BODONI, Giambattista
Nacque a Saluzzo da Francesco Agostino e da Paola Margherita Giolitti il 26 febbraio 1740. Il padre era tipografo, come tipografo era stato il nonno Giandomenico; la madre, nativa di Cavallermaggiore, discendeva forse dai Gioliti di Trino nel Monferrato, tanto celebri nella storia della tipografia italiana. Apprese i primi rudimenti dell'arte nella modesta officina paterna nel tempo stesso che frequentava un regolare corso di studî nel regio collegio della sua città; primo frutto del suo lavoro furono certi intagli in legno, che "ben presto ottennero grido e spaccio in Piemonte" (De Lama). Vivo desiderio di gloria e consapevolezza della propria capacità gli fecero prendere a 18 anni la via di Roma, dove viveva un suo zio sacerdote (febbraio 1758). Non ottenne da questo la sperata assistenza; ma in una visita che fece alla celebre stamperia di Propaganda ebbe la ventura di conoscervi l'abate Costantino Ruggeri, soprintendente, che subito ne intuì l'ingegno e lo invitò a entrare nella tipografia come compositore. Presentato al dotto card. Spinelli, prefetto di Propaganda, e consigliato a frequentare la Sapienza per apprendere gli elementi di alcune lingue orientali, in breve tempo fu in grado di applicarsi alla stampa del manuale arabo-copto del padre Giorgi. Poco dopo ricevette dall'abate Ruggeri il delicato incarico di ripulire e riordinare i vecchi punzoni di certi caratteri orientali, che da molti anni giacevano confusi, guasti e quasi inservibili.
Compì con amore e con pazienza il non facile lavoro, e forse in quell'occagione nacque in lui la prima idea d'incidere e fondere caratteri. Cominciò sotto la guida di un mediocre incisore, il tedesco Bernardo Berger, e, dopo varî tentativi, riuscì a intagliare con precisione il punzone di un fregio. Da quel giorno non depose più il cesello. Morto tragicamente il suo primo protettore, l'abate Ruggeri (1762), non gli venne meno la benevolenza del card. Spinelli, alla quale si aggiunse l'affetto paterno del bibliotecario del cardinale, il piemontese padre Paolo Maria Paciaudi, che doveva divenire più tardi efficace strumento della sua nuova e maggiore fortuna. Continuava intanto a lavorare con entusiasmo nella stamperia di Propaganda, e in breve giunse a mettere insieme alcuni alfabeti interi. Ma nel 1766, mosso da quello stesso desiderio di gloria che otto anni prima gli aveva fatto abbandonare Saluzzo e dalla speranza di un migliore avvenire, decise di lasciare Roma per recarsi in Inghilterra. Colto però da una forte febbre terzana a Saluzzo, dove erasi fermato per salutare i parenti e gli amici, dovette interrompere il viaggio, del quale poi depose del tutto il pensiero. Riprese a incidere e a gettare caratteri; un saggio che ne diede nel 1767, stampando un sonetto per la festa di Cristo risorto, gli valse parecchie ordinazioni da tipografi piemontesi e contribuì a divulgare la sua fama. Intanto il Paciaudi, divenuto bibliotecario del duca di Parma e consigliere del ministro Du Tillot, a questo, che cercava un valente tipografo che fondasse e dirigesse in Parma la Stamperia reale, suggerì il nome del B., di cui ben conosceva l'ingegno e il valore. Il B. accolse lietamente l'invito e giunse il 24 marzo 1768 a Parma, dove rimase quasi ininterrottamente fino alla morte, tutto dedito all'arte sua, incurante degli sconvolgimenti politici, benvoluto e onorato dal duca prima e dai Francesi poi, stimato e amato dai Parmensi, che gli diedero la cittadinanza, gli donarono una medaglia d'oro e lo nominarono maire adjoint della comunità. Nel 1791 sposò (19 marzo) la parmense Paola Margherita dall'Aglio, che gli fu compagna fedele e amorosa, ma non gli diede figli. Nello stesso anno ottenne dal duca il permesso di aprire, accanto a quella regia, una sua privata stamperia, alla quale dedicò da allora le sue cure particolari. Nel 1806 partecipò, con 14 delle sue edizioni, all'esposizione dell'industria nazionale a Parigi e ne riportò, premio ambitissimo, la medaglia d'oro. Invitato più volte e con larghe promesse a trasferirsi in città maggiori, a Roma dal ministro di Spagna, cav. d'Azara, a Milano dal governatore austriaco conte Firmian prima e dal viceré Eugenio poi (e a Madrid lo desiderava il re di Spagna e a Napoli la regina Maria Carolina), sempre rifiutò di abbandonare la città che considerava sua seconda patria. Negli ultimi anni lo tormentarono la podagra e la sordità. Ma con più ardore ritornava, dopo gli obbligati riposi, al, suo lavoro, ansioso di condurre a termine quel Manuale tipografico, che era in cima dei suoi pensieri, ma che non ebbe la gioia di vedere compiuto. Morì il 30 novembre 1813. Le esequie furono celebrate con solenne pompa nella cattedrale di Parma, dove la vedova gli fece erigere un monumento.
