). Fu il figlio Bernardino a commissionare a Pacchiarotti la pala, che risulta ancora memore dell'esperienza nell'Urbe a fianco del Pinturicchio, come mostrano le figure del S. Francesco e della Vergine Assunta che richiamano puntualmente i modelli romani della cappella Basso della Rovere.
A questo primo periodo si possono far risalire, per analisi stilistica, altre opere: il deperito affresco con la Madonna col Bambino di Palazzo pubblico a Siena (Borghini, 1983, p. 323), la Natività e gli Angeli adoranti della Pinacoteca senese, le quattro Virtù ancora in Pinacoteca e la Madonna col Bambino, due santi e due angeli della Christ church di Oxford, resa nota da Sricchia Santoro (ripr. in Shaw, 1967, p. 57 n. 55).
Nel 1509 ricevette quella che fu con molta probabilità la sua commissione più importante: la decorazione della cappella Piccolomini, intitolata a S. Andrea, nella chiesa di S. Francesco a Siena (andata distrutta completamente nell'incendio che devastò la chiesa nel 1655), che ospitava dal 1504 una tavola del Pinturicchio. Subito dopo la morte di Andrea Piccolomini, fratello di Pio III, i figli Giovanni e Pierfrancesco si accordarono con Pacchiarotti perché decorasse l'ambiente a stucco e in fresco: il lavoro fu però condotto con lentezza inusitata visto che fu finito di pagare di malavoglia solo nel 1514 (Sricchia Santoro, 1982, p. 14).
Nel 1509 Pacchiarotti, a fianco ancora una volta del Pinturicchio, prese parte a un'altra memorabile impresa senese: la decorazione della camera Bella del palazzo di Pandolfo Petrucci, realizzata in occasione del matrimonio del primogenito di Pandolfo, Borghese, con Vittoria Piccolomini, nipote di Pio III (22 settembre 1509).
L'intervento della volta (con molta probabilità il primo a essere portato a termine) fu interamente affidato alle cure del Pinturicchio e dei suoi collaboratori, vista l'esperienza acquisita nella decorazione dei soffitti con motivi tratti dall'antico. La mano di Pacchiarotti, fedele traduttore dei cartoni realizzati dal Pinturicchio, si può riconoscere nelle figurette composte e un po' imbambolate che compongono il soffitto cassettonato del salone, staccato nel 1912 da Icilio Federico Joni e poi approdato al Metropolitan Museum di New York.
Alla morte di Pandolfo Petrucci (1512) Pacchiarotti venne incaricato della realizzazione degli stendardi e delle bandiere approntati in occasione del funerale.
Nel 1518 colorò la mostra dell'orologio di piazza del Campo, mentre datato al 1520 è l'affresco del palazzo comunale di Casole d'Elsa, che raffigura la Madonna col Bambino, un santo vescovo e i ss. Michele Arcangelo, Sebastiano e Nicola.
Ancora una volta, Pacchiarotti ricorse ai modelli pinturicchieschi, cristallizzati in forme appesantite e rigide. Le figure, dalle espressioni vacue, si dispongono in una composizione stereotipata che mostra un artista incapace di stare al passo con i tempi, a Siena rapidamente mutati in una cultura ormai aperta alle novità della maniera moderna importate in città da pittori come Domenico Beccafumi, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma e Girolamo Genga.
Nel corso del restauro – iniziato nel 1986 e conclusosi nel 2012 – che ha interessato il complesso conventuale senese di S. Marta, nel locale che anticamente fungeva da refettorio, è stato rinvenuto un affresco raffigurante un'Ultima cena, che dai documenti conservati presso l'Archivio di Stato di Siena (Conventi 2644, Entrata e uscita convento S. Marta 1517-1634, cc. 130v, 131v) è stato possibile collegare con sicurezza a Pacchiarotti, datandola al 1522. L'affresco, pur non presentando novità stilistiche rispetto alle opere precedenti, permette di far luce su un periodo di attività dell'artista ancora poco conosciuto. La tradizione storiografica precedente, dopo il 'ridimensionamento' del corpus delle opere del pittore successivo alla corretta ricomposizione delle personalità artistiche di Girolamo del Pacchia e di Pietro Orioli, tendeva a vedere nel Pacchiarotti degli anni Venti e Trenta un pittore che, incapace di stare al passo con i tempi e forse più occupato nel ruolo di agitatore sociale, era costretto ad accettare solamente commissioni umili e artigianali. La commissione dell'Ultima cena del convento di S. Marta è invece da considerarsi di una certa rilevanza: il convento era stato infatti fondato nel 1329 da Milla dei conti d'Elci, appartenente a una delle più ricche famiglie senesi, e per tutto il XIV e il XV secolo aveva continuato a istruire ragazze appartenenti all'alta aristocrazia cittadina. La scelta di Pacchiarotti dimostra come questi fosse ancora largamente apprezzato a Siena, da committenti anche importanti, che forse gradivano particolarmente la sua predilizione per la tradizionale iconografia quattrocentesca.
