NANI, Giambattista (in religione Giovanni). – Discendente da nobile famiglia veneziana del ramo di S. Trovaso, nacque a Venezia il 28 febbraio 1727, figlio del «senatore amplissimo» (Memorie, 1821, p. 16)
Antonio e di Lucrezia Lombardo, e fratello di Bernardo, Alvise e Giacomo.
Fu battezzato l’8 maggio 1729 col nome di Giambattista nella chiesa di S. Trovaso (contrazione veneziana dei Ss. Gervasio e Protasio) situata nel campiello omonimo. Dopo gli studi superiori, si trasferì all’Università di Padova per dedicarsi a quelli giuridici, che però concluse, addottorandosi in utroque iure, solo il 17 giugno 1767. Compì il normale cursus honorum degli aristocratici del suo rango ricoprendo varie magistrature fino a far parte del Maggior Consiglio della Repubblica, ma a 33 anni abbandonò la carriera politica per quella ecclesiastica. Chierico dal 27 luglio 1755, ricevette gli ordini minori il 20 settembre dello stesso anno e fu ordinato sacerdote il 27 marzo 1762. Trascorse il primo quinquennio presso la sua parrocchia d’origine di S. Trovaso, al servizio della catechesi ai fanciulli e delle opere caritativo-assistenziali.
Nominato vescovo di Torcello il 12 giugno 1767 ed eletto nei comizi del Senato veneto il 10 luglio seguente come successore di Marco Giuseppe Cornaro, venne ordinato a Roma il 26 luglio da Clemente XIII, entrando in diocesi la prima domenica di Avvento. Restaurò e riaprì il seminario sostituendo gli scolopi con personale secolare, riattivò le congregazioni dei casi morali e quelle mensili, si impegnò nella visita pastorale, nell’azione caritativa e nell’insegnamento anche diretto della dottrina cristiana; affrontò alcune controversie giurisdizionali con il patriarca Giovanni Bragadin in merito al diritto spirituale di questi sul seminario di S. Cipriano di Murano.
La buona prova data nella sede lagunare indusse Clemente XIV a trasferirlo a Brescia con il breve del 19 aprile 1773. La notizia della nomina giunse in diocesi già il 2 aprile, ma ne prese possesso solo il 26 maggio tramite la procura del canonico e vicario generale Giacomo Soncini, entrandovi un mese dopo, il 26 giugno. Succedendo a Giovanni Molin, raccolse un’eredità ecclesiale cospicua e complessa, sia per la vastità della diocesi e il gran numero di chiese e sacerdoti, sia per le aspre tensioni che minacciavano di lacerare il clero secolare. Il 12 ottobre 1773 attuò la soppressione della Compagnia di Gesù, voluta da Clemente XIV e decretata il 29 settembre dal Senato veneto, recandosi con il podestà Niccolò Contarini presso le case cittadine di S. Maria delle Grazie e di S. Antonio di Vienne: i collegi vennero chiusi e i beni dell’ordine incamerati dalla Serenissima, mentre le scuole passarono sotto la responsabilità del Comune.
Come a Torcello, anche a Brescia la prima preoccupazione di Nani fu per la formazione del clero: si interessò del seminario cittadino e di quelli locali di Salò e di Lovere, aiutò anche materialmente i chierici migliori e più bisognosi, istituì due nuove cattedre, quella di diritto e quella di teologia morale per confessori e chierici. Investito del titolo di duca di Valle Camonica, nella nuova e più vasta diocesi non smentì le sue doti pastorali: intraprese la visita pastorale (1777-93), che, pur condotta in tempi diversi, lo portò a conoscere direttamente 171 parrocchie, di cui solo 4 cittadine; visitò e riformò i monasteri femminili; promosse le missioni al popolo e l’istruzione catechistica, disponendo che, ogni domenica, alla Loggia di Brescia si tenesse un incontro sotto forma di dialogo per coinvolgere il maggior numero di fedeli.
Nel corso delle visite, Nani presenziò in più occasioni agli incontri di dottrina cristiana per controllarne lo svolgimento ortodosso e per compiacersi dei frutti di tale opera: nella chiesa di Bagnolo Mella, durante brevi soggiorni di riposo, tenne personalmente alcune lezioni di catechismo a grandi e piccoli. Nel 1780 e nel 1788, fece ristampare l’Institutionechristiana, testo indirizzato al popolo e risalente all’episcopato di Domenico Bollani. Si preoccupò dell’attività delle confraternite e delle istituzioni caritative destinando parte dei suoi beni personali ai poveri, ai nobili decaduti, alle giovani ‘pericolanti’ e ai preti indigenti; caldeggiò gli esercizi spirituali per i sacerdoti e ogni forma di pietà per i fedeli.
