FOLENGO, Giambattista
Si ritiene che sia nato a Mantova nel 1490. Il padre Federico era un notaio e discendeva da famiglia nobile, ma decaduta. La madre, Paola Ghisi, apparteneva a una famiglia originaria di Parma. Il F. ebbe otto fratelli, dei quali ben sei furono avviati alla vita ecclesiastica e due rimasero allo stato laicale.
Nel 1506 il F. entrò nel monastero di S. Benedetto di Polirone, a sud di Mantova, e nel 1507 vi emise la professione solenne. In seguito si allontanò, forse per compiere studi letterari e filologici a Padova; ritornò quindi a S. Benedetto di Polirone.
Nel 1515 il F. aiutò il fratello Ludovico nell'amministrazione di S. Benedetto di Polirone, ma nell'autunno di quell'anno si trasferì nel monastero ligure di S. Giacomo della Cervara, dove ebbe occasione di ritrovare Gregorio Cortese - conosciuto nel 1507 - il quale lo presentò a Ottavio Fregoso, doge di Genova, che il F. frequentò con una certa assiduità. La documentazione di questo periodo è molto scarsa; sembra comunque che il F. non sia rientrato a S. Benedetto di Polirone prima del 1519.
Nel frattempo il marchese di Mantova Francesco Gonzaga aveva tentato di far avere quel monastero al figlio Ercole, ma alcuni monaci, tra i quali il fratello del F. Ludovico, cellerario, avevano reagito con decisione. Alla fine la manovra dei Gonzaga fallì, ma lo scontro sancì la spaccatura della comunità monastica.
Su questa prima divisione si innestò dopo il 1520 il conflitto politico-teologico tra due schieramenti, capitanati da Giovanni Comer e da Ignazio Squarcialupi, fiorentino e protetto dei papi medicci. La lotta fu accanita e i Folengo si schierarono col Comer. Questi morì, vinse lo Squarcialupi e per i tre fratelli gli anni successivi furono difficili.
Seguì un periodo di vagabondaggi, su cui molte sono le incertezze, e durante il quale si pensa che, dopo essersi fermato nel monastero di Cervara, il F. abbia abbandonato l'Ordine e abbia poi esercitato attività mercatorie, aiutato da amici genovesi. Dagli studi di E. Fumagalli (il quale riassume anche le ricerche di I. Menegazzo) si apprende invece della presenza del F. nei monasteri di Parma (S. Giovanni Evangelista) e Torrechiara tra il 1522 e il 1525. A Parma il F. ebbe compiti di cellerario e si occupò di contratti con gli artisti, attività che gli permise di conoscere e frequentare il Correggio. In seguito si mosse tra Venezia, Genova, Reggio, Mantova e ancora Venezia. Uno scambio di lettere con Isidoro Cucchi da Chiari testimonia l'abbattimento del F. per la morte della madre (1527) e del padre (1528). L'emarginazione dall'Ordine benedettino non era, però, destinata a durare. La morte nel 1526 del fratello Ludovico e dello Squarcialupi aveva già ridotto i motivi di contesa. Inoltre ben presto il F. e Teofilo ottennero la protezione di Federico Gonzaga e Gregorio Cortese.
Alla fine del decennio 1520-30 il F. sarebbe rientrato a Mantova, per poi recarsi a Roma nei primi mesi del 1530 quando i superiori dell'Ordine benedettino richiesero al F. e al fratello Teofilo tre anni di vita eremitica quale condizione per essere riammessi in monastero. In realtà nel 1529 il F. risulta occupare un posto di rilievo nel monastero parmense. Mosse poi alla volta di Spoleto, dove sostò per qualche giorno, e quindi si recò al monte Conero, vicino ad Ancona, in attesa di Teofilo.
