BIRAGO AVOGADRO (Avogaro), Giambattista
Nato a Genova, in data imprecisabile al principio del sec. XVII, si trasferì con la famiglia a Venezia ancor fanciullo, ne acquistò la cittadinanza e vi compì gli studi sino al conseguimento del dottorato in filosofia e giurisprudenza.
Poco si conosce della sua vita, spesa in continue peregrinazioni da una città all'altra della penisola, in Francia e Spagna, e in una intensa attività di poligrafo.
È del resto questa pratica di déraciné, di mestierante opportunista e a suo modo cosmopolita, che caratterizza più tipicamente la sua attività pubblicistica: troppo difforme e slegata e nel contempo aliena da esigenze critico-metodologiche perché si possa far rientrare nel più rigoroso contesto della storiografia erudita, ma in compenso così immediata ed eclettica, così varia di interessi e spunti di attualità politico-giuridica (pur nel loro arido empirismo o nella congerie di formulari legalistici convenzionali) da costituire un documento di qualche interesse sugli umori e sui limiti, sui ripiegamenti, sulla "stanchezza" dell'opinione pubblica del tempo, nonché, per converso, sugli strumenti di pressione e di orientamento, espliciti o indiretti, fatti valere dalla politica dinastica. Per il B. e altri poligrafi minori del Seicento italiano (dal Siri al Brusoni, al Capriata, allo Zilioli, all'Assarino), lontani da reali ambizioni storiografiche come da pur tiepide pretese teoretiche, è pressoché comune la qualifica di "gazzettieri", di giornalisti ante litteram. In verità, è difficile stabilire fino a che punto e in quale misura la loro opera si identifichi in un'attività di tipo pubblicistico e dove piuttosto si confonda, e finisca in ultima analisi per esserne più genuina espressione, con impegni precostituiti di natura politico-diplomatica, pur marginali, al servizio di questo o quel governo e con il rituale seguito di dispacci confidenziali e riservati e insieme di opuscoli propagandistici e tendenziosi.
In effetti nel B. sono presenti - e spesso si confondono ambiguamente - entrambi gli interessi, di corrispondenza e polemica politico-dinastica e di informazione cronachistica, anche se all'occorrenza sostanzialmente diverso è il "taglio", il metodo di trattazione. La corrispondenza, la letteratura "giornalistica" aderisce in pratica, sebbene si ritrovino talora spunti memorialistici di prima mano o compiacenze indulgenti al romanzo storico, ai modelli d'uso corrente per la compilazione dei Mercuri. L'intonazione del discorso è pertanto volutamente impersonale (a garanzia di una pretesa imparzialità), la materia viene trattata in forma narrativa e si sviluppa in ordine essenzialmente cronologico attraverso un fitto ma svelto intreccio di episodi e di aneddoti. Vi predominano gli eventi militari, le vicende dinastiche e genealogiche, i rapporti diplomatici ufficiali, e molto spazio è dedicato - oltre che alle figure dei sovrani - a quelle di capi militari, di dignitari ecclesiastici, di ministri e ambasciatori con l'immancabile codazzo dei notabili di corte: così - dopo il primo lavoro passato quasi inosservato,Sollevazioni di Stato de' nostri tempi, Venezia 1643 - nel Mercurio Veridico (Venezia 1648) e nelle Turbolenze d'Europa dall'anno 1640 fino al 1650 (Venezia 1654: una specie di continuazione, questa, delle Historie memorabili dal 1600 al 1632 di Alessandro Zilioli comparse a Venezia in 22 libri nel 1646). Il B. tuttavia non va al di là dei soliti profili oleografici, e degli avvenimenti descritti egli afferra più il valore immediato, empirico, che il loro peculiare sviluppo e i significati politici, religiosi o sociali più generali. I pochi accenni al riguardo sono largamente approssimativi o tutt'al più riproducenti la stretta ortodossia ufficiale, fedeli a quella consegna di "una maggior strettezza di bocca", di cui egli del resto si era vantato in apertura al suo Mercurio: anche se l'atmosfera più libera e spregiudicata del particolare osservatorio in cui il B. lavorava, la Venezia di metà Seicento, gli consente talora - specie nella cronaca delle trattative diplomatiche e degli affari internazionali sui cui particolari di dettaglio aveva potuto forse documentarsi più direttamente - di esprimersi con maggiore agilità e con qualche spunto introspettivo felice e disincantato.
