SERRA, Giacomo
– Nacque a Genova intorno al 1570, da Antonio e da Claudia Lomellini.
Apparteneva a una famiglia di banchieri di Portico Vecchio, che però nella riforma degli ordinamenti comunali del 1528 non era riuscita a costituirsi in albergo.
Morto il padre nel 1579, Giacomo si avviò agli studi di diritto. Si spostò a Roma nel gennaio del 1601, acquistando un posto di chierico della Camera apostolica. Il 18 maggio dello stesso anno fu nominato commissario generale dell’esercito che papa Clemente VIII – sotto il comando del nipote Gian Francesco Aldobrandini – inviava in Ungheria contro i turchi, a sostegno dell’imperatore Rodolfo II e dell’arciduca d’Austria Ferdinando d’Asburgo.
Secondo l’Instruttione consegnatagli il 26 maggio, Serra doveva organizzare l’imbarco ad Ancona delle truppe pontificie (9200 uomini) e il loro successivo tragitto dal punto di sbarco fino al sito della rassegna generale, Zagabria: qui si sarebbe provveduto alla prima paga delle compagnie e alla consegna delle armi. Le cifre impegnate erano di assoluto rilievo: 50.000 scudi d’oro e 130.000 scudi di moneta da distribuire a Roma; altri 240.000 scudi di moneta sarebbero stati forniti a Serra a Graz, in quattro rate.
Giunse ad Ancona all’inizio di giugno del 1601. Eseguì quanto commessogli, aggiungendo di sua iniziativa l’invito alla marina veneziana a sorvegliare il tratto del mare Adriatico interessato dai movimenti di truppe. I soldati pontifici furono sbarcati entro i primi di luglio a Fiume. I commissari dell’arciduca Ferdinando non furono però solleciti nel sovvenire ai loro bisogni: Serra sospettava che si stesse già pensando a trattative di pace. Solo a metà del successivo agosto poté essere effettuata una nuova rassegna generale; quindi, dopo pochi giorni, il generale Aldobrandini cadde gravemente ammalato: sarebbe morto il 17 settembre. Ci volle ancora un mese perché l’esercito pontificio, passato sotto il comando del luogotenente generale Flaminio Delfini, entrasse in azione, partecipando all’assedio di Kanizsa (l’odierna Nagykanizsa). Serra inviò a Roma regolari resoconti sulle operazioni, lente e incerte non solo per il cattivo stato del terreno, per lo più paludoso, ma anche per la carenza di rifornimenti. Anche le operazioni di pagamento di sua stretta competenza erano difficoltose, perché l’esercito pontificio era stato collocato in più settori. Quel che era peggio, dopo la morte del generale Aldobrandini il luogotenente Delfini non era stato ammesso inizialmente ai consigli di guerra degli Asburgo.
Il 28 ottobre, l’esercito pontificio partecipò a un assalto generale, completamente fallito. Demoralizzati, gli assedianti furono falcidiati da diserzioni e malattie. Serra tentò di procurarsi carri per il trasporto dei malati e di catturare qualche fuggitivo per condannarlo in modo esemplare. Sapeva, però, che la truppa era stata sottoposta a fatiche e sofferenze oltre i limiti sopportabili. Bastarono quindi le voci di aiuti agli assediati, gli scarsissimi rinforzi ottenuti dall’arciduca Mattia d’Asburgo, governatore d’Austria, e un accenno di maltempo per far decidere, dopo la metà dello stesso mese, la fine dell’assedio. Ne scaturì una ritirata rovinosa. Il luogo di concentramento, Pettovia (l’odierna Ptuj), fu raggiunto alla fine di novembre. Serra non nascose di essere pronto a congedare definitivamente le truppe. Verificò certo, in risposta a una precisa richiesta della segreteria pontificia, la possibilità di far passare l’inverno in Croazia (o addirittura in Ungheria) alla parte ancora efficiente del contingente, ridotto a circa 3500 uomini. Poi però, caduta l’ipotesi e ricevuto con lettera del 29 dicembre l’ordine di rientrare, iniziò a programmare il trasporto delle compagnie superstiti. Fu necessario tutto il mese di gennaio del 1602. Serra stesso giunse a Ravenna soltanto il 2 febbraio. Per le paghe dei soldati furono impegnati 375.600 scudi. Ancora più ingente la somma versata al defunto generale Aldobrandini: 122.500 scudi per le poche settimane di servizio effettivo.
