PITTONI, Giambattista
PITTONI, Giambattista (Giovanni Battista). – Nacque a Venezia nella parrocchia di Sant’Agostino il 6 giugno 1687, primogenito di Giovanni Maria, cappellaio, e di Laura Manzoni. Seguirono altri cinque fratelli: sono noti i nomi solamente di quattro di loro (Stefano, Pietro, Anna Maria e Caterina), tutti nati entro il 1705, quando la famiglia al completo è ricordata nel censimento della parrocchia di San Giovanni a Rialto, dove si era trasferita fra il 1689 e il 1693 (Zava Boccazzi, 1979, pp. 103 s.).
Il 10 febbraio 1709 (1708 more veneto) Pittoni sposò Pasqua Milanese dalla quale avrebbe avuto due figli: il primogenito Giovanni Maria (nato il 19 novembre 1710 e morto il 27 dicembre 1714) e Laura, nata il 26 gennaio 1712. Dopo le nozze, la famiglia risiedette sempre nella parrocchia di San Giacomo dell’Orio, dapprima in Calle delle Oche, Corte del Sottoportico; poi, dal 1740, in un’abitazione più grande in Salizada del Specier (Zava Boccazzi, 1979, pp. 104-106; Montecuccoli degli Erri, 1998, p. 123).
A partire dall’anonimo autore del Compendio (1762) e da Anton Maria Zanetti di Girolamo (1771), tutta la storiografia colloca gli esordi pittorici di Pittoni nella bottega dello zio paterno Francesco: «ebbe i primi erudimenti nella pittura dal suo zio, che fu pittor di buon nome; ma il giovane, di talento più sublime e di spirito più vivace, non di ciò interamente soddisfatto si mise ad osservare i più valorosi pittori che seco lui fiorivano, e ne estrasse una maniera di storico eccellente» (Compendio..., 1762, pagina non numerata).
La carriera artistica di Francesco Pittoni, nato probabilmente attorno al 1654 e attivo ancora fra il 1724 e il 1728 (Favaro, 1975, p. 226; Zava Boccazzi, 1979, p. 12), è documentata attraverso un gruppo di opere oggi abbastanza nutrito (Kudiš Burić, 2009, pp. 63-73, con bibliografia), nel quale si riconosce una personalità di formazione cosiddetta ‘tenebrosa’ che protrae fino alla vecchiaia una pittura dal robusto sapore barocco, non esente da ingenuità formali. All’attività di pittore egli affiancò anche quella di mercante d’arte, qualora sia da riconoscersi in Francesco quel «Pittoni a Parigi broccantor de quadri» raffigurato in una caricatura di Anton Maria Zanetti di Alessandro nell’album della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (Zava Boccazzi, 1979, pp. 12, 104).
Non è noto quanto sia durata la formazione di Giambattista presso Francesco; in ogni caso non si può che concordare con i primi biografi che riconobbero subito l’estremo divario fra il talento del nipote e l’onesto mestiere dello zio. Il tirocinio terminò presumibilmente entro il 1713, quando, stando alle indicazioni di Pietro Guarienti, Pittoni «comparve in pubblico, con applauso, in età di 26 anni» (Abecedario pittorico, 1753, p. 280; il riferimento è a un’opera di certo importante che però non è oggi possibile identificare).
Benché l’attività di Pittoni sia stata oggetto di studi approfonditi, gli inizi della sua carriera presentano ancora oggi dei punti non del tutto chiari. La forbice di questo primo periodo è compresa fra il 1713 e il 1723, anno di esecuzione della pala di S. Corona a Vicenza che segna la svolta stilistica della sua produzione.
I primi studi su di lui hanno inserito in questo decennio un notevole gruppo di opere (oggi in gran parte assegnate ai decenni successivi), mentre Franca Zava Boccazzi (1979, pp. 11-40) ha proposto per prima una sistemazione coerente e condivisibile di questo momento nonostante alcune importanti rettifiche, quali gli Apostoli della chiesa dell’Ospedaletto a Venezia e gli affreschi della villa Baglioni a Massanzago oggi assegnati alla giovinezza di Giambattista Tiepolo (Il giovane Tiepolo, 2011).