Pochi uomini ottennero in vita lodi e onori pari ai suoi. I papi Pio VI e Pio VII gl'inviarono brevi elogiativi e ricchi doni; il re di Spagna Carlo III gli concesse il titolo di tipografo di S. M. Cattolica (1782) e il successore Carlo IV gli assegnò una pensione (1793); una pensione gli decretò pure Napoleone I (1810) e lo decorò dell'ordine della Réunion (1812). Re, duchi, principi lo accoglievano nei loro palazzi e ne visitavano l'officina al loro passaggio per Parma. Nella sua ricchissima corrispondenza (che si conserva, insieme con i punzoni e le matrici originali, nella Biblioteca Palatina di Parma) s'incontrano i nomi di parecchi tra i più illustri uomini del tempo, ministri e generali, scienziati ed eruditi, letterati e bibliografi, tutti a lui larghi di entusiastiche lodi. Lavoratore indefesso, artista incontentabile, tutta la vita dedicò al perfezionamento della sua arte. Duplice arte: di fonditore di caratteri e di tipografo; in entrambe - esempio piuttosto unico che raro - del pari eccellente. Ma maggiore fu il suo merito nella prima, perché "i caratteri incisi e fusi nell'officina parmense ebbero, fin dalla loro origine, notevole influenza sulla produzione delle fonderie, influenza che ancora non cessa a' dì nostri", mentre "la forma tipografica bodoniana sopravvisse di poco al suo creatore" (Bertieri). Cominciò la sua carriera di stampatore nel 1768, usando i caratteri del Fournier, ma subito s'accinse a gettarne de' suoi, dandone un primo saggio tre anni dopo (1771). Da questo primo saggio, attraverso il Manuale tipografico del 1788, che gli valse l'elogio di Beniamino Franklin, a quello del 1818, che è il suo testamento artistico, il progresso è meraviglioso. Non sembra possibile fare di più e di meglio. Come tipografo gli mancò il concetto esatto dell'efficacia che la stampa poteva avere nella società (Barbèra); fu un aristocratico nella sua arte, "tipografo dei re", come non senza ragione fu chiamato (Mantovani). Preferì i grandi formati accessibili ai pochi, e troppo spesso, accanto alle opere dei classici, stampò scritti di occasione di nessun valore, quei magnifiques riens, di cui lo rimproverava il competentissimo giudice francese e suo sincero ammiratore, Antonio Agostino Renouard. E come editore fu lontano dalla perfezione, anche se esagerate debbano considerarsi le critiche del celebre suo rivale parigino, il Didot. Ma la maggior parte delle sue edizioni rimangono insuperati modelli di bellezza e di eleganza. Tali, per es., per non ricordare che alcune delle più generalmente ammirate, gli Epithalamia (1775), il Longo (1786), l'Aminta (1789 e 1793), l'Anacreonte in-16° (1791), l'Orazio (1791), la Gerusalemme liberata (1794), l'Oratio dominica in CLV linguas versa et exoticis characteribus plerumque expressa (1806), l'Iliade (1808), il Fénélon (1812), il Manuale tipografico, uscito postumo per cura della vedova (1818). All'entusiasmo per la sua arte, al gusto squisito, accoppiava un'abilità tecnica rara, una diligenza scrupolosa, sicché impeccabile era l'esecuzione. Oltre alla precisione e alla nitidezza dei tipi curava la scelta delle carte e degl'inchiostri, la perfezione del registro. E la vera bellezza otteneva con la massima semplicità. Se non gli si può riconoscere oggi il titolo, che altri gli diede, di "legislatore del libro", nessuno gli nega quello di perfetto "esecutore" come punzonista e come tipografo.