Alla fine dell’estate del 1602, Serra fu inviato di nuovo Oltralpe. A sua disposizione furono posti 100.000 scudi a Vienna, dei quali utilizzò i 4/5 per contribuire al pagamento di fanteria e cavalleria imperiali. L’obiettivo di quell’anno era la conquista di Buda, in Ungheria, ma fu invece presa la vicina Pest, che si immaginava come base per future imprese. Serra ebbe il permesso, nel febbraio del 1603, di rientrare a Roma: tornato a primavera, si mise in viaggio ancora una volta alla fine di settembre e il 18 ottobre fu a Vienna. Questa volta il papa intendeva mantenere il segreto sulla cifra affidatagli (50.000 scudi), obiettivo che Serra riuscì con molta fatica a raggiungere. Anche in quell’occasione egli si servì del denaro per pagare truppe imperiali. Ma non aveva ormai la minima illusione che ciò avrebbe avuto risultati concreti nella lotta contro i turchi. Infine, da gennaio a maggio del 1604, a Praga, egli svolse le funzioni di nunzio. Curò in particolare gli interessi della famiglia Pio di Savoia, che il duca di Modena Cesare d’Este aveva spossessato del feudo di Sassuolo, sul quale Rodolfo II esercitava un’alta sovranità. Poi arrivò, in maggio, Giovan Stefano Ferreri, il quale doveva subentrare in carica.
Rientrato Serra a Roma, la Sede apostolica rimase vacante due volte in modo ravvicinato (per la morte prima di Clemente VIII, il 3 marzo 1605, e poi di Leone XI, il 27 aprile). Durante il secondo di questi periodi, durato fino all’elezione di Paolo V (il 16 maggio 1605), Serra ricoprì l’incarico di governatore di Borgo. Quindi Paolo V, all’inizio di giugno del 1605, lo inviò presso l’imperatore e presso l’arciduca Mattia con un nuovo incarico di commissario generale pontificio per gli aiuti contro i turchi. Dotato di 100.000 scudi, egli arruolò per il papa un reggimento di soldati tedeschi, comandati da Ferdinand Kollonitsch. La campagna in quell’anno stentava a partire, anche per una contemporanea insurrezione degli ungheresi. Così, mentre le truppe arruolate con tanta spesa dell’erario pontificio erano poste a presidio di Comar (Komárom) e di Giavarino (Györ), Serra doveva scrivere a Roma del suo disincanto, soprattutto per la resa di Strigonia (l’odierna Esztergom), conquistata nel 1595 con il concorso delle truppe pontificie, e per le trattative di pace che si moltiplicavano. Peggio, egli doveva avvisare che «li preti vivono molto male, e sono di grande scandalo agl’heretici, e non v’è chi li corregga» (al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, Vienna, 3 settembre 1605, in Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, s. II, 328-330, c. 88v). Comunque, anche dopo il licenziamento delle truppe, eseguito alla fine di novembre, Serra si trasferì a Vienna dove tentò di rintuzzare gli attacchi contro la presenza gesuita e di salvaguardare le posizioni dei cattolici, sempre a rischio di essere pregiudicate.
Rientrò a Roma nel febbraio del 1606. Il 19 agosto successivo fu nominato commissario e prefetto dell’Annona in Umbria e nella Marca anconetana. Ma non fu troppo impegnato dal problema degli approvvigionamenti alimentari nella provincia pontificia. Sin dal maggio dello stesso anno, infatti, la crisi dell’Interdetto di Venezia si era aggravata al punto da lasciar presagire scenari di guerra. Serra partecipava regolarmente alla congregazione dell’Armi, istituita nell’occasione. In particolare, all’inizio del 1607, egli verificò la possibilità di arruolare un esercito di 15.000 fanti e 2300 cavalleggeri, comprendente anche soldati svizzeri e lorenesi. Quindi, in marzo, compì una serie di ispezioni nelle Marche e in Romagna.
Il quadro fornito dai suoi dispacci era preoccupante: se le milizie di fanteria della Romagna potevano dare qualche speranza di successo, quelle di cavalleria, dislocate nel Cesenate, frodavano in tutti i modi possibili le paghe ricevute. Disastroso poi lo stato dei presidi costieri: le rocche di Cervia, Rimini, Cesenatico si potevano difendere solo per 8-10 giorni.
