TOFANO, Giacomo
– Nacque il 13 marzo 1799 a Paupisi, nel Beneventano, dal barone Francesco e da Marianna Demarco.
Primo di sei figli (Maddalena, Laura, Laura Anastasia, Aniello Nicola e Giovanni) apparteneva a una famiglia inserita con una certa rilevanza nella società e nell’economia del Casertano. I Tofano furono coinvolti nella crisi politica della fine del XVIII secolo. Il padre Francesco partecipò alle vicende rivoluzionarie del suo comune, Airola. Nominato comandante delle guardie civiche del circondario, si impegnò nella battaglia politica repubblicana e nel tentativo di difendere le nuove istituzioni promosse dai francesi e sostenute da una parte importante della società meridionale.
Nella primavera i francesi si ritirarono, l’armata della Santa fede travolse la Repubblica. Nell’estate iniziò la repressione borbonica. Francesco si rifugiò in un altro paese, Paupisi, luogo di origine di Marianna, sua futura moglie. Quando iniziò il Decennio fu tra gli ex rivoluzionari che si schierarono con i francesi. L’adesione convinta e massiccia di una parte importante della società napoletana al cambio di regime rese possibile una stabilizzazione della monarchia dei Napoleonidi e soprattutto l’inizio di una profonda fase di rinnovamento delle istituzioni del Regno. La resistenza borbonica determinò però uno stato di conflitto civile latente che nelle campagne prese la forma del brigantaggio politico. Proprio a causa delle operazioni contro i briganti Francesco fu coinvolto in un’azione finita infelicemente. Ritenuto responsabile della morte di un volontario di Maddaloni, nel 1807, fu condannato a sei anni di carcere, pena che poi venne commutata nell’obbligo di risiedere nel circondario di Airola.
Giacomo, anche se giovanissimo, si arruolò nella milizia civica e ricordò sempre l’entusiasmo che lo portò, con buona parte della sua generazione, a sostenere il re Gioacchino Murat e il regime napoleonide. La famiglia si trasferì a Napoli all’inizio della seconda Restaurazione di Ferdinando IV. Il ritorno del re Borbone era garantito dall’accordo di Casalanza, che tentava un compromesso con gli apparati politici e militari murattiani. In quegli anni di transizione, Giacomo si impegnò negli studi di diritto; si mostrò anche capace nelle materie scientifiche e portato per la carriera militare, ma scelse la professione forense.
Nel Napoletano l’avvocatura era da sempre una forma di crescita sociale, uno snodo delle relazioni politiche e uno strumento per costruire posizioni e ruoli tra la città e le province. Inoltre, dal suo punto di vista, era funzionale anche a recuperare il patrimonio familiare, impoverito dalle precedenti vicende politiche e giudiziarie.
Il giovane era considerato di intelligenza brillante: esordì nel foro non ancora ventenne e diventò rapidamente famoso. Contemporaneamente alla carriera, Tofano partecipò all’intensa mobilitazione politica che fece della carboneria napoletana una delle reti clandestine più importanti dell’Italia della Restaurazione. Nel 1820 prese parte alla rivoluzione costituzionale e alle tappe più importanti dei nove mesi di resistenza del Parlamento napoletano. Quando in Sicilia iniziò la rivolta autonomista, si arruolò volontario nel reggimento comandato dal colonnello Gaetano Costa al seguito del generale Florestano Pepe. Partecipò a tutte le operazioni più importanti che si conclusero con l’assedio di Palermo da parte dell’esercito costituzionale.
