RIMINI, Giacomo
RIMINI, Giacomo. – Nacque a Verona il 26 marzo 1888 da Riccardo, ebreo di ascendenza sefardita, che fu anche presidente della Comunità ebraica di Verona, e da Giulia Sottopera, cattolica.
La famiglia, che apparteneva alla buona borghesia, avviò Giacomo, educato nella fede della madre, agli studi musicali nel locale conservatorio, dove ebbe per maestra di canto Amelia Conti-Foroni, un soprano drammatico di brillante carriera sia in Italia sia all’estero. Rimini debuttò nel 1910 a Desenzano del Garda, interpretando Albert nel Werther di Jules Massenet. Sull’onda del successo si produsse a Fiume, Sassari, Rovigo, Modena, Reggio nell’Emilia, al Teatro Malibran di Venezia e al Regio di Torino, dove cantò Re Raimondo nell’Isabeau di Pietro Mascagni. Nel 1913 debuttò a Parigi nel rinnovato Théâtre des Champs-Élysées, Enrico in Lucia di Lammermoor e Figaro nel Barbiere di Siviglia. Dopo la prima tournée in Cile e in Argentina, con colleghi del calibro di Florencio Costantino e Aureliano Pertile, tornò in Italia e cantò al Carlo Felice di Genova, al Costanzi di Roma e nel settembre del 1914 si impose al Dal Verme di Milano come Jack Rance nella Fanciulla del West (ricevette i complimenti di Giacomo Puccini stesso), Escamillo nella Carmen, Carlo V nell’Ernani.
Intanto, su pressione della madre, Rimini aveva sposato Delizia Capuzzi, e dalla loro unione era nata Raffaella. Il rinnovato successo nella Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai al Teatro del Corso di Bologna spinse Arturo Toscanini a insegnargli di persona la parte di Falstaff, che sotto la guida del maestro cantò per sette recite nel novembre del 1915 al Dal Verme con un cast stellare (Maria Farneti, Ines Maria Ferrari, Virginia Guerrini, Tito Schipa, Tina Di Angelo, Ernesto Badini, Vincenzo Bettoni). In quest’occasione la reciproca simpatia per Rosa Raisa, acclamata soprano polacca che, rifugiata a Napoli con la famiglia per sfuggire ai pogrom antisemiti, aveva studiato con Barbara Marchisio (una delle più celebri cantanti dell’Ottocento) sfociò in una relazione artistico-sentimentale che durò poi tutta la vita. Nella stagione 1914-15 cantò Scarpia in Tosca, con il Cavaradossi del giovane Beniamino Gigli, che poi Rimini ritrovò in molte serate della sua carriera. Nel 1916 Rimini e Raisa furono alla Scala con La battaglia di Legnano, al Costanzi di Roma con Aida e Francesca da Rimini, per poi intraprendere una tournée in Sudamerica al Colón di Buenos Aires, al Municipal di Rio e di San Paolo, in Aida, La battaglia di Legnano, Falstaff. Dal 1916, per quindici stagioni i due artisti si esibirono per la Chicago Opera Association (1916-21), poi Chicago Civic Opera (1921-32): il debutto avvenne il 13 novembre con Aida, cui seguì Andrea Chénier, accolti da lusinghiere recensioni. In queste stagioni Rimini sviluppò un’attività intensissima. Alle recite in loco alternava tournées a Città del Messico e in America del Sud nella Gran Compagnia dell’Opera italiana diretta da Walter Mocchi. Nel 1918 debuttò alla Lexington Opera House di New York nei Gioielli della Madonna di Ermanno Wolf-Ferrari, un’opera che Rimini cantò con frequenza: la parte di Rafaele gli consentiva di sfoggiare le sue risorse di interprete scenico. Alla Lexington nel 1920 presentò anche al pubblico newyorkese il suo cavallo di battaglia, Falstaff, cantato spesso con Raisa nei panni di Alice, poi alla Boston Opera House e in frequenti concerti. L’attività della coppia continuò senza problemi anche quando la direzione della Chicago Civic Opera fu assunta nel 1921 dal soprano Mary Garden.
Nel 1920 comparve la notizia che Rimini e Raisa si fossero sposati nei dintorni di Napoli nel corso di una vacanza in Italia, per la quale avevano rinunciato a partecipare alla consueta tournée in Sudamerica. In realtà Rimini attuò uno stratagemma per far dichiarare da una corte statunitense che la moglie legittima era irreperibile, in modo da potersi sposare civilmente a St. Joseph, Michigan. I problemi legali che ne derivarono non furono mai risolti e, dopo la morte, la figlia di primo letto intentò causa per ottenere l’eredità. A complicare la vita privata si aggiunse, al termine della prima guerra mondiale, l’arrivo negli Stati Uniti della famiglia della Raisa, ebrei ortodossi di stretta osservanza: Rimini li convinse della sua schietta adesione all’ebraismo mediante una viva partecipazione alla vita della comunità ebraica di Chicago.