Le difficoltà che si incontrano nella ricostruzione di questa fase che termina tuttavia quando Pittoni non è più giovanissimo (nel 1723 aveva trentasei anni), sono dovute tanto alla perdita delle tele eseguite per l’oratorio di S. Gallo a Venezia, ricordate da Zanetti come «prime cose di Giambattista Pittoni quando studiava dal Zio» (1733, p. 166), quanto al perdurare dei rapporti professionali con Francesco, con il quale Giambattista Pittoni collaborò, come sembra, ancora nel secondo decennio del Settecento, sebbene in un rapporto di forze invertito.
La questione è stata inoltre condizionata ulteriormente dalla messa a fuoco della personalità del pittore Antonio Arrigoni, per il quale è stata ipotizzata una sorta di bottega comune con i due Pittoni (Fossaluzza, 1997, pp. 178-197).
La prima opera certamente riferibile al periodo giovanile è la piccola pala d’altare con l’Apparizione della Vergine a s. Filippo Neri della chiesa di S. Giovanni Elemosinario a Venezia, che reca una data, solo in parte leggibile, variamente interpretata come 1712 o 1715.
Si tratta di una tela acerba e non esente da debolezze che, tuttavia, mostra una decisa autonomia stilistica rispetto alla produzione dello zio. A essa fecero seguito: le due opere, distrutte nel corso della seconda guerra mondiale e note solo attraverso fotografie, della Gemäldegalerie di Dresda, raffiguranti Nerone davanti al cadavere di Seneca e la Morte di Agrippina, registrate nella galleria di Augusto II a partire dal 1722; una serie di quattro tele con soggetti tratti dalla storia antica oggi divisa fra il Museo statale Ermitage di San Pietroburgo, il Museo statale delle belle arti A.S. Puškin di Mosca e una collezione privata; l’Olindo e Sofronia del Museo civico di Vicenza e il Supplizio di s. Tommaso della chiesa veneziana di S. Stae compiuto nel 1722 assieme al grande S. Eustachio rifiuta di adorare gli idoli nella sacrestia della stessa chiesa (Moretti, 1995, p. 559).
Sono dipinti che rivelano un aspetto ancora tardoseicentesco, ravvisabile soprattutto nella teatrale magniloquenza della composizione, dove i personaggi si muovono con una gestualità aperta ed enfatica. La superficie levigata degli incarnati e il percorso segmentato dei panneggi sono invece ispirati al classicismo barocchetto di Antonio Balestra, riscaldato però da un cromatismo più acceso, derivato dallo studio delle opere di Francesco Solimena, visibili a Venezia nella seconda decade del secolo.
La svolta in chiave rococò della pittura di Pittoni appare in modo evidente nella ricordata pala d’altare della chiesa di S. Corona a Vicenza dove per la prima volta «un’eleganza cifrata, una recitazione sospirosa, una mimica da ‘balletto’ subentrano alla foga drammatica dei primi dipinti di storia; le immagini si sostanziano in una materia malleabile e rara che assume lucentezze, d’ametista, corallo, avorio» (Mariuz, 1995, p. 332).
Da questo momento la produzione di Pittoni assunse quei caratteri peculiari di eleganza e raffinata cifra esecutiva che Anton Maria Zanetti descrisse in maniera puntuale: «e autore fu di uno stile suo originale, pieno di pittoreschi vezzi, di gentilezza e di amenità, senza lasciare le tracce delle buone dottrine» (1771, p. 460).
Al 1725 risale la pala con il Transito di s. Giuseppe per S. Maria in Organo a Verona.
Com’è indicato dagli studi più recenti (Llewellyn, 2009, p. 95), è plausibile che solo a partire dall’estate del 1724 Pittoni iniziasse a collaborare per la celebre serie di tele denominate Tombeaux des princes, commissionate dall’impresario teatrale Owen McSwiny. Si trattava di capricci architettonici di carattere allegorico, eseguiti a più mani, che celebravano i protagonisti della glorious revolution del 1688. Fra questa data e il 1729 Pittoni eseguì le figure per le tombe allegoriche di Sir Isaac Newton (Cambridge, Fitzwilliam Museum), di Charles Sackville sesto conte di Dorset (ignota è l’attuale ubicazione del dipinto), di James primo conte di Stanhope (Norfolk, Virginia, Chrysler Museum of art) e quella dell’arcivescovo John Tillotson (Inghilterra, coll. privata).