Tofano diventò un dirigente di primo piano della carboneria in Sicilia, fu proclamato vice grande oratore della dieta carbonara e organizzò le vendite della città di Palermo. Quando nel marzo del 1821 gli austriaci travolsero l’esercito napoletano, il giovane ufficiale era tra coloro che volevano una resistenza a oltranza. Il re Ferdinando I, che aveva voluto e sostenuto l’intervento contro il suo stesso Parlamento, iniziò la nuova Restaurazione borbonica radicalizzando la frattura tra il regime e il costituzionalismo liberale. Questa fase fu segnata da una lunga serie di processi politici, condanne capitali o al carcere, esili e fughe di ufficiali o carbonari compromessi con la rivoluzione. Tofano, dopo un breve periodo di detenzione nel castello di Trapani, tornò latitante a Napoli e, per non essere arrestato, si nascose a Paupisi, suo paese natale. Normalizzato lo scenario politico, riprese la sua attività allargandola a Benevento, cittadina dove aveva alcuni interessi immobiliari e forse ritenuta meno pericolosa per i suoi trascorsi, anche perché era parte dello Stato pontificio e quindi meno vigilata dalle forze di polizia borbonica.
In quegli anni modificò molte convinzioni politiche, come buona parte del movimento liberale napoletano che cominciò a immaginare una soluzione moderata e costituzionale al problema del rinnovamento politico del Regno delle Due Sicilie. La sua scelta non lo pose al riparo dalle indagini e dai sospetti dei regimi assolutisti di Napoli e di Roma. Nel 1824 Tofano venne arrestato e incarcerato nel castello di Benevento. Nel marzo del 1827 fu liberato grazie all’intercessione di monsignor Raffaele Marulli. Nel dicembre dell’anno successivo decise di tornare a Napoli e rilanciare la sua carriera. La sua eloquenza si combinò con abilità pratica e capacità di tessere relazioni, fino ad affermarsi tra gli avvocati più celebri e richiesti della capitale. Difese anche alcuni accusati per sospetti e fatti politici, tra i quali i coinvolti nella rivolta abruzzese degli anni Trenta. Il suo successo gli consentì di rivestire sempre un ruolo abbastanza influente, senza trascurare la simpatia per il movimento liberale napoletano che, pur nella clandestinità, continuò a mantenere relazioni e radicamento tanto nella capitale quanto nelle province.
La rivolta siciliana del 1848 portò allo scoperto il liberalismo meridionale e Tofano era tra gli uomini di punta dell’area moderata costituzionale. Dopo la concessione dello Statuto, nel febbraio, i liberali entrarono massicciamente nelle istituzioni del Regno. Giacomo fu nominato prefetto di polizia del primo governo e, dopo qualche settimana, sostituì Carlo Poerio, suo amico diventato ministro dell’Istruzione pubblica, come direttore generale. In quelle settimane si trovò spesso in difficoltà. Il movimento liberale era diviso al suo interno per motivi politici e personali, travagliato per l’insofferenza dei fedelissimi del Borbone e degli stessi funzionari degli apparati burocratici verso l’attivismo dei nuovi arrivati al potere. Tofano si trovò sottoposto a pesanti pressioni in un ruolo chiave: il controllo degli apparati di sicurezza civili. Non riuscì a fronteggiare problemi, critiche e polemiche. Il 26 marzo si dimise dalla direzione del ministero di Polizia come da altri importanti incarichi (era consigliere della Suprema corte di giustizia di Napoli e tenente colonnello della guardia nazionale).
I suoi amici cercarono di convincerlo a riprendere l’attività, ma scelse di restare fuori dalla politica. Una decisione che mostrava il suo carattere prudente, spesso poco propenso a esporsi negli scontri frontali della pericolosa vicenda napoletana. Anche per questo, quando il Parlamento fu sciolto e iniziò la quarta Restaurazione borbonica, non fu immediatamente coinvolto nella repressione decisa dal re Ferdinando II, pur restando fermo nelle proprie convinzioni liberali. Uno scenario che cambiò quando scelse di assistere come avvocato i suoi amici accusati per questioni politiche, tra cui lo stesso Poerio, arrestato insieme a decine di altri esponenti di punta del movimento perché considerati membri della setta antiborbonica dell’Unità italiana. La difesa, ben oltre il suo contenuto giuridico, fu almeno secondo le parole dello stesso Poerio, un «documento memorando e non perituro di coraggio civile» (Atti e difesa della causa di Carlo Poerio ed altri, Napoli 1850, p. LV).