Bibl.: [V. Passerini], Memorie aneddote per servire un giorno alla vita del Signor Giambattista Bodoni, tipografo di S. M. Cattolica e direttore del parmense Tipografeo, Parma 1804; [G. De Lama], Vita del cavalier Giambattista Bodoni e catalogo cronologico delle sue edizioni, Parma 1816, voll. 2; I. Bernardi, Vita di Giambattista Bodoni, Saluzzo 1872; G. B. Bodoni, La prefazione al Manuale tipografico, seguita da una dissertazione di Giuseppe Chiantore, edite per cura di Salvatore Landi, Firenze 1874. Numerose pubblicazioni sul Bodoni videro la luce in occasione del primo centenario della morte (1913); tutte o quasi tutte sono ricordate nella Rassegna bibliografica bodoniana, di G. Drei, in Archivio storico italiano, LXXII (1914), ii, pp. 210-219. Ricordiamo le più notevoli: R. Bertieri, l'arte di Giambattista Bodoni (con una notizia biografica di G. Fumagalli), Milano [1913], con tav.; P. Barbèra, Gio. Batt. Bodoni, Genova 1913; U. Benassi, Il tipografo Giambattista Bodoni e i suoi allievi punzonisti (Gli Amoretti di S. Pancrazio Parmense), in Archivio storico per le provincie parmensi, n. s., XIII; A. Boselli, Il carteggio bodoniano della Palatina di Parma, ibid.; D. Mantovani, Il re dei tipografi, tipografo dei re (G. B. Bodoni, 1740-1813), in La Lettura, XIII; G. Lombardi, Giambattista Bodoni nel primio centenario della sua morte, in Aurea Parma, II; R. Chierici, Giambattista Bodoni (1740-1813). Studio storico-biografico, Parma 1913. Fra le pubblicazioni più recenti: Nelson Lekime, G. B. Bodoni et la Stamperia Ducale de Parme, Bruxelles 1915; R. Gering, Giambattista Bodoni, célèbre imprimeur italien (1740-1813), in Catalogue, n. 396, Basilea [1923], con tav.; G. B. Bodoni, Briefe an Antoine Augustin Renouard herausgegeben von Moriz Sondheim, Francoforte s. M. 1924; K. J. Lüthi, Die Buchkunst Bodonis, in Die Bücherstube, III (1924), n. 3-4; G. B. Bodoni, Preface to the "Manuale tipografico" of 1818 now first translated into english with an introduction by H. V. Marrot, Londra 1925; R. Hadl, Druckwerke des Giambattista Bodoni und der Parmenser Staatsdruckerei, Lipsia 1926; Giambattista Bodoni. Opera typographica MDCCLXIX-MDCCCXXXIX, Monaco 1926; A. Boselli, Corrispondenza di Antonio Agostino Renouard con Giambattista Bodoni, in la Bibliofilia, XXVIII (1926-27), p. 241 segg.; XXIX (1927-28), pp. 37 segg., 93 segg., 313 segg., XXXII (1930), p. 33 segg. (ancora in cont.); H. C. Brooks, Compendiosa bibliografia di edizioni bodoniane, Firenze 1927, con tav.; id., Saggio di caratteri di Giamb. B. sinora non pubblicati, Firenze 1929.