Nel 1925 fu alla Scala protagonista del Falstaff, che riprese nel 1926 sotto Toscanini, il quale lo volle come Ping nella prima della Turandot, accanto a Raisa nel ruolo eponimo. Nel 1925 fu Falstaff al Théâtre de la Gaîté di Parigi nella tournée della American-Italian-French Grand Opera Company. Nel 1926 comparve in Trovatore e Aida a Los Angeles. Alla fine degli anni Venti, Rimini e Raisa vissero le convulse vicende della grande depressione, che diede un duro colpo al loro patrimonio. Il 7 luglio 1931 nacque Giulietta Frieda, cui furono dati i nomi delle due nonne, mentre Rimini cominciò ad accettare con sempre maggiore frequenza ingaggi in Italia e in Europa, dove si produsse su numerose piazze aggiungendo al repertorio Don Pasquale (lo cantò tra l’altro alla Scala nella stagione 1932-33), Gianni Schicchi, Boris Godunov, Don Giovanni (a Trieste nel 1935, direttore Hermann Scherchen). Cantò Tosca nel 1932 al Vittorio Emanuele di Rimini e al San Carlo di Napoli, nel 1933 all’Opera di Roma (con Gigli e Claudia Muzio) e al Carlo Felice di Genova; in quell’anno prese parte alla storica riesumazione degli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer all’Arena di Verona e fu Falstaff al Maggio musicale fiorentino sotto Victor De Sabata. Nel 1935 cantò al Comunale di Bologna nel Nerone di Mascagni, sotto la direzione del compositore. In Europa nel 1933 comparve al Covent Garden di Londra in Don Carlo e Otello, e all’Opera di Stato di Berlino in Aida, Lucia, Barbiere; nel 1934 fu a Budapest nel Falstaff e nell’Otello, nel 1935 cantò Tosca e La bohéme alla Zarzuela di Madrid.
La coppia divideva il suo tempo tra Chicago e la villa di San Floriano presso Verona. Rimini si ritirò dalle scene nel 1937 e nella metropoli americana aprì con la moglie una rinomata scuola di canto, invitando spesso gli allievi nella residenza veronese per sedute di approfondimento. Dopo la promulgazione delle leggi razziali si tenne lontano dall’Italia, dove tornò nel 1946. Continuò a prodursi in concerto, e nel 1947 fu Geronimo nel Matrimonio segreto (Chicago Civic Opera House), accanto al Conte di Giorgio Tozzi, suo giovane allievo, destinato a brillante carriera.
Morì a Verona, nel sonno, il 6 marzo 1952. Venne sepolto nel cimitero cittadino accanto alla madre Giulia.
Rimini ebbe voce robusta, dal colore brunito, che una tecnica eccellente di antica scuola rendeva omogenea nella gamma, ben timbrata nei diversi registri. Quello centro-grave aveva il corpo e la risonanza di un basso-baritono, che ebbe modo di sfruttare in parti come Don Giovanni, Boris, Don Pasquale e beninteso in Falstaff, una delle sue parti privilegiate. L’incisione discografica realizzata nel 1932 per la Columbia sotto la direzione di Lorenzo Molajoli con i complessi della Scala (la prima registrazione dell’opera di Giuseppe Verdi) è un documento probante della sua interpretazione. Si tratta di una prova di indubbio interesse, ma per unanime e condivisibile giudizio della critica, se il Falstaff di Rimini supera quello di Mariano Stabile per potenza vocale, gli cede per arguzia di fraseggio, sottigliezza d’accento e approfondimento del personaggio. Accanto a Falstaff, Rimini frequentò regolarmente le grandi parti di baritono, dal Barbiere alla Lucia al Verdi italiano e al verismo, ma anche Escamillo nella Carmen, Hoël nella Dinorah di Meyerbeer, Scindia nel Roi de Lahore di Massenet. La sua arte è documentata da una serie di 78 giri incisi per l’etichetta Odeon a Milano nel 1913: vi si colgono le caratteristiche della sua voce a inizio carriera. Tornò in sala di registrazione a New York per la Pathé Frères nel 1917 e per la Aeolian Vocalion nel 1918. Nel 1919 realizzò la nutrita serie dei Vocalian con arie d’opera, tra cui la serenata dei Gioielli della Madonna, e liriche da camera; incise i Brunswick Records tra il 1927 e il 1929, che comprendono alcuni duetti con Raisa. In realtà, il sodalizio artistico limitò almeno in parte il pieno, autonomo sviluppo dell’esperienza artistica del baritono italiano.
Fonti e Bibl.: G. Gualerzi, G. R., in Le grandi voci, a cura di R. Celletti, Roma 1964, pp. 686 s.; R. Celletti, Il teatro d’opera in disco, 1950-1987, Milano 1988, p. 896; G. Marinuzzi, Tema con variazioni: epistolario artistico di un grande direttore d’orchestra, a cura di G. Gualerzi - L. Pierotti Cei Marinuzzi - V. Gualerzi, Milano 1995, pp. 261, 263, 296, 637, 683, 686; K.J. Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, IV, Bern-München 1997, p. 2921; H. Sachs, Toscanini, Milano 1998, p. 153; C. Mintzer, Rosa Raisa. A biography of a diva with selections from her memoirs, Boston 2001, ad ind.; Id., G. R., in The record collector, XLIX (2004), 2, pp. 97-119; E. Giudici, L’opera in cd e video, Milano 20073.