PANERI, Giacomo
PANERI, Giacomo (Boldrino da Panicale). – Nacque a Panicale (Perugia), probabilmente nel 1331, da famiglia contadina.
La sua attività non è documentata prima dei suoi cinquant’anni, cosa piuttosto insolita per un capitano di ventura. Priva di riscontro è la tradizione secondo cui Paneri, dopo aver vendicato la morte del padre, si diede alla fuga arruolandosi in una compagnia di ventura. La partecipazione di Paneri nelle milizie di John Hawkwood (Giovanni Acuto), al servizio di Pisa, nella guerra contro Firenze nel 1364 (Fabretti, 1842, p. 61) non trova riscontro nelle fonti e non è avallata dagli storici successivi. Pure un’attestazione di Paneri nelle Marche, fra Camerino e San Severino nel 1378 (Lilii, 1652, p. 116), non è suffragata da prove.
La prima notizia certa della sua attività risale al 1382, quando il Comune di Perugia lo assoldò, per dodici giorni, per difendersi dalle minacce di un gruppo di fuoriusciti. Egli però si unì a questi ultimi e prese a devastare il territorio senese, provocando la reazione sdegnata dei magistrati di Siena, i quali accusarono i Perugini di connivenza con Paneri. Nelle scorrerie si erano uniti a lui altri capitani di ventura, con il pieno sostegno di Uguccione da Casale, signore di Cortona. I Priori di Perugia e i difensori del Popolo di Siena stipularono allora un’alleanza per combattere Paneri e gli altri capitani, senza però ottenere risultati. Paneri s’impadronì, infatti, dei territori attorno al lago Trasimeno e delle sue isole, lucrando abusivamente sulla vendita del pesce. Nei due anni seguenti, alleatosi con Bartolomeo da Pietramala, perpetrò saccheggi in vari territori della Toscana e dell’Umbria: a Montepulciano, Chiusi e Città di Castello.
Nel 1384 passò al servizio di Siena: il 27 febbraio i Riformatori lo designarono capitano generale, fino al 1° maggio, con una provvisione di 500 fiorini; in luglio tenne a Siena una rassegna della sua compagnia, composta da 150 lance. L’anno successivo Paneri fu incaricato dai Senesi di combattere i Malavolti, signori del contado, i quali subirono un duro assalto a Scorgiano. Inviato a San Quirico d’Orcia per fronteggiare i nobili del contado ostili al regime popolare, gli fu data licenza di fare bottino e di appropriarsi de «la roba e carne de’ Nove che v’erano» (Cronaca senese…, p. 711). I disordini che squassavano le campagne senesi e l’ambigua condotta di Paneri indussero la Repubblica di Firenze a intervenire per mediare: nel marzo 1385, furono offerti a Paneri 4000 fiorini dai nobili del contado senese, tramite gli ambasciatori fiorentini, per abbandonare il campo; questi accettò e promise pubblicamente nel Concistoro di Siena di rinunciare a ogni incarico. Ciò non valse però a scongiurare che continuasse a depredare il territorio senese, tanto che il nuovo governo dei Dieci dovette promettergli 500 fiorini l’anno per tenerlo lontano. Una grave infermità indusse Paneri a chiedere ospitalità a Perugia, che lo accolse con tutti gli onori, riservandogli donativi. Il rapporto privilegiato con la città umbra, l’anno seguente, produsse due atti rilevanti: il 19 aprile il Consiglio dei Priori e i Camerari delle Arti gli assicurarono una provvisione annua di 500 fiorini, mentre il 12 dicembre il Consiglio speciale gli conferì la cittadinanza con tutti i diritti.