Tofano fu preso di mira dal prefetto di polizia Gaetano Peccheneda e fu messo sotto stretta sorveglianza. Nel febbraio del 1850 venne arrestato, senza subire né un interrogatorio formale né un processo. Dopo una prima permanenza nel carcere di S. Maria Apparente fu trasferito a Castel dell’Ovo anche per un fatto aggravante, poi risultato non vero, che lo voleva fondatore della setta La Vendetta. Anche se agli arresti, continuò a occuparsi della vicenda giudiziaria di Poerio, con cui intrattenne una fitta corrispondenza. Nei primi mesi del 1852 venne scarcerato e dopo poche settimane esiliato dal Regno. La sua fu una delle tante esperienze dell’esilio liberale napoletano e siciliano, una vicenda che sancì la definitiva frattura tra i gruppi liberali e intellettuali meridionali e la dinastia borbonica. Gli esuli si convinsero dell’impossibilità di un rinnovamento costituzionale del Regno e si inserirono definitivamente nel movimento nazionale italiano, individuando nella politica del conte Camillo Benso di Cavour e nella monarchia sabauda l’unica possibile soluzione alla decennale crisi meridionale.
Fino al 1855 Tofano si stabilizzò a Pisa, dove fu raggiunto dal resto della famiglia. Solo successivamente si trasferì a Torino. Nella capitale sabauda intrecciò amicizie importanti e si inserì nei circuiti liberali della città, accogliendo in casa sua i più famosi esuli politici. Il sostegno e la vicinanza di sua moglie Angela Pugliese, che Tofano aveva sposato a Napoli il 5 novembre 1831, e da cui aveva avuto sei figli (Gustavo, Ernesto, Guglielmo, Francesco, Eduardo ed Eugenio), fu molto importante. La consorte lo aiutò a costruire un clima di solidarietà con altri pezzi dell’emigrazione facendo della sua casa un riferimento per molti meridionali che erano riparati a Torino.
Nel maggio del 1859 rincontrò l’amico Poerio, che era rientrato da Londra dopo la fuga del gruppo di napoletani condannati alla deportazione da Ferdinando II. Il confronto tra gli esuli era complesso, appassionato, a volte confuso, ma oramai strettamente vincolato al disegno strategico del conte di Cavour. I contrasti interni al mondo liberale non risparmiarono neanche i due amici: Tofano non avrebbe mai considerato né valida né credibile un’alleanza con la monarchia borbonica (pensata in qualche momento da Poerio, ma mai condivisa dagli esuli meridionali). Come spesso succedeva, le tensioni politiche finirono anche per raffreddare i rapporti personali che non tornarono mai più quelli degli anni passati.
Nel 1859 Tofano aderì alla Società nazionale, fondata da Daniele Manin, Girolamo Ulloa, Giuseppe La Farina e Giorgio Pallavicino, con l’obiettivo di unificare le diverse correnti del movimento nazionale italiano. Nel novembre, a Bologna, divenne consigliere presso la Corte di cassazione e professore universitario di diritto penale. Dopo la spedizione dei Mille e i plebisciti meridionali, nel gennaio del 1861, il governo della luogotenenza di Napoli lo nominò presidente della Gran corte criminale. Nelle elezioni di febbraio fu eletto deputato nel primo Parlamento del Regno d’Italia come rappresentante del collegio elettorale di Airola.