Una certa efficacia e vivacità di rappresentazione, specialmente degli sfondi ambientali, sorregge comunque l'impalcatura di queste ambiziose "relazioni universali" (il Mercurio Veridico si snoda fra vicende italiane, francesi, tedesche, fiamminghe, spagnole, oltre che del Portogallo, della Lorena, del Palatinato e dell'Inghilterra), altrimenti povere di valore storico o di particolari contenuti politici (motivo in qualche modo ricorrente nel B. è - riguardo alla rivoluzione inglese e alla Fronda francese - il rammarico per "l'immobilità colpevole" della nobiltà di corte e dell'aristocrazia terriera), e manchevoli per di più sotto l'aspetto cronachistico di compiuta organicità e talora di formale esattezza. In fondo, la nota più interessante del lavoro "giornalistico" del B. risiede nell'ampia visuale e nella molteplicità di motivi su scala europea evocati dall'autore (seppur affastellati e irrigiditi, con un estrinseco accostamento di fatto, senza nessi e collegamenti unitari, in specifiche sezioni nazionali), e specialmente nell'opera di adattamento e di rielaborazione della materia, onde proporla in forma piana e adeguata al gusto e all'attenzione spicciola del grosso pubblico. Ché nello sforzo di rappresentazione e di cronaca immediata (anche se non avvincente) dei suoi zibaldoni, il B. seppe raggiungere - come riconobbe S. Maffei nelle Osservazioni letterarie - chiarezza narrativa e scioltezza di linguaggio, oltre a discrete doti di sintesi: di qui la fortuna del Mercurio Veridico, rist. a Bologna due anni dopo la prima comparsa, nel 1650, e largamente diffuso in Italia. Il discorso cambia naturalmente, come si è accennato, ove lo si porti sulle capacità di indagine critica del B. circa lo svolgimento dei fatti narrati, nei cui confronti l'autore propende ad assumere - al di là dei richiami d'obbligo ad alcune concezioni tipiche dell'assolutismo - un atteggiamento agnostico di simulato distacco, non senza qualche venatura di scetticismo, mai comunque di comprensione e partecipazione diretta e consapevole. Il Mercurio Veridico e le Turbolenze d'Europa non sono, del resto, dei testi politici né delle trattazioni storiografiche, quanto piuttosto - sia nella loro ispirazione sia nei loro fini - delle iniziative commerciali, delle occasioni per fortunate speculazioni editoriali in coincidenza con il formarsi e il rapido allargamento di un "mercato" di lettori avidi di informazioni elementari o di semplici curiosità.
Lo conferma, se non altro, l'astioso dissidio insorto immediatamente dopo il 1648 fra il B. e Vittorio Siri, autore di un precedente ebdomadario dallo stesso titolo, che ragioni essenzialmente pratiche di concorrenza e rivalità di interesse fra librai e stampatori finiranno per far degenerare in rissa aperta, aspra e senza esclusioni di colpi. Da Casale e Lione dove il Siri aveva pubblicato (1644) il Mercurio ovvero historia de' correnti tempi, e da Venezia e Bologna dove il B. aveva dato alle stampe la prima e seconda edizione dei suo lavoro, la polemica si spostava successivamente a Modena al cui principe Francesco I d'Este il Siri dedicava nel 1653 il suo Bollo sul Mercurio Veridico del sig. Dott. Birago, una dura requisitoria contro lo scrittore veneziano condotta per centotrentuno pagine.
