PIPINO, Giacomo
PIPINO, Giacomo. – Nacque a Brindisi probabilmente poco dopo la metà del Duecento. Nulla si sa delle sue origini familiari né della sua formazione; lo si è voluto ricollegare alla omonima famiglia di vassalli e fedeli dei re angioini, l’esponente più noto della quale è un Giovanni Pipino conte di Altamura, morto nel 1357, ma non vi sono prove al riguardo.
Nelle fonti documentarie, Giacomo Pipino compare per la prima volta nel 1296, nelle vesti di esaminatore che per conto dell’autorità regia autorizza all’esercizio della medicina pratica un medico locale, il magister Gerardo Castagnola (Archivio di Stato di Napoli, Registri angioini, 81, 1296 A, c. 220). In tale circostanza fu in effetti designato come «magister Iacobus de Brundusio medicus et familiaris noster»: ciò quindi prova che egli era già al servizio del re Carlo II d’Angiò (1285-1309). Negli anni successivi compare regolarmente negli atti mediante i quali si conferisce a diversi medici pratici la «licentia curandi» (oltre venti menzioni tra il 1302 e il 1307, nella documentazione schedata da Calvanico). Svolse dunque un ruolo di rilievo, in veste di consigliere regio per le questioni mediche.
D’altronde Giacomo Pipino fu il medico personale del re, come attesta un atto di Roberto d’Angiò del 1307, nel quale è designato come «familiaris et fisicus domini patris nostri», ed ebbe un rapporto di personale consuetudine anche con il figlio cadetto di Carlo II, Filippo di Taranto. Nel 1303 aveva infatti ricevuto un feudo a Giurdignano (presso Otranto) e nel territorio di Peuti, a seguito dei servigi resi a costui (ibid., I, Registri angioini 131, 1303 D, c. 68); accompagnò Filippo anche nella spedizione in Oriente (1306). Nell’occasione chiese, e al ritorno ottenne, che il suo salario di professore gli venisse corrisposto nonostante l’assenza (ibid., Registri angioni, 167, 1307 A, c. 224). Giacomo Pipino insegnò, infatti, con il titolo di «medicinalis sciencie professor», dal 1303 sino al 1326 almeno: in tale data esaminò per conto del re tale «magister Mattheus» per il conferimento della licenza d’esercizio della professione. Sembra peraltro che dopo la morte di Carlo II il suo ruolo si sia offuscato: non risulta che sotto Roberto d’Angiò (1309-43) abbia svolto attività politica, né appare nella documentazione angioina. Fatta salva l’eventualità di una carenza di fonti, è lecito ipotizzare che Giacomo non abbia più collaborato direttamente con la corte. In questi anni Giacomo Pipino fu dunque, essenzialmente, un professore dell’Università di Napoli: come «medicinalis sciencie professor» è infatti ancora menzionato negli anni 1316 e 1318.
È ignoto il nome della moglie, probabilmente un’aristocratica originaria di Brindisi o della regione circostante (come lascia supporre l’ubicazione dei due feudi che portò in dote), sposata prima del 1316. Aggiungendo questi introiti al salario percepito in veste di professore di medicina e ai cespiti della professione, non v’è dubbio che Giacomo Pipino godesse di una posizione economica piuttosto solida. Nulla si sa della sua discendenza; l’unico erede noto (per i feudi brindisini) è un certo Manfredo «de Venafro Casali Sancti Andreae».
Del suo insegnamento non si sa molto. Nel 1306, il suo salario ammontava a 12 onze d’oro, 28 tarì e 12 grani: si trattava di un livello non trascurabile, ma nettamente inferiore a quello del contemporaneo Francesco da Piedimonte (20 once d’oro). È possibile che tra i suoi allievi vi sia stato il medico (e traduttore di opere mediche) Niccolò da Reggio, che si addottorò nel 1319 ma che già nel 1317 aveva dedicato a Giacomo Pipino la sua traduzione del De utilitate partium di Galeno. Di lui non consta in ogni caso alcuna opera scritta, a differenza di altri suoi colleghi all’Università di Napoli, come Francesco da Piedimonte o Iacopo da Piacenza.
L’ultimo documento che ne fa menzione è del 1326; ciò ha fatto supporre che sia morto poco dopo. In conseguenza dell’attività politica svolta, dell’insegnamento e dell’esercizio della professione, la vicenda biografica di Giacomo Pipino si configura dunque come un ottimo esempio del ruolo significativo svolto dai medici nella società italiana tardomedievale.
Fonti e Bibl.: N. Scalinci, Il magister Jacobus de Brundusio (G. P.) docente trecentesco di medicina nello Studio di Napoli, in Rinascenza Salentina, VI (1936), 3, pp. 164-188; Fonti per la storia della medicina e della chirurgia per il regno di Napoli nel periodo Angioino (a. 1273-1410), a cura di R. Calvanico, Napoli 1962; N. Argentina, G. P. e Niccolò da Reggio, maestri della scuola medica salernitana e dello studio di Napoli tra il XIII e il XIV secolo, in Brundisii res, X (1978), pp. 101-107.