PUCCINI, Giacomo
Compositore, discendente da una famiglia di musicisti che rimonta al 1700; nacque in Lucca il 22 dicembre 1858 e morì a Bruxelles il 29 novembre 1924. Ebbe difficili e incerte l'infanzia e l'adolescenza. Studiò nella sua città sotto la guida di C. Angeloni e all'Istituto musicale Pacini, poi a Milano ove si recò nel 1880, al conservatorio, con A. Bazzini e A. Ponchielli, aiutato da un sussidio della regina Margherita e dallo zio Cerù. Le prime composizioni del periodo lucchese che si conservano, sono scritte per organo; in esse il piccolo pezzo si realizza, quantunque modestamente e mantenendo un carattere d'improvvisazione, e già vi si scorgono le terze e seste che furono care al P. in Bohème e in Tosca. Il giornale La Provincia di Lucca del 13 luglio 1878, nel dare il resoconto delle musiche sacre composte dagli allievi dell'Istituto Pacini, ed eseguite nella chiesa di S. Paolino, elogia un Mottetto, già noto, del P., e un Credo, dello stesso, che "non si giudicherebbe opera di maestro esordiente ma di provetto scrittore". Ebbe il primo successo con Le Villi, breve opera in un atto, più tardi modificata in due atti, fantastica e romantica, cui seguì l'Edgar, accolta freddamente, costituita con grande abbondanza di cori, arie, duetti e pezzi concertati. L'opera successiva, Manon, piena di toccante umanità, rivela la fisionomia dell'autore, il suo talento originale e teatrale, e trova corrispondenza nel pubblico torinese suscitando poi, dappertutto, il più vivo plauso. Le opere che seguono, ad eccezione della Bohème e della Butterfly, accolte dapprima con riserva, ebbero subito un esito incontrastato, e in seguito anche Bohème e Butterfly, quest'ultima ritoccata, percorsero trionfalmente tutti i teatri del mondo. L'ultima opera, Turandot, non poté essere compiuta; interrotta alla fine della scena della morte di Liù nell'ultimo atto, venne completata, sulla guida degli appunti lasciati, da F. Alfano. Il P. fu nominato senatore il 18 settembre 1924. Le sue spoglie riposano nella sua villa di Torre del Lago in Lucchesia.
P. ebbe il dono inestimabile di "inventare" una melodia. Il quarto atto di Manon, scenicamente statico dal principio alla fine, è tenuto in piedi dalla melodia. Egli non cercò di allargare la sua arte in regioni più vaste del suo mondo, si tenne lontano dalla cosiddetta musica pura, non trascurò le esperienze passate e attuali d'ordine tecnico, né la tradizione dell'Ottocento, né si curò di precorrere i tempi con artifici, ma nel segno di un'originalità distinguibile e immediatamente comunicativa compendiò il periodo in cui crebbe e visse, riuscendo a realizzare felicemente, dopo Verdi e Wagner, l'opera in musica. Aveva innato il senso del teatro e la sua sensibilità penetrava e si prolungava dolcemente nell'uditorio.
Usò nei suoi lavori, con particolare preferenza, le successioni di accordi di settima, le terze e seste, la scala esatonale, i blandi sincopati, e rifuggì dalla secca meccanizzazione degli accordi in forma di danza, tipici nell'Ottocento italiano. I motivi tematici ritornano, per lo più, come reminiscenze e come legamento fra atto e atto, e si presentano piuttosto come motivi dominanti. La melodia pucciniana non è guidata dalla parola ma dal concetto delle parole, cioè dal complesso del testo, o dal momento essenziale di esso, e dal sentimento che la parola esprime. "La parola basta che si percepisca", diceva il P. Il suo recitativo melodico, oltre ad essere espressivo e personale, è anche assai curato nei riguardi della parola, come si può vedere, fra l'altro, al 1° atto di Bohème negl'incisi: Che viso d'ammalata, Che bella bambina! La frase musicale pucciniana non acquista ampiezza mediante sviluppi, e gli esempî polifonici appaiono scarsi; sono da ricordare, tuttavia, il finale del primo atto della Tosca e l'esposizione di fuga all'inizio della Butterfly. P. fu piuttosto un armonista moderno e raffinato, specialmente nell'ultima produzione in cui si può parlare di procedimenti armonici che dànno l'impressione di sviluppi. Quanto all'orchestrazione, essa, che apparve talora tenue, sebbene sempre decorosa e colorita, raggiunge vera pienezza ne La fanciulla del West. Vanno ricordati particolarmente il preludio del terzo atto di Manon (nello schema a-B-c), assai efficace, e quello della Tosca, pure del terzo atto, sullo sfondo di tocchi e intrecci delle campane di Roma, pieno di calma mattutina.