Una certa ruggine e di vecchia data esisteva, in verità, fra i due, ché il B. era stato verosimilmente l'estensore di quelle Considerazioni sopra il Discorso intitolato: Il Soldato Monferrino, le quali confutavano appunto le conclusioni dell'opuscolo pubblicato nel 1640 dal Siri sotto lo pseudonimo di "Capitan Latino Verità", e su cui - per le implicazioni politico-diplomatiche emerse nel dibattito - ci soffermeremo più avanti. Tuttavia, lo scontro fra il B. e il Siri (di cui lo scrittore veneziano finì per essere considerato "nemico mortale") raggiunse le note, più animate e trovò giustificazione più propriamente sul terreno commerciale: nei sottili giochi d'alchimia sulla quantità di notizie da offrire al pubblico e sull'entità del prezzo di vendita soprattutto, e nella gara ingaggiata fra i due autori e fra i rispettivi stampatori per sopravvanzarsi a vicenda nella pubblicazione di successive memorie. Al Mercurio Veridico e ad una traduzione nel 1652 di un anonimo Ristretto dei moti moderni in Inghilterra del B. farà seguito infatti, l'anno dopo (come si è detto), il Bollo del Siri, e alle Turbolenze d'Europa dall'anno 1640 fino al 1650 del B., stampate a Venezia nel 1654, coincideranno e terranno dietro successivamente le edizioni rivedute e integrate del Mercurio a Casale, Parigi e Firenze. Nemmeno nel 1677, quando usciranno a Lione le Memorie recondite dal 1601 al 1640 del Siri, la polemica sembra d'altra parte spenta. Va da sé che alla distanza i due, per esigenze di differenziazione, finissero anche per assumere una contrastante angolazione politica nel presentare gli avvenimenti sui Mercuri: filofrancese il Siri, moderatamente filospagnolo (da antifrondista e aperto difensore in precedenza delle tesi del Cristianissimo) il Birago. Trova modo così di svilupparsi, pur sorreggendosi e integrandosi con motivi assai più pratici e limitati di emulazione e concorrenza commerciale, un principio sia pur larvato, informe, di confronto: di dibattito pubblico fra le opposte tendenze, sullo sfondo peraltro del disincantato scetticismo del mondo politico italiano del tempo e delle tradizionali acquiescenze e opportunità neutralistiche.
L'intonazione politica, la partecipazione alle polemiche dinastiche dell'assolutismo monarchico dell'epoca, è più chiaramente percepibile in altre opere del B., contemporanee o successive ai Mercuri, di specifico interesse nazionale o di più ristretto ambito regionale. Non tanto nella Historia Africana della Divisione dell'Imperio degli Arabi,e dell'origine e del progresso della Monarchia de' Mahomettani distesa per l'Africa,e per le Spagne... (Venezia 1650, con dedica a G. F. Carbonelli, segretario di stato del duca di Mantova), che - nonostante i propositi professati dall'autore di rimediare "al mancamento di notitia delle cose degli Arabi, commune all'Italia con tutta l'Europa" - fallisce l'obiettivo di ampia e organica trattazione storiografica e riprende piuttosto il filo di una storia degli Arabi compilata nella prima metà del Duecento dal vescovo di Toledo D. Rodrigo Ximénez, appoggiandosi di volta in volta al Sandoval, allo Zurita, al Mariana, al Texera e a cronisti arabi come Abdul-Malik e Ibn Caldin, o a qualche documento degli archivi vescovili di Toledo, Leone e Alcalá. L'intendimento politico di carattere ufficioso è evidente, piuttosto, nella Risposta giuridico politica al libro intitolato: Li Diritti di Giovanni IV Re di Portogallo (di L. Gritta) (Augusta 1644) e nella Istoria della Disunione del Regno di Portogallo dalla Corona di Castiglia (Lione 1644), nonché nelle Considerazioni sopra il Discorso intitolato: Il Soldato Monferrino del Capitan Latino Verità (s.l. né d.).
