GELLI, Giambattista
Scrittore e moralista fiorentino nato il 12 agosto 1498, morto il 24 luglio 1563. Figlio d'un vinaio, umile calzaiolo egli stesso, senza abbandonare il mestiere che gli dava da vivere, a 25 anni si pose a studiare il latino e si tuffò poi sempre più negli studî filosofici e letterarî, menando vita quasi costantemente privata, per prendere parte solo all'attività delle accademie che in Firenze conservarono a lungo uno spirito democratico e antipedantesco, specie a quella dell'Accademia Fiorentina, di cui fu uno dei fondatori, il primo pubblico lettore nel 1541, il lettore ufficiale di Dante dal 1553 al 1563 e il 15° arciconsolo (1548).
Nel decennio che va dal 1540 al 1550 il G. scrisse e lasciò pubblicare le sue opere principali: I capricci di Giusto bottaio (7 ragionamenti nel 1546; tutti e 10 nel 1548) e La Circe (1549): "operette morali" dialogate, nella prima delle quali la saggia anima di Giusto bottaio discorre con quel semplice e terreno uomo che egli tendeva a essere naturalmente, rinnovando, con ciò, e sia pure in più sapienti modi, il medievale contrasto dell'anima e del corpo; mentre La Circe, prendendo le mosse da un'invenzione di Plutarco, e forse da altra del Machiavelli, pone in scena undici uomini fatti animali dalla maga, dieci dei quali rifiutano da Ulisse il dono di riumanizzarsi, perché la vita animale appare loro più felice dell'umana, e l'undicesimo vi consente soltanto perché, filosofo in vita, aveva cercato la sua pace nella ricerca della divina verità. Medioevo e Rinascimento, erudizione e vita contemporanea, pessimismo lucreziano e ottimismo aristotelico, Ermete Trismegisto e San Tomaso, Cicerone e Dante - la gran passione, questo, del G. - recano del pari il loro contributo a questo divulgatore entusiasta, che sa fondere in sé coerentemente e, soprattutto, esprimere, attraverso sue capricciose invenzioni, tale eclettico mondo con spontaneità arguta, con pacatezza convinta, con uno stile aderente alle cose, lucido, trasparente, con una soavità e una pastosità ignote al secolo latineggiante o scapigliato. Onde fra gli umanisti che non rinnegarono il popolo e il linguaggio volgare, e pur in fatto di religione perseguirono una più stretta aderenza ai movimenti spirituali del tempo (ammiratore del Savonarola, sospettato a torto di luteranesimo, e posto all'Indice per i Capricci nel 1562, egli è sostanzialmente un anello fra Umanesimo e Controriforma), il G. ci appare l'artista, se non il pensatore, più spontaneo, equilibrato e sereno. Alcune saporose traduzioni dal latino e, attraverso il latino, dal greco (da Euripide al Trismegisto), qualche trattatello di vario soggetto (come quello Sopra le difficoltà di ordinare la lingua, 1551), le lezioni su Dante e sul Petrarca attestano la sua fede nella volgarizzazione del sapere, nell'intellettualismo aristotelico e nelle virtù della lingua fiorentina. Di scarso valore due commedie, qualche rima e uno strano trattatello sulle origini di Firenze.
Ediz.: Opere complete, Firenze 1855, a cura di A. Galli, con un'importante biografia. Per le due opere maggiori si vedano le buone edizioni commentate di S. Ferrari, Firenze 1897, e di A. Ugolini, Milano 1900. Per i Capricci cfr. l'ediz. di U. Fresco, Udine 1906 (cfr. Giorn. stor. della lett. it., L, p. 208 segg.). Le Lezioni sul Petrarca e le Letture edite e inedite sopra la Commedia di Dante furono pubblicate compiutamente da C. Negroni, rispettivamente, Bologna 1884 e Firenze 1887 (voll. 2); poche Vite d'artisti fiorentini da G. Mancini, in Arch. stor. ital., s. 5ª, X.
Bibl.: A. Ugolini, Le opere di G. B. G., Pisa 1898; C. Bonardi, G. B. G. e le sue opere: I, La Circe, Città di Castello 1899; e i volumi citati di A. Galli e del Fresco.