Di poco successiva dovrebbe essere la collaborazione, a fianco di Girolamo del Pacchia, del Sodoma e di Vincenzo Tamagni nell'oratorio di S. Caterina in Fontebranda, dove realizzò l'affresco con le Stimmate di s. Caterina (Kecks, 2006, pp. 134 s.).
Anche il cataletto della compagnia di S. Caterina della notte (S. Caterina protegge con il manto quattro confratelli, Cristo risorto, Le stimmate di s. Caterina, la Deposizione) rivela strette affinità con la tarda attività del pittore (Angelini, 1987, p. 465). Al 1525 risale la fattura della tenda per la celebre Madonna dei Banchetti di Gentile da Fabriano. Nel 1535, in occasione della venuta a Siena di Carlo V dipinse un arco trionfale per l'Università dei Notari. Si susseguono poi una serie di pagamenti per lavori realizzati per la compagnia di S. Giovanni Battista della morte, della quale il pittore era entrato a far parte fin dal 1531 (Borghesi - Banchi, 1898, p. 444).
Negli ultimi anni Pacchiarotti sembra impegnare le sue energie nella vita politica cittadina, aderendo alle posizioni più radicali: nel 1529 è registrata una prima condanna al confino presso Talamone, che divenne effettiva dieci anni dopo, quando venne nuovamente costretto a lasciare la città «per i mali portamenti nei tempi passati» (Angelini, 1988, p. 43).
Su pietosa istanza della moglie Girolama, il 7 agosto 1540 il confino venne revocato permettendo a Pacchiarotti di tornare nella piccola proprietà di Viteccio dove morì l'anno stesso.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, p. 416; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, III, Siena 1856, pp. 7, 59; P. Fortini, G. P. pittore senese e la compagnia dei Bardotti, Bologna 1858; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898, p. 444; J.B. Shaw, Paintings by old masters at Christ Church, Oxford-London-New York 1967; A. Angelini, Da G. P. a Pietro di Francesco Orioli, in Prospettiva, 1982, n. 29, pp. 72-78; F. Sricchia Santoro, Ricerche senesi, 1, Pacchiarotto e Pacchia, ibid., pp. 14-23; G. Borghini, in Il palazzo pubblico di Siena, vicende costruttive e decorative, a cura di C. Brandi, Milano 1983, p. 323; A. Angelini, recensione a D. Gallavotti Cavallero, Lo spedale di S. Maria della Scala, vicende di una committenza artistica, in Bullettino senese di storia patria, XCIV (1987), pp. 458-465; Id., G. P., in Da Sodoma a Marco Pino, a cura di Fiorella Sricchia Santoro, Firenze 1988, pp. 39-44; F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I-II, Milano 1989, p. 111; M. Mussolin, Il convento di S. Spirito a Siena e i regolari osservanti di S. Domenico, in Bullettino senese di storia patria, CIV (1997), pp. 7-193; A. Angelini, Francesco di Giorgio e l'architettura dipinta a Siena alla fine del Quattrocento, ibid., CIX (2002), pp. 117-183; H.S. Kecks in Die Kirchen von Siena, a cura di P.A. Riedl - M. Seidel, III, 1, Munchen 2006. pp. 134 s.; G. Fattorini, Una galleria umanistica di papi e imperatori in Le sculture del duomo di Siena, Milano 2009, pp. 47-51.