Zabarella, Giacomo
Filosofo (Padova 1533 - ivi 1589). Nato da nobile famiglia, ereditò da suo padre Giulio il titolo di conte palatino; compì i suoi studi presso l’univ. di Padova, dove ebbe come maestri F. Robortello per le lettere, B. Tomitano per la logica, Genua per la filosofia naturale e la metafisica e P. Catena per le discipline matematiche. Conseguì il dottorato in filosofia nel 1553; la sua carriera accademica si svolse interamente a Padova, inaugurata nel 1563-64 con l’insegnamento della logica e proseguita successivamente (1568) con quello della filosofia naturale. La sua opera è decisamente improntata – anche se in maniera critica – all’aristotelismo dominante nell’ambiente universitario padovano; nel 1578 pubblicò a Venezia gli Opera logica, cui seguirono le Tabula logicae (1580) e il commento agli Analitici posteriori di Aristotele (1582). Nel 1584 diede alle stampe la De doctrinae ordine apologia, una replica alle critiche di Piccolomini alle sue dottrine logiche. La sua prima opera di filosofia naturale, De naturalis scientiae constitutione, venne pubblicata nel 1586; ma il suo scritto maggiore nell’ambito di questa disciplina, il De rebus naturalibus, apparve postumo nel 1590. Ugualmente postumi sono i commentari incompleti alla Fisica (1601) e al De anima (1605) di Aristotele, i cui testi Z. leggeva nell’originale greco, servendosi anche dei commentari di Alessandro di Afrodisiade, Filopono, Simplicio, Temistio, unitamente ai commenti medievali di Tommaso d’Aquino, W. Burley e soprattutto di Averroè. La sua fama è legata in modo particolare agli studi di logica, disciplina che Z. indica come uno strumento tecnico (il cui scopo consiste nel distinguere il vero dal falso) a servizio delle arti e delle scienze, distaccandosi quindi sia dalla posizione degli scolastici, che ne facevano una scienza indipendente, sia da alcuni contemporanei – quali F. Nobili e A. Bernardi – che la relegavano al ruolo di arte. Sottolineando la distinzione tra le funzioni logiche, che riguardano il processo conoscitivo (modus considerandi), e i diversi aspetti della realtà (res considerata), Z. si preoccupa di definire la corretta metodologia che organizza e struttura la conoscenza, individuando un «metodo risolutivo» (o quia) e un «metodo compositivo» (o propter quid): il primo – tipico della medicina e delle scienze empiriche – parte dall’esame degli effetti per risalire alla ricerca delle cause; il secondo – proprio della filosofia della natura –, partendo dall’esame della causa, fornisce una spiegazione del fatto sensibilmente esperito. Z. propone una combinazione dei due attraverso il «metodo del regresso», per cui il filosofo naturale in un primo momento inferisce l’esistenza della causa dall’effetto, quindi, come tornando indietro, partendo dalla causa inferisce l’effetto. La cooperazione fruttuosa per il raggiungimento della conclusione dimostrativa nel campo della scienza naturale si rende necessaria in quanto dalla conoscenza degli effetti si raggiunge una rappresentazione ancora confusa delle loro possibili cause; raggiunta una conoscenza distinta, attraverso un’attenta riflessione mentale (consideratio mentalis), si possono dedurre con assoluta certezza e in modo determinato gli effetti da cui si erano prese le mosse. Centrale pertanto è il ruolo riconosciuto all’induzione – serva demonstrationis – che conduce alla definitio substantiae a rebus particularibus. In psicologia, pur inserendosi a pieno titolo nella tradizione averroistica dominante nell’ambiente padovano, Z. rifiuta la dottrina dell’unità dell’intelletto, accogliendo piuttosto la posizione di Alessandro di Afrodisiade circa la natura di forma informans dell’anima razionale dell’uomo («l’atto primo dell’uomo, cioè la forma per cui l’uomo è l’uomo»); Z. sembra scivolare verso la conseguenza naturale di questo assunto, che è la tesi della mortalità dell’anima, pur lasciando la questione ai teologi, dal momento che lo stesso Aristotele, in qualità di filosofo naturale, non si era pronunciato esplicitamente a riguardo. Come per Alessandro, l’intelletto agente si identifica con Dio, principio universale di intelligibilità del reale. Le indagini di Z. sulla filosofia della natura restano sostanzialmente legate allo studio delle ‘qualità’, in accordo con la tradizione aristotelica, e risultano pertanto scarsamente originali. Notevole fu invece – a partire dal tardo Cinquecento fino ai primi decenni del 17° sec. – l’influsso del suo pensiero in partic. sugli aristotelici tedeschi protestanti; le opere di Z. diventarono un costante punto di riferimento nell’insegnamento e nel dibattito sulla methodus nelle università tedesche, inglesi e olandesi, mostrando come l’aristotelismo universitario fosse ancora in grado di superare le barriere confessionali che all’inizio del Seicento dividevano l’Europa.