Insieme decisero di trasferirsi nella penisola sorrentina, a Punta della Campanella, e ivi rimasero sino al 1534. Non sono molto chiari i motivi della fuga da monte Conero: nei Pomiliones il F. scrisse di troppa confusione, ma anche di furti e tensioni. È stata messa in dubbio anche la cronologia dell'abbandono di monte Conero: alcuni studi suggeriscono che i due fratelli non si mossero insieme e che il F. fece tappa a Tossicia, ai piedi del Gran Sasso, dove fu ospite di Ferrante de Alarcon, condottiero di Carlo V. La tradizione sostiene che il F. abbia frequentato gli eremiti della zona e abbia approfondito gli studi sacri e l'ebraico, ma è certo che Teofilo conobbe a Ischia Scipione Capece, dal quale fu introdotto nei circoli letterari campani. Ora il F. non si sottrasse agli incontri promossi dal fratello e assieme a questo fece la conoscenza di Vittoria Colonna.
Agli inizi del 1534 il F. si recò di nuovo a Roma e quindi a Rimini nel mese di maggio. In seguito si spostò a Venezia, dove si riuni con Teofilo e pubblicò i Dialogi, quos Pomiliones vocat. A Venezia i due fratelli frequentarono il monastero benedettino di S. Giorgio Maggiore, dove era abate il Cortese e dove con tutta probabilità incontrarono Gian Pietro Carafa e Reginald Pole.
Nel frattempo i due erano stati ufficialmente riammessi nella loro Congregazione benedettina. Il F. ritornò allora brevemente a S. Benedetto di Polirone, ma poi decise di ritirarsi per proseguire gli studi teologici. Nel 1538-39 risiedette quindi nel piccolo convento di Campese, che dipendeva da S. Benedetto, e quindi passò nel priorato di S. Maria dell'Albaneta, che dipendeva da Monte Cassino. Ivi attese alla formazione spirituale dei giovani monaci, ma soprattutto compose e dette alle stampe i suoi In omnes psalmos Davidis commentaria, apparsi a Basilea nel 1540 e quindi ripubblicati a Padova nel 1542.
La prima edizione dell'opera era dedicata a Camillo Orsini, molto legato a Teofilo; la seconda a Ercole Gonzaga, amico personale del F. e dei Pole. La sua posizione fu consolidata dalla pubblicazione dei Commentaria in omnes canonicas epistolas et in primam d. Ioannis, apparsa a Venezia nel 1546 e dedicata al Pole. Questo commento fu percepito in chiave strettamente antiprotestante e gli fruttò un certo credito a Roma. Di questo si avvalsero gli amici romani e quelli genovesi, quando lo fecero nominare abate di S. Maria della Cisterna di Pera di Costantinopoli, che dipendeva da S. Girolamo della Cervara. Non si conosce la data esatta di nomina, ma alcuni documenti - rintracciati da G. Billanovich - mostrano come il F. fosse ancora abate nel 1555. In ogni caso egli non si recò mai nell'abbazia, che fu amministrata da un procuratore, e continuò a scrivere.
Negli intervalli delle sue fatiche il F. si recava a S. Benedetto di Polirone, dove si fermò dal giugno 1547 al giugno 1548 e dove ritornò nei primi mesi del 1551. Aveva ormai una certa età e godeva di notevole fama, ma non aveva ancora terminato di servire il suo Ordine. Nel 1555 il Carafa ascese al soglio pontificio con il nome di Paolo IV. Il F. fu allora invitato a Roma e l'8 novembre dello stesso anno fu incaricato di riformare i benedettini spagnoli della Congregazione di Valladolid.
Non si hanno documenti relativi al viaggio in Spagna, dove forse si recò soltanto nel 1556, e un altro mistero nasce da una lettera del Pole, che dichiarava di attenderlo in Inghilterra nel 1557, al ritorno dalla Spagna. Un viaggio inglese è molto improbabile, tuttavia non si sa quando e da dove il F. sia rientrato a Roma. Ancora Billanovich ha provato che, però, il F. era sicuramente a S. Benedetto di Polirone il 1° luglio 1559. Con tutta probabilità morì quindi nel suo monastero il 5 ott. 1559, anche se un'inveterata tradizione tende a collocare a Roma la sua morte. Non mancano d'altronde altre indicazioni di luoghi di morte, a partire dal monastero di S. Giustina. suggerito da J. François.
