GIACOMO (Iacobus)
Non conosciamo il luogo e la data di nascita di G. e non abbiamo notizie di lui prima del 6 ott. 844, quando venne eletto abate del monastero di S. Vincenzo al Volturno.
Fonte principale sulla sua presenza alla guida di tale monastero è il Chronicon Vulturnense. Al pari di altre fonti consimili il Chronicon alterna notizie riguardanti gli abati e il loro tempo con la riproduzione - per esteso o sotto forma di regesto - di diplomi o privilegi imperiali, pontifici, regi, ducali, unitamente a carte private concernenti donazioni o cessioni di beni effettuate in favore del monastero. Riguardo a G. il cronista sottolinea la difficoltà dei tempi nei quali egli operò, travagliati dalla guerra intestina che portò allo smembramento del Principato di Benevento, sancito dalla divisio ducatus dell'849, tra Radelchi di Benevento e Siconolfo di Salerno. L'instabilità interna della "Langobardia minor" facilitò altresì l'inserimento degli Arabi - provenienti in particolare dalla Sicilia - nel gioco politico dell'Italia meridionale; giunti, spesso in qualità di mercenari, al servizio delle varie parti in lotta, gli Arabi riuscirono, negli anni Quaranta del IX secolo, a costituire basi permanenti sul continente, quali gli Emirati di Bari e Taranto (cfr. Musca). Il loro accentuato dinamismo politico accrebbe l'instabilità dell'area, sottoposta a continue spedizioni militari, al punto che una banda di armati al comando di un tal Masar si insediò all'interno del territorio di Benevento.
In tale contesto si colloca l'azione congiunta di G. e dell'abate di Montecassino, Bassacio, che decisero di recarsi insieme presso l'imperatore Ludovico II, coreggente insieme con il padre Lotario I, per sollecitarlo a intervenire in Italia meridionale al fine di riportare la situazione sotto controllo. Non è noto con certezza quando ciò sia avvenuto: basandosi sulle notizie fornite dal cronista Erchemperto, G. Waitz, curatore dell'edizione dell'opera dello storico longobardo, collocò la missione di G. e di Bassacio nell'852. La ragione di questo intervento presso il sovrano è da individuare, come sostiene lo stesso Chronicon Vulturnense, nella posizione particolare di Montecassino e S. Vincenzo, quali monasteri posti sotto la diretta tutela imperiale. Il Chronicon afferma che l'imperatore, grazie ai consigli dei due abati, "maxima rebus utilia […] consequi meruerat". Erchemperto aggiunge che la disperazione dei due abati era tale che essi, in occasione del loro incontro con Ludovico, dichiararono - evidentemente a un membro della Curia imperiale che faceva loro da tramite - che sarebbero stati pronti a prendere ordini anche dall'ultimo degli uomini dell'esercito imperiale, pur di ricevere una qualche forma di aiuto. Non è chiaro dove G. e Bassacio abbiano raggiunto Ludovico, il quale organizzò di lì a poco una spedizione militare in Italia meridionale per cercare di frenare l'espansione mussulmana; l'incontro avvenne certamente in Italia settentrionale, forse a Pavia, dove l'imperatore si trovava alla fine di gennaio (Böhmer, n. 86), oppure a Mantova, dove soggiornò verso la fine di febbraio (ibid., n. 87).
Va ricordato che in alcuni casi (Del Treppo, Cilento) la missione di G. e Bassacio dell'852 è stata confusa con un'altra che "Beneventani, Capuani et cuncti cummarcani" effettuarono presso Ludovico II nell'865, sempre per impetrare aiuto "ad tuitionem perditae patriae", ancora in relazione all'imperversare degli Arabi nelle terre della "Langobardia minor". Bassacio e G. erano allora già morti, rispettivamente da nove e tre anni, e inoltre non risulta che rappresentanti dei due monasteri facessero parte in quella circostanza della delegazione.
Il Chronicon Vulturnense - che nel secondo libro si limita a narrare della missione di G. presso l'imperatore - nel terzo libro, incentrato sulla distruzione araba di S. Vincenzo dell'881 e sui suoi antefatti, ricorda la spedizione militare compiuta da Ludovico II in Italia nell'852 su sollecitazione dei due abati, e ricorda altresì che questi ultimi erano stati i latori di una solenne promessa dei Capuani di scendere in campo a fianco dell'imperatore, nel momento in cui egli fosse giunto in loro soccorso. Questa promessa, però, non fu mantenuta, suscitando così il vivo disappunto di Ludovico.
Commentando l'azione politica di G., Cilento la definisce alternante fra posizioni filofranche e atteggiamenti filocapuani. Tuttavia - al di là di un rigido incasellamento dell'orientamento dell'abate, il quale doveva necessariamente mantenere vivo un collegamento non conflittuale sia col potere regio, sia con i potentati locali - ciò che più interessa sottolineare è che, già al tempo di G., il potere territoriale di riferimento, per il cenobio volturnense, era rappresentato più dal conte di Capua che dal principe di Benevento.
Sempre dal Chronicon, veniamo a sapere che G. appartiene ancora alla schiera di "abati costruttori" di S. Vincenzo, attivi in età carolingia, sebbene la sua attività edificatoria non si sia esplicata all'interno della abbazia, ma nei dintorni, con l'erezione della chiesa di S. Pietro "ad Itrias", che la ricognizione archeologica ha localizzato nel territorio di Cerasuolo, in una valle tributaria di quella del Volturno che pone in diretto collegamento la "terra" di S. Vincenzo con quella di Montecassino (Hodges). Ancora il Chronicon ci permette di sapere che G. fu un abate attivo, nonostante le difficili condizioni politiche in cui si trovò a operare, per la difesa del patrimonio fondiario del monastero. Conosciamo quattro documenti databili al suo abbaziato, tre dei quali rappresentati da cessioni di beni fondiari, avvenute negli anni 845 e 847 da parte di privati, e un quarto, per l'anno 849, concernente una permuta di terreni tra il principe di Salerno, Siconolfo, e Giacomo. Le terre negoziate o ricevute da G. si distribuiscono equamente, nella migliore tradizione della S. Vincenzo carolingia, fra i territori di Benevento, Salerno, Capua e il litorale settentrionale della Puglia (Marazzi).
G. morì il 12 genn. 853; suo successore fu Teuto, che resse l'abbazia fino all'856.
Fonti e Bibl.: Erchempertus, Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. rerum Lang., Hannoverae 1878, p. 242; Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffman, Ibid., Script., XXXIV, Hannover 1980, p. 85; Il Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, I, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LVIII, Roma 1925, pp. 305-307, 316-318, 355 s.; J.F. Böhmer, Regesta Imperii, I, 3, Die Regesten des Kaiserreichs unter den Karolingern, a cura di H. Zielinski, Köln-Wien 1991, nn. 86-88; N. Cilento, Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore, Roma 1966, p. 164; M. Del Treppo, "Terra Sancti Vincencii". L'abbazia di S. Vincenzo al Volturno nell'Alto Medioevo, Napoli 1968, pp. 9 s.; N. Cilento, Italia meridionale longobarda, Napoli 1972, pp. 80, 175, 253, 320; G. Musca, L'Emirato di Bari. 847-871, Bari 1978, p. 45; F. Marazzi, S. Vincenzo al Volturno tra VIII e IX secolo, in S. Vincenzo al Volturno. Cultura, istituzioni, economia, Montecassino 1996, pp. 41-92; R. Hodges, Early Mediaeval villages in the upper Volturno Valley, in S. Vincenzo al Volturno 4. The 1980-1986 excavations, part IV (in corso di stampa).