Serra si dimostrò molto sollevato alla notizia del raggiungimento dell’accordo con i veneziani (il 21 aprile 1607) e si occupò di smobilitare le circa venti compagnie arruolate. Quindi, fu nominato prima prefetto dell’Annona (fra agosto e dicembre del 1608) e poi tesoriere generale della Camera apostolica (dal 17 dicembre dello stesso anno). Creato cardinale il 17 agosto 1611, il 12 settembre ricevette il titolo diaconale di S. Giorgio in Velabro. Restò comunque a capo della Camera apostolica, con la carica di protesoriere, che mantenne fino al 16 settembre 1615, quando fu creato legato di Ferrara.
Fece il suo ingresso in città il 13 dicembre 1615: avrebbe retto la legazione fino al 1623. Fu un legislatore molto attivo. Emanò norme per il mantenimento dell’ordine pubblico, promosse le attività economiche, varò consistenti opere pubbliche sia in città sia sul territorio.
Gli si deve, in particolare, un nuovo assetto idraulico del basso Polesine, che comprendeva lo scavo dell’alveo del Po ferrarese, l’immissione in esso del Panaro e lo sbocco in mare del braccio deltizio così potenziato al Lido di Volano. Ma la sistemazione non resse che pochissimi anni.
Serra fu molto attivo anche nel settore degli approvvigionamenti alimentari: nel marzo del 1616 insediò a Ferrara una congregazione dell’Abbondanza e fece creare ogni anno scorte di frumento; fece così fronte, nel 1621, a un’annata di raccolti particolarmente penuriosi.
Riguardo alla vita culturale, appena arrivato a Ferrara aveva sorvegliato da vicino l’attività dell’Accademia degli Intrepidi e nel 1617 l’aveva sciolta. Non per questo deve essere considerato ostile al teatro profano. Anzi, egli seguiva da vicino la commedia dell’arte. Quanto al governo degli ordini religiosi, cercò di appianare i contrasti originati da un progetto di insediamento dei teatini troppo vicino alla casa già edificata dai gesuiti. Fu infine protettore dei canonici regolari lateranensi.
Stimava Guercino, che per lui dipinse il S. Sebastiano curato da Irene (Pinacoteca nazionale di Bologna), il Sansone catturato dai Filistei (Metropolitan museum of art di New York) e il Ritorno del figliuol prodigo (Vienna, Kunsthistorisches Museum).
Partecipò ai conclavi del 1621 e del 1623, che videro l’elezione di Gregorio XV e di Urbano VIII. Morì poco dopo l’ascesa al soglio di quest’ultimo, a Roma, il 19 agosto 1623. Fu seppellito in S. Maria della Pace, chiesa di cui era titolare dal 28 settembre 1615.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, s. I, 60, cc. 38r-41v; s. II, 328-339, cc. 5r-146v; s. III, 33, cc. 138r-149v; Nuntiaturberichte aus Deutschland. Die Prager Nuntiatur des Giovanni Stef. Ferreri und die Wiener Nuntiatur des G. S. (1603-1606), a cura di A.O. Meyer, Berlin 1913; L’assedio di Kanizsa (1601) nei documenti inediti dell’Archivio Segreto Vaticano, a cura di F. Brancucci, Roma 1980, passim; Le Istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici. 1605-1621, a cura di S. Giordano OCD, Tübingen 2003, ad indicem.
F. Cazzola, Il problema annonario nella Ferrara pontificia: il Legato S. e la Congregazione dell’Abbondanza (1616-1622), in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, III-IV (1970-1971), pp. 541-578; D. Mahon, Guercino and cardinal S.: a newly discovered masterpiece, in Apollo, CXIV (1981), pp. 170-175; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 910 s.; E. Podestà et al., I Serra, Torino 1999, pp. 91-99; P. Fabbri, I teatri di Ferrara: commedia, opera e ballo nel Sei e Settecento, Lucca 2002, ad ind.; M. Giannini, L’oro e la tiara, Bologna 2003, ad ind.; G. Brunelli, I commissari generali dell’esercito pontificio tra Cinquecento e Seicento, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2004, n. 2, pp. 175-206, passim e Appendice (Instruttione che si dà a V.S. mons.re S...); B. Emich, Territoriale Integration in der Frühen Neuzeit. Ferrara un der Kirchenstaat, Köln 2005, ad ind.; L. Paliotto, Ferrara nel Seicento: quotidianità tra potere legatizio e governo pastorale, Ferrara 2006, ad indices.