Trattò diverse epoche e ambienti, dalla fine del Duecento (Gianni Schicchi) alla fine del Seicento (Suor Angelica), alla seconda metà del Settecento (Manon Lescaut), al 1830 (Bohème), al periodo moderno (Butterfly), ecc.; cercando di caratterizzarli con qualche tocco di esotismo, con frammenti popolari e nazionali, con una cantata, un madrigale, un minuetto, e via dicendo. Trattò inoltre tutti i generi: il lirico (Manon, Bohème), il drammatico e tragico (Tosca, Tabarro), il mistico (Suor Angelica) e il comico (Gianni Schicchi), per il quale ultimo vi erano dei precedenti umoristici nelle varie opere (il padrone di casa Benoit, il vecchietto Alcindoro, il Sagrestano, Goro). Anima di lucchese, rappresentò un aspetto e talune figure dell'emigrazione primitiva, mostrando nella Fanciulla del West un popolo misto e senza legge in un ambiente semiselvaggio e rievocando, con la partecipazione commossa degli stessi emigranti attori, la terra natale, la casetta, il cane, i vecchi rimasti là lontano, con le note avvincenti della canzone della nostalgia. Amico della natura, rifece il belato dell'agnellino di Suor Genoveffa, che al secolo è stata pastora, il cinguettio del pettirosso nella Butterfly, imitando il canto degli uccelli innumerevoli volte con l'ottavino, le trombe con sordina, il clarinetto, l'oboe, ecc.
P. sente l'idillio, la nostalgia, la piccola vita a due, la morte come quella rappresentata con tanta poesia nel quarto atto di Bohème. Egli è un lirico, e la sua opera più lirica è Bohème, il suo personaggio è Mimì, e tutta la vita egli rimase sotto l'influenza del mesto sorriso di lei. Il centro del suo mondo romantico è dunque la donna. Mimì è composta nell'atto di grazia di un passaggio melanconico sulla terra. Il suo tema è veramente malato. E anche tutta la parte di Butterfly è bella. L'umanità della donna pucciniana, la delicatezza del suo accento, il suo amore e il dolore innalzano poeticamente la naturalezza degli avvenimenti della vita portati sulla scena.
Il talento dell'operista, la personalità del suo sentimento, il tipo stesso della sua melodia determinarono un trionfo internazionale; e se in talune opere si poté riscontrare una sorta di manipolazione stilistica nella gamma Wagner-Massenet, pure in quel congegno, ch'era soltanto schema e dunque estrinseco, non mutò la qualità né venne meno la spontaneità geniale degli affetti e passioni per le vie della poesia. Un deviamento dello stile dell'opera verso forme più leggiere si rivela però in qualche momento dell'ultima produzione, a partire dalla Butterfly.
Il fenomeno P. deve essere considerato nelle condizioni ambientali determinate dalla massa del pubblico che desiderava e aspettava, in quel morire di secolo, il successore e continuatore dei celebri operisti dell'Ottocento, e che pur diffidando degl'innovatori e irridendo gli avveniristi mostrava segni non dubbî di essere disposto ad evolversi. P. interpretò questo stato d'animo e si fece applaudire con formule vecchie, adoperando via via le nuove, man mano che uscivano le sue opere, mentre il pubblico progrediva anche per l'influsso della musica sinfonica che andava assumendo in Italia sempre maggiore importanza.
Opere: Le Villi (libretto di F. Fontana), Milano, Teatro dal Verme, 31 maggio 1884; Edgar (F. Fontana), Milano, Scala, 21 aprile 1889; Manon Lescaut (D. Oliva), Torino, Regio, 1 febbraio 1893; La Bohème (G. Giacosa e L. Illica), Torino, Regio, 1 febbraio 1896; Tosca (G. Giacosa e L. Illica), Roma, Costanzi, 14 gennaio 1900; Madama Butterfly (G. Giacosa e L. Illica), Milano, Scala, 17 febbraio 1904; La Fanciulla del West (G. Civinini e C. Zangarini), New York, Metropolitan, 10 dicembre 1910; La Rondine (G. Adami), Montecarlo, Teatro di Montecarlo, 28 marzo 1917; Il Tabarro (G. Adami), Suor Angelica (G. Forzano), Gianni Schicchi (G. Forzano), New York, Metropolitan, 14 dicembre 1918; Turandot, completata da F. Alfano (R. Simoni e G. Adami), Milano, Scala, 25 aprile 1926.
Compose inoltre l'inno I figli d'Italia bella (1877), un Mottetto (1878; il manoscritto originale si trova a Firenze in possesso della signorina Paola Ojetti), una Messa a 4 voci con orchestra per la festa di S. Paolino (1878; il Gloria, il Credo, il Sanctus e l'Agnus Dei, probabilmente riveduti, recano la data del 1880; una copia manoscritta della Messa si trova nella biblioteca dell'Istituto Pacini di Lucca), un Capriccio sinfonico, orch. (1883), una Ninna-nanna: E l'uccellino... (1899), e l'Inno a Roma eseguito allo Stadio di Roma il 1 giugno 1919.
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