Il vecchio cospiratore, oramai uomo di primo livello del movimento unitario napoletano, era al culmine della propria carriera quando fu sconvolto da uno scaldalo che segnò per sempre la sua vicenda politica e la sua dimensione privata. Alla fine dell’estate del 1861, Enrico Cialdini, luogotenente generale, inviato a Napoli per contrastare il brigantaggio borbonico, fu messo a conoscenza di alcuni documenti riservati del vecchio regime che lo riguardavano. Vi era traccia di diversi colloqui e alcune lettere tra Tofano e Giuseppe Canofari, incaricato d’affari presso la corte piemontese per il Regno delle Due Sicilie, durante gli anni della sua prigionia a Castel dell’Ovo fino al suo esilio a Torino. I documenti vennero interpretati da Cialdini come una prova del fatto che Tofano fosse stato in realtà una spia del governo borbonico, a danno prima dei suoi compagni in carcere e poi degli esuli che entrarono in contatto con lui. Il luogotenente ne chiese immediatamente la destituzione al governo di Torino.
Alla fine dell’anno, quando la questione approdò in Parlamento, Tofano e Poerio si allontanarono definitivamente. Tofano si sentì vittima di un’ingiustizia profonda, politica e anche procedurale. A suo dire, il ministro di Grazia e Giustizia aveva assunto il contenuto delle accuse, senza analizzare e approfondire i documenti, ordinando la sua rimozione dall’ufficio. Tofano cercò di difendersi, inoltrando anche una petizione alla Camera, mai accolta, perché fosse effettuata un’inchiesta che accertasse la veridicità di quelle informazioni. Nell’appello chiedeva che fosse «chiarita la [sua] innocenza e probità politica e morale» avanzando il diritto di «essersi ordinata la più rigorosa inchiesta» (Atti parlamentari, Camera dei deputati, Sessione del 1861, tornata del 13 dicembre 1861, p. 325). Ma il guardasigilli emanò comunque il provvedimento di esonero e, con una lettera inviata alla presidenza, che fu letta in Parlamento nella tornata del 10 febbraio 1862, Tofano si dimise. Nonostante questo, nel suo ambiente le accuse vennero considerate infondate. Nel 1865 si ricandidò e fu eletto deputato per la seconda volta sempre nel collegio di Airola, e poi di nuovo una terza nel 1867.
Visse gli ultimi anni della sua vita nella riservatezza, accompagnato dalla convinzione di aver subito un’ingiustizia immeritata. Uno dei suoi più cari amici, Mariano D’Ayala, chiese, ancora una volta senza successo, che fosse riesaminato il giudizio a suo dire affrettato che ne aveva macchiato l’onore.
Morì a Napoli il 20 novembre 1870.
Scritti e discorsi. Lettera di Giacomo Tofano al suo amico Girolamo Magliano, Napoli 1848; Per Carlo Poerio nel giudizio di ricusa, Napoli 1850; Ai suoi elettori, Napoli 1861; A mia moglie e ai miei figli, Napoli 1867; Ai miei elettori del Collegio di Airola, Napoli 1868.
Fonti e Bibl.: La Nazione, 28 giugno 1848 e 1° settembre 1848; F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti di Napoli fino a tutto il 15 maggio 1848, divisa in tre parti: introduzione, rivoluzione, documenti, Napoli 1849, p. 170; N. Nisco, Il generale Cialdini e i suoi tempi, Napoli 1893, p. 244; G. Paladino, Il processo per la Setta l’“Unità italiana” e la reazione borbonica dopo il ’48, Firenze 1928, ad ind.; N. Coppola, Voci dal carcere, in Rassegna storica del Risorgimento, XLVIII (1961), 2, pp. 207-234; A. Zazo, Vita di esilio di due sanniti del Risorgimento: G. T. e Federico Torre in lettere e documenti inediti (1848-1859), in Ricerche e studi storici, VII (1968), pp. 227-256; Id., Dizionario bio bibliografico del Sannio, Napoli 1972, ad vocem; R. Caporuscio, Il collegio elettorale uninominale di Airola (BN) e i suoi deputati al Parlamento nazionale, VIII-XIV legislatura 1861- 1882, s.l. 1997, pp. 72-81, 95-106; G. T., “uomo del Risorgimento”, San Giorgio del Sannio 2015; V. Mellone, Napoli 1848. Il movimento radicale e la rivoluzione, Milano 2017, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera.it/deputato/giacomo-tofano-1799#nav.