Frammentarie e incerte sono le notizie sull’attività militare di Paneri, nell’estate 1385, nei territori di Bologna e di Modena, mentre è documentata la sua presenza dapprima nel Perugino, per arruolare soldati, e quindi nelle Marche, a Fabriano, ove il 23 ottobre stipulò la promessa di matrimonio fra suo figlio Giovanni Artino e Piccarda di Bosone da Gubbio. Nei primi mesi del 1386 fu al servizio di Gentile e Berardo da Varano, signori di Camerino; in questa fase, i Dieci di balìa di Firenze esercitarono pressioni su Bartolomeo da Pietramala, suo sodale, affinché si liberasse da quell’impegno e potesse essere assoldato contro Antonio da Montefeltro nella guerra per l’egemonia su Gubbio. Paneri accettò l’incarico fiorentino e nel giugno gli fu liquidato il compenso. Nell’estate 1386, tornato nelle Marche, fu a San Severino, ove s’inserì nelle discordie interne agli Smeducci, signori della città: prese le parti di Nofrio contro lo zio Bartolomeo, capitano generale di una lega fra Firenze, Pisa, Siena, Lucca, Bologna e Perugia contro le milizie straniere. Paneri, avuta la meglio, acquartierò a San Severino le sue milizie fino all’inverno successivo, mentre compiva continue scorrerie nelle Marche meridionali. Nominato da Urbano VI a capo delle milizie della Chiesa, nel marzo 1387 fu duramente sconfitto da Bartolomeo Smeducci, che gli inflisse notevoli perdite di uomini e lo scacciò da San Severino. Sarebbe riuscito a vendicarsi un anno più tardi, quando rientrò in armi a San Severino e fece rinchiudere Bartolomeo in prigione per alcuni mesi, chiedendone un riscatto. La composizione fra i vari membri degli Smeducci fu raggiunta nell’aprile 1388 a Matelica, alla sua presenza.
Intanto, nell’agosto 1387 Paneri si era impadronito di Civitanova uccidendo Grasso da Imola, un capitano di ventura che si era imposto come signore della città. Nello stesso periodo fu incaricato da Carlo Malatesta, insieme ad altri capitani, di impedire il passaggio dei Bretoni nella zona di Fabriano; svolse lo stesso ruolo nel territorio di Cannara, su incarico del Comune di Perugia. In novembre i Priori di Perugia gli conferirono una condotta, per 200 lance, della durata di quattro mesi, durante i quali combatté contro Nicolò Orsini. Tornato nelle Marche, nell’aprile 1388 acquistò da Bartolomeo Smeducci il castello di Ficano, presso Apiro: in realtà si trattava di una vendita fittizia, che mascherava il prezzo del riscatto del signore di San Severino. Il rettore della Marca, il perugino Andrea Bontempi, favorì il conferimento a Paneri di incarichi per la Chiesa: in ottobre una lega stipulata fra il rettore, le città e i signori filopapali lo assoldò, per 200 lance, per vigilare sullo status quo. Un mese più tardi, Paneri strinse una lega con i signori di Fabriano, di Camerino, di Matelica e di San Severino, con l’avallo del rettore: nell’atto egli non appare in qualità di capitano, ma come signore dei castelli appenninici di Ficano, Domo e Precicchie, che costituivano la base per le sue aspirazioni territoriali. Intanto, pur restando formalmente al servizio della Chiesa, non smise mai di compiere reiterate azioni predatorie, soprattutto nel fermano. Il rettore dovette allora fronteggiarlo assoldando un altro capitano, Corrado d’Altenberg, con il quale Paneri raggiunse una pacificazione nell’estate 1389.
Dopo l’ascesa al soglio pontificio di Bonifacio IX, Paneri continuò a barcamenarsi fra condotte per la Chiesa e scorrerie nelle campagne. Si allontanò dalle Marche nel maggio 1390, allorché assediò il castello di Agello per conto di Perugia, costringendo alla resa Michelotto Michelotti; nel luglio era a Rieti, ove declinò l’invito di assumere incarichi militari per Siena, poiché già impegnato con il papa. Nel gennaio 1391, insieme al rettore della Marca e a Ugolino Trinci, assediò con successo la fortezza di Spoleto, occupata dai sostenitori dell’antipapa Clemente VII. Nelle Marche intanto era cresciuta l’ostilità nei suoi confronti, fomentata soprattutto da Ancona, che in questa fase svolse un ruolo politico chiave nella pacificazione della regione, avviata dal nuovo papa. Nell’aprile 1390 fu sottoscritto un trattato di pace fra Ancona e Paneri, che decretava ancora una posizione di stallo. Il governatore di Ancona riferì però al Consiglio degli Anziani di sapere che il papa stava progettando di estromettere Paneri dalla Marca per spostarlo nel Patrimonio. La nomina a rettore della Marca di Andrea Tomacelli, fratello del papa, accelerò la risoluzione degli eventi. Questi, nel Parlamento provinciale di Macerata, tenuto il 26 febbraio 1391, finse di accettare la richiesta in denaro fatta da Boldrino per lasciare le Marche, pari a 4000 ducati, e chiese di indire una nuova tassazione: la città di Ancona, i Montefeltro e i da Varano votarono a sfavore e la proposta fu bocciata. Il mese seguente il papa esortò il Comune di Fermo a prestare aiuto al rettore contro Paneri, il quale non poté far altro che arroccarsi nei suoi castelli di Ficano e Domo. Il 3 giugno 1391 Paneri fu invitato proditoriamente a Macerata da Tomacelli per un banchetto, nel corso del quale fu ucciso.
