FRANCHI (De Franchi), Giambattista de'
Vissuto a Genova all'incirca tra il 1470 e il 1540, primogenito di Domenico, appartenne al ramo dei Cocarello, una famiglia di estrazione mercantile e "popolare" entrata a far parte dell'"albergo" De Franchi nel 1415.
Noti commercianti e padroni di navi di livello sociale relativamente modesto, nel sec. XV i Franchi cominciarono a percorrere anche carriere culturali e politiche di un certo prestigio; le vicende del 1506-1507, con la rivendicazione dei due terzi delle cariche pubbliche ai "popolari", consentirono poi l'ascesa della famiglia.
Il F., legato agli uomini più rappresentativi del clan dei Fregoso, e in particolare a Ottaviano, ebbe fin dall'inizio parte attiva nel governo popolare quale rappresentante della fazione dei mercanti, il "popolo grasso", e - nel luglio 1506 - venne nominato priore del nuovo Collegio degli anziani che cercò di garantire l'ordine pubblico offrendosi sia agli eccessi rivoluzionari dei Sestresi e dei Polceveraschi calati in città, sia alle provocazioni aristocratiche, dei Fieschi in ispecie. La funzione mediatrice del F., anche se ufficialmente partigiano dei Fregoso, si esplicò anche nei critici mesi successivi: nella pubblica assemblea del 20 dic. 1506, convocata per decidere la sostituzione dei cancellieri di palazzo (tutti della fazione Adorno, come quelli di S. Giorgio), il F. venne nominato tra i quattro rappresentanti di parte Fregoso (con B. Giamboni, G. di Terrile e A. De Ferrari) da affiancare ai quattro di parte Adorno (B. Giustiniani, A. di Promontorio, S. Morando e L. Merello) nella commissione che doveva procedere alle nuove nomine. Sotto la pressione dell'attacco francese sferrato nel febbraio-marzo 1507, il F. si impegnò anche nell'attività diplomatica, in quel momento decisamente rischiosa, come la cattura di ambasciatori genovesi da parte francese aveva dimostrato.
Per protestare contro la minaccia militare e ribadire la propria fedeltà alla Francia, il governo popolare aveva deciso fin dal 30 gennaio di rivolgersi direttamente al luogotenente generale di Luigi XII, il cardinale G. d'Amboise e di inviare perciò a Milano un'ambasceria, composta dal F., da L. Pichenotto, da Giuseppe di Dernisio e dal giurista G.B. Lazagna. Ma l'ambasceria si risolse in un grottesco insuccesso: dapprima fu procrastinata dal governo genovese in attesa del benestare papale, poi ritardata dalle autorità francesi in Genova, infine interrotta a Ressavalle per timore dell'editto appena emanato contro persone e beni genovesi in Lombardia. Il F. e colleghi, attaccati sul posto dai nobili genovesi, allora ritirati nei loro feudi oltrappenninici, furono costretti, il 7 marzo, a rientrare a Genova.
Il 28 febbraio, poco prima della partenza dell'ambasceria, mentre cresceva la protesta popolare e giungevano drammatiche notizie circa la spedizione su Monaco, il F. era stato nominato tra i nuovi dodici seniori popolari. Tra questi, mentre alcuni restarono compromessi, nel successivo aprile, dalla partecipazione al dogato popolare di Paolo da Novi (e D. Giustiniani sarà addirittura giustiziato alla presenza di Luigi XII), il F. riuscì a tenersi in disparte, così da potersi ripresentare, dopo la repressione del governo popolare e il ritorno dei Francesi, quale mediatore equilibrato e affidabile anche per il nuovo governo. Il giorno successivo alla cattura di Paolo da Novi, il 2 giugno 1507, il F. e Giovanni De Marini furono inviati ambasciatori presso il re di Francia a Milano, con l'incarico di protestare contro le distruzioni operate dall'esercito francese, di chiedere l'indennizzo dei cittadini e degli armatori danneggiati, nonché di aprire trattative commerciali con il duca di Savoia e ottenere la rimozione di Giovanni Doria dall'illegittimo governo di Albenga.
Dalle lettere del F. e del collega da Milano e da Asti, tra il 17 giugno e l'11 luglio 1507, risulta il successo solo parziale dell'iniziativa: nulla potendo contro il Doria, del cui appoggio la Francia intendeva avvalersi, mentre il De Marini ritornava a Milano restandovi fino al novembre 1509 per curare la questione commerciale col Piemonte, il F. rientrava a Genova, probabilmente a riorganizzare con i fratelli la propria attività commerciale, che il riavvicinamento tra Francia e Spagna faceva sperare più fruttuosa.
Ma il capovolgimento di fronte di Giulio II portava di nuovo a Genova lotte faziose e turbinosi dogati, fino al giugno 1513, quando il potere venne assunto da Ottaviano Fregoso, ideatore di un vasto progetto pacificatore e riformatore. Con lui il F. rientrò nella politica attiva, come componente del primo ufficio di Balia, eletto contestualmente al doge il 17 giugno. Ma già prima che il progetto del Fregoso naufragasse, nel 1522, di fronte all'offensiva della lega ispano-pontificia (non senza, peraltro, lasciare fruttuose indicazioni alla riforma doriana del 1528), il F. era passato a funzioni più tecniche: eletto padre del Comune, tra il luglio e il settembre 1513 fece ripulire il porto e approfondirne il pescaggio, per consentire in posizione più sicura e comoda l'attracco alle grandi navi. Il suo impegno per una efficiente politica economico-marittima era anche legato agli interessi della ditta familiare, attiva nei vari porti del Mediterraneo e del Nord, ai quali si dedicò rinunziando all'impegno politico, negli anni successivi. In particolare, dopo il sacco di Genova del 1522, il F. dovette trasferirsi a Palermo, dove risiedeva ancora nel 1535, curando anche gli interessi di A. Pinelli e di L. Spinola, mentre il fratello Pietro operava sulla piazza di Bruges almeno dal 1521 e gli altri due fratelli, Gerolamo e Stefano, erano attivi su quella di Lione tra il 1528 e il 1531.
Comunque, anche se trasferiti nelle loro sedi commerciali, il F. e i fratelli mantennero i loro legami con la madrepatria: infatti, nel 1528, con la costituzione dei nuovi "alberghi" della nobiltà voluti dalla riforma doriana, il F. e i fratelli Stefano, Agostino e Pietro furono tra i sessanta componenti confluiti nell'"albergo" De Franchi; con loro peraltro si estingueva questo ramo della famiglia.
Il F. morì probabilmente a Palermo intorno al 1540.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. storico del Comune, Fondo Brignole-Sale, mss. 109 C 5, c. 111 rv; 105 C 8: Institutio albergo De Franchi; B. Senarega, Commentarii, a cura di E. Pandiani, in Rerum Ital. Script., 2ª ed., XXIV, ad Ind.; L. Della Cella, Famiglie di Genova, II, Genova 1782, c. 289; J. D'Auton, Chroniques…, III, Paris 1835, p. 280; G. Calligaris, Carlo di Savoia e i torbidi genovesi del 1506-07, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXIII (1890), II, pp. 667 ss.; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (1506-07), ibid., XXXVII (1905), pp. 282 ss.; F. Podestà, Il porto di Genova, Genova 1913, pp. 234 s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Rep. di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 135; D. Gioffré, Gênes et les foires de change, Paris 1960, p. 244; G. Guelfi Camajani, Il "Liber nobilitatis Genuensis", Firenze 1965, p. 200.