Dalla curia romana non mancarono riconoscimenti del suo zelo, specie riguardo la sua attitudine educativa: a una lettera scritta il 15 novembre 1785 dal cardinale prefetto Tommaso Antici seguì, il 14 agosto 1791, un analogo documento della Congregazione del Concilio e delle Indulgenze, la quale gli riconobbe il merito di aver stroncato l’abuso di ordinazioni illegittime.
Nel corso del suo episcopato, dalla connotazione filogesuitica, conservatrice e di assoluta fedeltà al pontefice, si trovò coinvolto nelle diatribe teologiche del giansenismo bresciano. Le polemiche raggiunsero il culmine negli anni 1780-86 quando Nani, chiamato direttamente in causa, intervenne con due opere: Risposta di un teologo ad un amico sopra il libro del sig. Pietro Tamburini bresciano che ha per titolo Analisi del libro delle prescrizioni di Tertulliano (Bologna 1783); e Breve confronto del libro di Tertulliano De Prescriptionibus con l’analisi fattane a Pavia (Bologna 1784).
In esse venivano attaccate diverse posizioni tamburiniane critiche verso il molinismo e la monarchia pontificia e, soprattutto, la visione ecclesiologica attinta dall’esperienza del giansenismo appellante. La polemica si sviluppò attraverso una ridda di pubblicazioni che investì direttamente i protagonisti: se Tamburini fu accusato d’essere il Lutero d’Italia, Nani fu considerato dai giansenisti un ipocrita o, quanto meno, un opportunista per essersi mostrato fedele al papa mirando alla porpora cardinalizia (così si interpretò anche l’ossequio reso a Pio VI nel 1782, quando, in viaggio verso la corte di Giuseppe II, il papa fece tappa a Verona).
La preoccupazione di proteggere dall’errore il clero e i fedeli determinò la condotta del presule e influenzò molte delle sue scelte: esercitò un attento controllo sulle idee che circolavano nel seminario, nei collegi, nei conventi e nelle parrocchie, proibendo la lettura delle opere dei giansenisti e negando gli ordini sacri ai chierici che si mostravano favorevoli alla tesi tamburiniane.
Verso la fine del decennio la tensione si allentò e gli animi sembrarono distendersi, e ai vecchi interessi se ne aggiunsero di nuovi: nel 1796, con il sopraggiungere delle truppe francesi, si aprì per Nani il decennio indubbiamente più difficile. Quando nella notte tra il 17-18 marzo 1797 si instaurò la Repubblica bresciana di indirizzo giacobino, il vescovo avrebbe pronunciato parole concilianti; anche nei giorni della repressione in Val Sabbia, dopo una violenta accusa al «cittadino vescovo» (Memorie, 1821, p. 77), inviò una lettera ai parroci affinché predicassero la pace ed esponessero «la giusta idea del Governo democratico, che ha per base la Religione di Gesù Cristo e l’interesse della Società» (ibid., p. 75). Ma ben presto si trovò in contrasto con i nuovi reggitori della vita pubblica: il seminario venne soppresso e requisito per usi militari, i chierici furono rimandati in famiglia e le lezioni sospese. Benché ammalato di podagra, Nani si presentò alle autorità richiamandole all’osservanza della religione cattolica, all’unità nella fede e al rispetto della Chiesa. Gli fu ingiunto di riconoscere formalmente il nuovo governo prestando un giuramento di fedeltà, che avrebbe impegnato anche il clero e i fedeli; al suo rifiuto i giacobini fomentarono una serie di disordini che portarono il vescovo, anche per insistenza del vicario generale Francesco Bona, a redigere la lettera pastorale del 4 maggio 1797, dalla quale traspare l’intento di salvaguardare i princìpi religiosi, ma anche di evitare mali peggiori alla popolazione. Per non essersi mostrato arrendevole specie in merito alle questioni dell’elezione civile dei parroci, della soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose, e del matrimonio civile, venne relegato a Milano dal dicembre 1797 al marzo 1798 presso il collegio barnabitico di S. Alessandro.
Tornato a Brescia in aprile, in maggio fu obbligato a esulare a Venezia con un provvedimento del direttorio della Cisalpina. Prima di partire trasmise ogni facoltà al vicario generale Faustino Rossini, mentre i suoi avversari gli confiscavano tutti gli averi e ponevano sotto sequestro il palazzo episcopale. Si portò prima a Padova e poi a Venezia, dove rimase per un anno, facendo ritorno a Brescia il 2 maggio 1799 alla venuta degli austro-russi. Con il ritorno dei francesi fu costretto a riprendere la via dell’esilio nella primavera del 1800, rifugiandosi ancora a Venezia. Mutati gli orientamenti della politica napoleonica, il 29 giugno pubblicò una lettera pastorale per la pacificazione e, rientrato in sede, incontrò il 2 luglio il generale Louis-Henri Loison celebrando una messa di riconciliazione.