Le cronache sono concordi nell’indicare Tomacelli come artefice della morte di Paneri; soltanto gli Annales Forolivienses (p. 76) ne attribuiscono la responsabilità a Bartolomeo Smeducci, animato dal desiderio di vendetta personale. Alla notizia della morte di Paneri, suo figlio Giovanni Artino, con un manipolo di soldati, giunse sotto le mura di Macerata per reclamare la salma, minacciando di mettere a ferro e fuoco la città. Secondo una versione dei fatti, l’immediata restituzione della salma fu accompagnata da solenni esequie; secondo un’altra versione, soltanto dopo due anni le milizie di Giovanni Artino, insieme a quelle di Biordo Michelotti e di Azzo da Castello, poterono recuperare il cadavere, che fu dissotterrato, imbalsamato e posto in una cassa, ove fu conservato e portato in guerra per altri tre anni dalle sue soldatesche.
Fonti e Bibl.: Cronaca senesedi Paolo di Tommaso Montauri, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, in Rer. Ital. Script., II ed., XV, 6, Bologna 1931-39, pp. 703, 707 s., 711, 717; Cronica volgare di anonimo fiorentino dall’anno 1385 al 1409 già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, ibid., XXVII, 2, Città di Castello 1915-18, pp. 54, 173 s., 178; Ser Guerriero da Gubbio, Cronaca, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXI, 4, Città di Castello 1902, pp. 27 s.; Annales Forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, Città di Castello 1903-09, p. 76; G. Franceschini, Documenti e regesti per servire alla storia dello Stato d’Urbino e dei Conti di Montefeltro, II (1376-1404), Urbino 1982, pp. 77, 104, 106 s, 110 s, 116, 160; F. Sacchetti, Il trecentonovelle, a cura di V. Marucci, Roma 1996, novella XXXIX, p. 124; Antonio di Nicolò, Cronaca della città di Fermo, a cura di G. De Minicis, Fermo 2008, pp. 26, 28 s. 31 s.; C. Lilii, Istoria della città di Camerino, Camerino 1652, pp. 116 s.; P. Compagnoni, La Reggia picena overo de’ presidi della Marca, Macerata 1661, pp. 255, 258, 261 s.; P. Pellini, Dell’historia di Perugia, Venezia 1664, I, pp. 1273, 1322 s.; II, pp. 8 s., 18; G. Orsini, Racconto di Boldrino Paneri da Panicale, illustre guerriero, Roma 1700; G. Marangoni, Memorie sagre e civili di Civitanova, Roma 1743, pp. 303 s; A. Fabretti, Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, I, Montepulciano 1842, pp. 59-83; Id. Note e documenti che servono ad illustrare le biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, Montepulciano 1842, pp. 43-57; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, III, Torino 1845, pp. 198-200; A. Professione, Siena e le compagnie di venturanella seconda meta del sec. XIV, Civitanova Marche 1898, pp. 118 s.; G. Grifoni, Memorie storiche su Panicale, terra etrusco umbra, Milano 1918, pp. 27-45; G. Franceschini, Boldrino da Panicale (1331?-1391). Contributo alla storia delle milizie mercenarie italiane, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria, XLVI (1949), pp. 118-139; G. Franceschini, Miscellanea di storia umbro-marchigiana. Boldrino da Panicale nelle Marche, in Studia Picena, XXVI (1958), pp. 86-95; G. Cecchini, Boldrino da Panicale, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l’Umbria, LIX (1962), pp. 43-95; D. Cecchi, Compagnie di ventura nella Marca, in Studi maceratesi, IX (1973), p. 72 s.; L. Paci, Le vicende politiche, in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi, D. Cecchi, L. Paci, I, Macerata 1986, pp. 119 s.; V. Villani, Signori e comuni nel Medioevo marchigiano: i conti di Buscareto, Ancona 1992, pp. 204 s.; F. Leonhard, Ancona nel basso medio evo. La politica estera e commerciale dalla prima crociata al secolo XV, Ancona 1992, p. 206 ss.