L’esperienza segnò profondamente il percorso artistico di Pittoni che da questo momento si sarebbe specializzato – accanto alla consueta produzione di grandi scene figurative – in composizioni di formato ridotto con figure piccole, che Francesco Algarotti avrebbe in seguito definito «alla Pussina» (1792, p. 365). Il successo di questi dipinti, compiuti con pennellate minute e guizzanti, è testimoniato dalle numerose repliche e varianti che interessarono i soggetti più celebri come il Sacrificio di Polissena, Bacco e Arianna, la Clemenza di Scipione e il Sacrificio di Jefte.
In queste opere il pittore mise in scena, attraverso una regia impeccabile, composizioni popolate da figure vestite all’antica e atteggiate in pose eleganti, al limite del lezioso. La tecnica esecutiva, per quanto presenti sempre uno standard qualitativo elevato, si mostra discontinua fra i vari esemplari, rivelando la presenza di una bottega ben strutturata e specializzata nella produzione quasi seriale di questi soggetti.
Tale attività di replica fu estesa da Pittoni anche ai suoi bozzetti, che persero il loro status di studio preparatorio per diventare opere d’arte a sé stanti, in cui il collezionista avrebbe potuto apprezzare l’alto valore esecutivo e i raffinati impasti cromatici della composizione, portata a un livello di estrema finitezza (cfr. Sebastiano Ricci, 2010, passim).
Poche sono le notizie sul funzionamento dell’atelier e sul nome dei componenti. L’artista che, nonostante la giovanissima età, si rivelò il più capace a imitare lo stile del maestro fu il boemo Anton Kern (1709-1747), presente nella bottega di Pittoni fra il 1723-25 e il 1730-35 (in mancanza di sicure attestazioni documentarie le ipotesi sulla durata di questo soggiorno non sono unanimi, cfr. Zlatohlávek, 2009, pp. 25-40). A questi andrebbe accostato almeno Pietro, il fratello minore di Pittoni nato nel 1702, al quale Zava Boccazzi (1979, p. 81; 1984b, p. 240) ha assegnato in via d’ipotesi alcune tele di bottega.
In un secolo che vide i nomi più celebri dell’arte veneziana segnalarsi come straordinari frescanti, Pittoni ha lasciato un’unica testimonianza in questa tecnica che certo non doveva essere congeniale alla sua pittura particolarmente curata; si tratta degli affreschi del palazzetto Widmann a Bagnoli di Sopra (Padova) compiuti nel 1727 (Magani, 2010). In quello stesso anno venne nominato accademico d’onore dell’Accademia Clementina di Bologna mentre, nel 1729, fu priore del Collegio dei pittori a Venezia.
Fu sicuramente completato prima del 1733, quando è ricordato nella guida di Venezia di Anton Maria Zanetti (1733, p. 374), il gigantesco ‘telero’ con la Moltiplicazione dei pani e dei pesci per la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano alla Giudecca, ora nei depositi delle Gallerie dell’Accademia della città, l’opera sua più celebrata dai contemporanei e menzionata con plauso in tutte le vecchie guide veneziane.
Fu invece compiuta per il matrimonio di Antonio Pesaro con Caterina Sagredo (1732) la grande tela da soffitto raffigurante la Giustizia e la pace con Giove e Minerva di Ca’ Pesaro a Venezia, parte integrante di un grandioso complesso decorativo che vide all’opera i più importanti artisti veneziani del momento, fra cui Giambattista Tiepolo e Giambattista Crosato (Pavanello, 2003, p. 45).
Nell’agosto 1733 i libri dei conti di Casa Savoia riportano le spese per il trasporto da Venezia a Torino della tela con il Sacrificio di Jefte, oggi conservata nel Palazzo Reale di Genova, commissionatagli da Filippo Juvarra.