La politica di distensione di Bonaparte consentì a Nani di risolvere a suo favore alcuni contrasti sorti con l’autorità civile, specie sulla disciplina del matrimonio. Per motivi di salute rinunziò a partecipare ai comizi nazionali di Lione per la costituzione della Repubblica Italiana, inviandovi il vicario generale Antonio Caprioli. Non mancò di esprimere le sue preoccupazioni nella relazione ad limina del 30 giugno 1802, affinché fosse garantita ai giovani un’educazione cristiana anche nella scuola pubblica, che invece aveva espunto ogni cenno in proposito.
Il nuovo governo invitò Nani a deporre le insegne vescovili e a servirsi di un’uniforme, una mortificazione che non accettò. Caduto «in tristezza d’animo, e raccogliendosi in una vita d’Orazione» (Memorie, 1821, p. 110), morì a Brescia il 23 ottobre 1804.
Nella cattedrale il vescovo di Cremona Omobono Offredi la sera del 26 ottobre celebrò il funerale e l’indomani le solenni esequie, durante le quali venne letto l’elogio funebre dal canonico Girolamo Padovani, che ne ricordò il tratto riservato, il carattere deciso e la costante carità privata e pubblica. Venne sepolto nella cattedrale nuova all’altare dell’Angelo Custode e sulla tomba venne posta un’epigrafe dettata dal canonico Luigi Luchi. Il suo stemma episcopale era in forma di scudo su sfondo d’argento, con all’interno uno specchio arrotondato trinciato d’oro e di rosso, fregiato da tre foglie di quercia verde.
Alla biblioteca Marciana di Venezia è conservata una collezione di manoscritti orientali, greci e italiani che Nani raccolse assieme al fratello Giacomo.
Fonti e Bibl.: Brescia, Arch. storico diocesano, Visite pastorali, bb. 133-135; ivi, Carte ad annum, bb. 29-36; ivi, Avvisi a stampa, b. 3; Orazione funebre in morte del reverend. monsig. G. N. vescovo di Brescia recitata nella chiesa cattedrale nel giorno 27 ottobre 1804 dal canonico Girolamo Padovani, Brescia 1804, pp. 3-12; Memorie appartenenti alla vita di monsignor G. N. vescovo di Brescia raccolte ed estese dall’abate Genesio veneziano, Venezia 1821; P. Guerrini, Un elogio latino del vescovo G. N., in Brixia Sacra, XVI (1925), pp. 187-190; Hierarchia catholica medii et recentioris aevi sive pontificum s.r.e. cardinalium ecclesiarum antistitum series. VI: A pontificatu Clementis pp. XII, 1730, usque ad pontificatum Pii pp. VI, 1799, a cura di R. Ritzler - P. Sefrin, Padova 1958, pp. 131, 410; A. Cistellini, La vita religiosa nel Settecento, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 177-208; P. Del Negro, Giacomo N. Appunti biografici, in Bollettino del Museo Civico di Padova, LX (1971), in part. pp. 125-127, 134 s.; X. Toscani, Il clero lombardo dall’ancien régime alla restaurazione, Bologna 1979, pp. 45-83; A. Fappani - F. Trovati, I vescovi di Brescia, Brescia 1982, pp. 201-204; C. Cairns, Il dominio veneziano, in Diocesi di Brescia, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1992, pp. 87-92; A. Fappani, N. G., in Enc. bresciana, X, Brescia 1993, pp. 137 s.; P. Stella, Pietro Tamburini nel quadro del giansenismo lombardo, in Pietro Tamburini e il giansenismo lombardo, a cura di P. Corsini - D. Montanari, Brescia 1993, pp. 151-204; G. Scarabelli, L’autobiografia di Pietro Tamburini: identificazione e questioni critiche, ibid., pp. 247-289; P. Vismara Chiappa, Pietro Tamburini, il «caso Moladori» e la questione del matrimonio nel Settecento lombardo, ibid., pp. 331-365; G. Gamba, La transizione episcopale, in 1797 il punto di svolta. Brescia e la Lombardia veneta da Venezia a Vienna (1780-1830), a cura di D. Montanari - S. Onger - M. Pegrari, Brescia 1999, pp. 157-198; P. Stella, Il giansenismo in Italia, Roma 2006, II, pp. 215 s., 223 s., 228 s., 385-388; III, pp. 18 s., 29; G. Scarabelli, Pietro Tamburini a Brescia fra 1797 e il 1799 nella sua Autobiografia, in Brixia sacra, XVI (2011), 1-2, pp. 343-368.