Nel 1555 uscirono a Lione i suoi ultimi scritti, In canonicas apostolorum epistolas con i quali ancora una volta il F. si poneva sul versante estremo dell'ortodossia romana e autorizzava una lettura delle sue opere non scevra di aperture verso la Riforma. Quest'interpretazione appare rafforzata anche dalle critiche che furono rivolte, dopo la sua morte, al già citato commento ai Salmi, pubblicato a Basilea. La fama dell'autore era comunque tale che si provvide a mettere all'Indice soltanto quell'edizione e a pubblicare a Roma una versione purgata: In omnes Davidicos psalmos doctissima ac plane divina commentaria (Roma, B. Bonfadini, 1585).
Per almeno due secoli il F. fu dunque letto ed ebbe fortuna quale promotore della Controriforma, nonostante alcuni protestanti ne citassero con favore le opere. Una migliore valutazione del ruolo e delle scelte del F. è in ogni caso difficile a causa della scarsa conoscenza della sua biografia, spesso ricostruita soltanto a partire da quanto egli stesso scrisse.
Opere: Dialogi, quos Pomiliones vocat, "in promontorio Minervae" 1533 (ma Venezia 1535); In omnes psalmos Davidis commentaria, Basileae, per M. Isingrinium 1540; Commentario in omnes canonicas epistolas et in primam d. Ioannis, Venetiis, apud Aldi filios, 1546; In canonicas apostolorum epistolas... commentarii, Lugduni, apud S. Gruphium, 1555.
Fonti e Bibl.: I. Cucchi, Epistulae ad amicos, Modenae 1705, pp. 14-16, 43, 56; R. Pole, Epistolae, V, Brixiae 1757, p. 347; J. Mabillon, Acta sanctorum Ordinis S. Benedicti, VIII, Venetiis 1734, pp. 133 s.; M. Armellini, Bibliotheca Benedictino-Cassinense, II, Assisii 1731, pp. 23-27; M. Ziegelbauer, Historia rei literaricae Ordinis S. Benedicti, II, Augustae Vindelicorum 1754, p. 54; J. François, Bibliothèque générale des écrivains de l'Ordre de St-Benoit, I, Bouillon 1777, p. 332; L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, III, Milano 1793, p. 410; G. Billanovich, Per una revisione del mito di Teofilo Folengo, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XCVI (1936-37), pp. 775-796; Id., Un nuovo Folengo: conclusione del mito di Merlin Cocai, ibid., XCVII (1937-38), pp. 365-481; Id., Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocai, Napoli 1948; C.F. Goffis, L'eterodossia dei fratelli Folengo, Genova 1950; E. Menegazzo, Contributo alla biografia di Teofilo Folengo (1512-1520), in Italia medievale e umanistica, II (1959), pp. 367-408; C.F. Goffis, Per la biogrqfla dei Folengo, in Rinascimento, XI 1960), pp. 193-206; P.A. Vaccari, IV Centenario d'un nobile esegeta italiano: G.R …, in Rivista biblica, VIII (1960), pp. 49-68; R. Signorini, Un nuovo contributo alla biografia di Teofilo Folengo, in Cultura letteraria e tradizione popolare in Teofilo Folengo, a cura di E. Bonora - M. Chiesa, Milano 1979, pp. 371-400; E. Facciolì, Nota bio-bibliografica, in T. Folengo, Baldus, Torino 1989, ad Indicem; E. Fumagalli, Nuovi documenti folenghiani, in Teofilo Folengo nel quinto centenario della nascita (1491-1991), Atti del Convegno... 1991, a cura di G. Bernardi Perini - C. Marangoni, Firenze 1993, pp. 183-191; G. Billanovich, G. B. F. riformatore della Congregazione benedettina di Valladolid, ibid., pp. 303-312.