Nel 1735, unico fra i veneziani, fu chiamato dallo stesso architetto per decorare un Trionfo di Alessandro a Babilonia per il Palazzo Reale della Granja di San Ildefonso (ora a Madrid, Collectión Patrimonio nacional). L’opera, che ebbe una lunga gestazione (il dipinto non era ancora ultimato nel febbraio del 1737), fruttò a Pittoni duecento dobloni d’oro (Battisti, 1958).
Nella corrispondenza intercorsa fra Juvarra e Pittoni in quell’occasione (Madrid, Archivio general de Palacio, cfr. Battisti, 1958) emerge, inoltre, il coinvolgimento del pittore nel mercato d’arte lagunare, attività assai diffusa tra gli artisti veneziani. Pittoni propose, infatti, l’acquisto di novantadue dipinti fiamminghi e olandesi provenienti da una collezione veneziana che sarebbero stati invece acquisiti dal re di Sardegna Carlo Emanuele III (Battisti, 1958).
Fra il 1733 e il 1738 è ricordato nei libri di spesa del maresciallo Johann Matthias von der Schulenburg, per il quale, oltre a eseguire nove dipinti di soggetto vario, ricoprì l’incarico di consulente per l’acquisto di opere d’arte e di restauratore (Binion, 1990, pp. 86-90).
Come gli altri grandi maestri del Settecento lagunare, Pittoni fornì per i territori di lingua tedesca imponenti pale d’altare che attestano come la sua fama avesse ben presto valicato le Alpi. Fra queste vanno ricordate almeno le cinque tele per la basilica di S. Maria a Cracovia (1730 circa); l’Elemosina di s. Elisabetta della Schloßkirche di Bad Mergentheim (1734); il Martirio di s. Stefano per la chiesa degli agostiniani di Diessen (1739) e le due tele con la Gloria di s. Giovanni Nepomuceno e l’Educazione della Vergine per la cappella del castello di Schönbrunn a Vienna. È andato distrutto durante la seconda guerra mondiale il Martirio di s. Clemente per l’omonima chiesa di Münster, oggi noto attraverso due modelletti conservati al Museo universitario di Uppsala e in una collezione privata veneziana.
La maggior parte della sua produzione sacra fu tuttavia rivolta alle chiese dei domini della terraferma della Serenissima (poche invece quelle compiute per le chiese di Venezia), per le quali realizzò un notevole numero di opere, costantemente caratterizzate da una riuscita regia compositiva e da un’elevata qualità esecutiva. Fra le più importanti vanno ricordate quelle realizzate a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento per Brescia (Terraroli, 2011): la Madonna col Bambino e santi per la chiesa di S. Giorgio (1737; oggi al Museo diocesano della stessa città); la Madonna col Bambino e s. Carlo Borromeo per S. Maria della Pace (1740); l’Adorazione dei Magi della chiesa dei Ss. Nazaro e Celso; lo Svenimento di s. Andrea d’Avellino per San Gaetano (1742) e il Martirio di s. Orsola per l’omonima chiesa (1748). Tutte opere di un cromatismo sontuoso e cristallino, dove l’intento devozionale si scioglie in un intreccio di gesti elegantissimi e sguardi languidi. Agli anni Quaranta del secolo risalgono anche le opere compiute per Bergamo come il Martirio di s. Esteria (1744) per il Duomo e la Madonna col Bambino e santi (1747) della chiesa di S. Alessandro della Croce (Mangilli, 2011, p. 309).
Nell’estate del 1743 fu scelto da Francesco Algarotti fra i più importanti artisti veneziani contemporanei per eseguire un gruppo di tele destinate alla galleria di Augusto III a Dresda. Il soggetto stabilito dall’erudito per Pittoni fu Crasso saccheggia il tempio di Gerusalemme; dell’opera, oggi perduta, ci rimane il modelletto, conservato presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia (inv. n. 813).
Unica testimonianza dell’attività di ritrattista di Pittoni è il Ritratto commemorativo del cardinale Bartolomeo Roverella dell’Accademia dei Concordi di Rovigo eseguito dopo il 1740, quando gli accademici decisero di ornare la loro sala delle riunioni con immagini di illustri rodigini del passato.