Il primo e il secondo di questi lavori si riferiscono ad uno dei momenti cruciali del più generale conflitto europeo di metà Seicento tra Francia e Spagna e rientrano nelle professioni di fede apologetica nel Cristianissimo coltivate apertamente dal B., prima del radicale mutamento d'indirizzo in senso filospagnolo cui venne convertendosi durante il soggiorno in Spagna nel 1649-50 per la redazione della sua Historia Africana, e giunto più tardi a piena maturazione nell'atteggiamento decisamente antifrancese assunto - nelle Turbolenze d'Europa - nei confronti della rivolta catalana. Respinte in via pregiudiziale le aspirazioni al trono da parte dei Braganza, vengono giustificate vigorosamente - pur senza escludere di massima i "buoni diritti" spagnoli- con il rituale, cavilloso corredo di pezze d'appoggio legalistico-genealogiche e col richiamo al sostegno offerto da Parigi alla sollevazione portoghese, le pretensioni della monarchia francese ad inserirsi direttamente nella soluzione della complessa vicenda dinastica. Ma l'opera del B. non è da ricordare tanto per la trattazione di simili tesi affatto originali e già scontate del resto dalla prassi politico-diplomatica, quanto piuttosto per l'emergere di una schiera di interlocutori (a cominciare dal portoghese Ferdinando Helevo che ritenne, nel suo zelo patriottico, di apportare delle "correzioni" al lavoro del B., ripubblicandolo arbitrariamente emendato nel 1646 e nel 1647 ad Amsterdam) in appoggio o in reazione alla Historia. Ciò conferma i termini moderni - come i limiti oggettivi - di un dibattito pubblicistico ormai preordinantesi in funzione delle finalità politico-dinastiche delle singole monarchie nazionali e che, accantonata ogni preoccupazione etica, si muove esclusivamente sul terreno realistico dell'empirismo assolutistico e della ragion di stato. Non è con questo che manchi nel B., come negli altri, più di un richiamo al concetto controriformistico della subordinazione della politica alla morale unitamente ai soliti spunti precettistici. Ma sono echi flevoli, che si risolvono nell'ambito di un ossequio puramente formale e di circostanza, in infingimenti moralistici oziosi, e che si traducono caso mai, in ultima analisi, in un appello pratico alla "virtù" e alla prudenza politica, alla "necessaria moderazione", alla lezione rinascimentale delle storie ammaestratrici. L'attenzione, pur superficiale, alle vicende storiche si esaurisce così in una mera ricerca di episodi e di momenti suscettibili di riproporre singoli espedienti, compromessi, manovre, tattiche di governo utilizzabili per il futuro, e si risolve - nell'ambito della più generale attività del B., nell'assunzione di atteggiamenti di apatica, arrendevole indifferenza o di opportunistico agnosticismo. Così, per esempio, in quelle Considerazioni sopra il Discorso intitolato: Il Soldato Monferrino (che il B. pubblicò anonimo - ma sulla paternità dell'opuscolo non dovrebbero esservi dubbi - con la significativa dizione di "Istorico politico indifferente") in contradditorio al Siri, il quale aveva prospettato, prendendo spunto dall'assedio di Casale, la necessità di un'intesa comune fra i principi italiani per contenere in qualche modo lo straripante predominio spagnolo nella penisola.
Alle punte di disincantato, ma in fondo convenzionale, scetticismo, all'arte di sempre di "accomodar la vela al vento", si deve, d'altra parte, la singolare fortuna del B., facile divulgatore degli avvenimenti politici e militari del suo tempo, più che comprimario in quella congrega di "avventurieri della penna" secenteschi di cui alla nota, espressiva condanna in blocco del Fassò. "La verità nuda è libera e incontaminata", di cui il B. ebbe pure a professarsi "inflessibile cultore", fu suggestione giovanile o semplice evocazione di comodo: di certo non fu essa a dischiudergli le porte della notorietà e del favore incontrati in Europa dalle sue opere. Ché il B. - titolato fra l'altro (non si sa in quale data) cappellano di S. Giovanni in Gerusalemme, trovò stampatori pronti e solerti in Italia, in Francia, in Germania; e alcuni suoi lavori, come l'Historia della Disunione del Portogallo, ebbero traduzioni in latino, francese e portoghese, quando non furono ristampati varie volte a sua insaputa.
È ignota la data della sua morte.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Sezione I,Lettere particolari, B, mazzo 88; M. Giustiniani,Gli scrittori liguri, Roma 1667, pp. 319 s.; A. Oldoini,Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680. pp. 312 s.; N. F. Haym,Biblioteca italiana, Venezia 1728, pp. 29 e 65; Osservazioni letterarie che possono servire al Giornale de' letterati d'Italia, (Verona) 1737, II, p. 200; G. M. Mazzuchelli,Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 1257 s.; G. M.,Diz. delle opere anonime e pseudonime, Milano 1852,ad vocem; M. Foscarini,Della letteratura veneziana, Venezia 1854, pp. 419, 429 s.; L. Fassò,Avventurieri della penna nel Seicento, Firenze 1923,passim; C. Morandi,Una polem. sulla libertà d'Italia..., in Nuova riv. stor., XI (1927), pp. 101 ss.; B. Croce,Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 105 ss.; A. Belloni,IlSeicento, Milano 1929, pp. 457 s.; G. Spini,Uno scritto sconosciuto di Saavedra Fajardo, in Riv. stor. ital., LIX (1942), pp. 110 s.; V. Castronovo,Samuel Guichenon e la storiografia del Seicento, Torino 1965, p. 140.