Dal 1756 svolse un ruolo di primo piano nella neonata Accademia veneziana di belle arti, dove ricoprì da subito, sotto la presidenza di Tiepolo, la carica di consigliere assieme allo scultore Giovanni Maria Morlaiter. L’anno successivo eseguì come morceau de réception per la stessa istituzione l’Annunciazione, tuttora alle Gallerie dell’Accademia. Nel 1758 subentrò a Tiepolo nella carica di presidente, che mantenne per due anni. In seguito ricoprì la carica di primo consigliere fino al 28 luglio 1767, con un intermezzo durante il biennio 1763-1764 quando fu rieletto presidente.
Ormai ottantenne portò comunque a compimento alcune pale d’altare per edifici di culto veneziani come la Madonna col Bambino e santi (datata e firmata 1763) per la chiesa di S. Cassiano e quella con la Madonna col Bambino e i ss. Carlo Borromeo e Filippo Neri per la chiesa di S. Giacomo dell’Orio, eseguita nel 1764, tradizionalmente considerata la sua ultima opera. Morì a Venezia il 16 novembre 1767.
La conoscenza della grafica di Pittoni, salvo poche eccezioni, è legata al Corpus scoperto nel 1925 da Giuseppe Fiocco a Mori nel Trentino, presso la casa del barone Ugo Salvotti. Si tratta di più di quattrocento disegni, eseguiti con tecniche diverse e su vari tipi di carta che documentano per intero il percorso stilistico di Pittoni dagli anni giovanili alla vecchiaia. Il fondo è oggi diviso fra le Gallerie dell’Accademia di Venezia e la Fondazione Giorgio Cini della stessa città (Craievich, 2005, con bibl. precedente).
L’immagine del pittore è documentata solo da due incisioni: una eseguita da Pietro Monaco, forse da un dipinto di Bartolomeo Nazzari, e un’altra realizzata da Alessandro Longhi per il più volte citato Compendio del 1762. Entrambe raffigurano un uomo di mezz’età, dall’aspetto pingue e bonario che visualizza perfettamente quel carattere mite e modesto ricordato dai biografi (Zava Boccazzi, 1979, p. 107).
Fonti e Bibl.: A.M. Zanetti, Descrizione di tutte le pubbliche della città di Venezia e isole circonvicine…, Venezia 1733, passim; Abecedario pittorico del M. R. P. Pellegrino Antonio Orlandi bolognese, contenente le notizie de’ professori di pittura scoltura ed architettura, in questa edizione corretto e notabilmente di nuove notizie accresciuto da Pietro Guarienti…, Venezia 1753, p. 280; Compendio delle vite de’ pittori veneziani, istorici più rinomati del presente secolo, con suoi ritratti tratti dal naturale delineati e incisi da Alessandro Longhi veneziano, Venezia 1762, pagine non numerate; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri. Libri V, Venezia 1771, pp. 460-462; F. Algarotti, Progetto per ridurre a compimento il Regio Museo di Dresda, presentato in Hubertsborg alla R. M. di Augusto III re di Polonia il dì 28 ottobre 1742, in Id., Opere del conte Algarotti: edizione novissima, VIII, Venezia 1792, pp. 353-388.
E. Battisti, Juvarra a Sant’Ildefonso, in Commentari, IX, 1958, pp. 273-297; E. Favaro, L’arte dei pittori in Venezia e i suoi statuti, Firenze 1975, ad nomen; B. Mazza Boccazzi, La vicenda dei Tombeaux des princes: matrici, storia e fortuna della serie Swiny tra Bologna e Venezia, in Saggi e memorie di storia dell’arte, X (1976), pp. 81-102; F. Zava Boccazzi, P., Venezia 1979 (con bibliografia); A. Binion, Three new mythological paintings by G. P., in The Burlington magazine, 1981, vol. 123, n. 935, pp. 96-99; F. Valcanover, Una pala e il suo modello di G. P., Studi trentini di scienze storiche, LXI (1982), pp. 81-87; A. Binion, I disegni di G. P., Firenze 1983; J. Byam Shaw, Binion, Alice: I disegni di G. P., in Master drawings, XXII (1984), 4, pp. 444-449; F. Zava Boccazzi, Considerazioni sul ‘modelletto’ di G. P., in Beiträge zur Geschichte der Ölskizze vom XVI. bis zum XVIII. Jahrhundert. Atti del convegno di Braunschweig… 1984, Braunschweig 1984a, pp. 94-105; Ead., Un libro sui disegni del Pittoni, in Arte veneta, XXXVIII, 1984b, pp. 238-242; G. Knox, Piazzetta, P. and Tiepolo at Parma, in Arte veneta, XXXIX (1985), pp. 114-124; D. Howard, The church of the Miracoli in Venice and Pittoni’s St. Jerome altar-piece, in The Burlington magazine, 1989, vol. 131, n. 1039, pp. 684-692; A. Binion, La Galleria scomparsa del maresciallo von der Schulenburg…, Milano 1990; I. Artemieva, Alcune precisazioni sulla storia di un ciclo di Giovanni Battista P. dell’Ermitage, in Arte veneta, XLVI (1994), pp. 54-61; A. Mariuz, Il Settecento. La pittura (I), in Storia di Venezia. Temi. L’arte, a cura di R. Pallucchini, II, Roma 1995, pp. 251-381; L. Moretti, La chiesa di San Stae, in Splendori del Settecento veneziano (catal., Venezia), Milano 1995, pp. 553-567; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1995, pp. 520-544 (con bibliografia); A. Binion, P., G., in The dictionary of art, XXV, New York 1996, pp. 1-4; G. Fossaluzza, Antonio Arrigoni ‘pittore in istoria’ tra Molinari, Ricci, Balestra e Pittoni, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXI (1997), pp. 159-216; F. Montecuccoli degli Erri, Venezia 1745-1750. Case (e botteghe) di pittori, mercanti di quadri, incisori, scultori, architetti, musicisti, librai, stampatori ed altri personaggi veneziani, in Ateneo veneto, CLXXXVI (1998), pp. 63-140; A. Perissa Torrini, Disegni di Giovan Battista P., Milano 1998; G. Pavanello, Temi mitologici nella decorazione monumentale veneziana fra Sei e Settecento, in Metamorfosi del mito. Pittura barocca tra Napoli, Genova e Venezia (catal., Genova - Salerno), a cura di M.A. Pavone, Milano 2003, pp. 41-51; A. Craievich, I disegni di G. P. e della sua bottega: il ‘corpus’ Salvotti, in I disegni del Professore. La raccolta Giuseppe Fiocco della Fondazione Giorgio Cini (catal., Padova), a cura di G. Pavanello, Venezia 2005, pp. 70-249; E. Lucchese, Ermagora e Fortunato nella pala di G. P. a Buie d’Istria, in Arte in Friuli, arte a Trieste, XXVI (2007), pp. 271-276; F. Zava Boccazzi, Un dipinto giovanile di G. P., in Il cielo, o qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella 2007, pp. 163-165; N. Kudiš Burić, Slikarstvo XVII. i XVIII. stoljeća na otoku Krku: novi prijedlogi za Serafina Schöna, Francesca Pittonija in Giambattista Crosata (Pittura del XVII e XVIII secolo nell’isola di Veglia: nuove proposte per Serafin Shön, F.P. e Giambattista Crosato), in Zbornik za umetnostno zgodovino (Miscellanea di storia dell’arte), n.s., XLV (2009), pp. 53-87; T.D. Llewellyn, Owen McSwiny’s letters. 1720-1744, Verona 2009; M. Zlatohlávek, Anton Kern. 1709-1747, Praga 2009; F. Magani, Palazzetto Widmann, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecento, a cura di G. Pavanello, I, Venezia 2010, pp. 83-89; Sebastiano Ricci. Il trionfo dell’invenzione nel Settecento veneziano (catal.), a cura di G. Pavanello, Venezia 2010, passim; Il giovane Tiepolo. La scoperta della luce (catal.), a cura di G. Pavanello - V. Gransinigh, Udine 2011, passim; R. Mangilli, Bergamo, in La pittura nel Veneto. Il Settecento di Terraferma, a cura di G. Pavanello, Milano 2011, pp. 309 s.; V. Terraroli, Brescia, ibid., pp. 270 s.