TIEPOLO, Giambattista
(Giovanni Battista, Giovambattista). – Nacque presumibilmente il 5 marzo (Da Canal, 1732, 1809, p. XXXI; ma cfr. Montecuccoli degli Erri, in Giambattista Tiepolo, 1998, p. 69) 1696 a Venezia, dall’imprenditore marittimo Domenico, morto undici mesi dopo, e da Orsetta Marangon: il battesimo avvenne il 16 aprile a S. Pietro di Castello (Urbani de Gheltof, 1879, pp. 1-3). Su indicazione di Domenico Monello, canonico di quella chiesa, entrò nella bottega di Gregorio Lazzarini, disegnando «santini da anello» tra gli otto e nove anni circa, e iniziando a dipingere su tela tra i quattordici e i quindici (Bostock, 2009).
Nella biografia di Lazzarini, Vincenzo da Canal (1732) descrisse la prima attività autonoma di Giambattista e una maniera pittorica «spedita e risoluta», citando ad esempio gli «Appostoli, che in età di anni diciannove dipinse sopra le nicchie nella chiesa dell’Ospedaletto» (p. XXXII), ciclo dibattuto con convergenza di attribuzioni a Tiepolo sulla coppia S. Tommaso e Giovanni evangelista e sul seriore Sacrificio d’Isacco (cfr. Pavanello, in Giambattista Tiepolo, 2012, pp. 212-214, 217 s.). Seguendo Da Canal (1732), gli è stato restituito il Faraone sommerso dipinto a vent’anni ed esposto alla festa di S. Rocco, così come un gruppo di tele ricondotto al mecenatismo del doge Giovanni II Cornaro e la «prima opera a fresco» (p. XXXII), l’Assunta di Biadene per il procuratore Alvise Pisani (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 195 s.).
Nel 1716 disegnò a penna per il fiorentino Francesco Maria Niccolò Gabburri un disperso Martirio di un santo (Campori, 1870), comparendo dall’anno successivo negli elenchi della fraglia pittorica veneziana (Favaro, 1975, p. 156).
A questo periodo risale il disegno con la Scuola del nudo, in cui si ritrasse in una «classe di accademia» tenuta da Lazzarini e Antonio Balestra nell’ambito del collegio dei pittori veneziani (Lucchese, 2017, pp. 166 ss.).
Il 6 luglio 1718 il patrizio Giovanni Battista Baglioni acquistò la villa di Massanzago, commissionandogli gli affreschi del salone.
Sono qui già «in luce motivi, figure, idee compositive che continuerà a svolgere e a variare nel corso della sua attività, come se proprio in questa circostanza egli avesse individuato il nucleo generatore della sua visione, liberando un flusso di immagini che non abbandoneranno più la sua fantasia» (Mariuz - Pavanello, 1985, p. 104).
Il 21 novembre 1719 sposò Cecilia Guardi, sorella dei pittori Antonio, Francesco e Nicolò: ebbe testimone di nozze il collega e amico Fortunato Pasquetti (cfr. Bostock, 2009). Dalla coppia nacquero dieci figli (Levey, 1986, trad. it. 1988, p. 19), tra cui i pittori Giandomenico e Lorenzo (v. entrambe le voci in questo Dizionario).
Dopo cinque anni di gestazione, con sporadiche pubblicazioni di singole stampe, nel 1720 uscì la prima edizione del Gran teatro di Domenico Lovisa, cui Tiepolo aveva fornito quattro disegni (cfr. Ton, 2012, p. 60; Succi, 2013, pp. 69 s.). Nel dicembre del 1721 gli fu commissionata la Madonna del Carmelo per la chiesa veneziana di S. Aponal: la grande opera (Milano, Pinacoteca di Brera) risultava ancora incompiuta il 24 aprile 1727, con la promessa dell’artista di completarla entro luglio (Moretti, 1984-1985, p. 379).
Nel 1722, anno in cui affrescò il soffitto della parrocchiale di Vascon (cfr. Pedrocco, 2002, p. 203), Tiepolo partecipò con altri alla serie di tele per la chiesa veneziana di S. Stae (Moretti, 1973), dipingendo il Martirio di s. Bartolomeo.
«In gara con Piazzetta, egli punta a una pittura di massimo impatto visivo, forgiando le immagini attraverso un martello di luce e ombra e facendole risaltare su uno sfondo cupo, in modo che esse sembrano proiettarsi in fuori. La figura del carnefice e quella del santo s’avvitano l’una con l’altra come un congegno a molle» (Mariuz, 2008, p. 300).
L’anno dopo presentò un modello (Venezia, Gallerie dell’Accademia) al concorso, vinto da Giambattista Piazzetta, per il soffitto della cappella di S. Domenico nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo (Moretti, 1984-1985, p. 378). Sempre nel 1723 consegnò alla Scuola di S. Teodoro dipinti con S. Pietro e S. Paolo, perduti (p. 380).
Nel 1724 ritrasse il nuovo Papa Benedetto XIII (Pavanello, in L’impegno..., 2009). In estate, come si evince da una lettera di Paolo Gagliardi (cfr. Magrini, 2002, p. 34), fu chiamato a Verona da Scipione Maffei, che lo citò in due missive del 1725 (pp. 69-71), per disegnare le antichità nelle collezioni cittadine, fogli tradotti in incisione da Andrea e Francesco Zucchi nel volume del 1732 Verona illustrata (cfr. Ton, 2012, pp. 79-81).
Probabilmente per il tramite di Maffei, il duo Tiepolo-Zucchi instaurò rapporti con Filippo Argelati, segretario a Milano della Società Palatina, editrice dei volumi Rerum italicarum scriptores di Ludovico Antonio Muratori, in cui compaiono loro illustrazioni nelle uscite dal 1725 al 1732 (ibid., pp. 64-69). La pubblicazione dell’opera storica fu seguita con attenzione dalla Serenissima: tra agosto e settembre 1729 il residente a Milano Giacomo Busenello pagò una cospicua cifra alla Società per l’«elevatissimo gradimento» (Finocchi Ghersi, 2016, p. 39) del tomo su Venezia (XII, 1728).
Il 30 aprile 1725 Giambattista ricevette un acconto per quattro tele ovali e una rettangolare per il soffitto della biblioteca del Seminario patriarcale di Udine, lavoro saldato il 15 marzo 1730 (Moro, 1996, pp. 45, 51). Il 4 giugno 1726 la confraternita udinese del Ss. Sacramento ottenne l’autorizzazione ad affidargli la decorazione della propria cappella nel duomo: l’anno prima era stato costruito il nuovo scalone del palazzo del patriarca di Aquileia Dionisio Dolfin, affrescato con la Caduta degli angeli ribelli e otto monocromi con Scene della Genesi (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 210, 212).
È dibattuta la cronologia degli affreschi, raffiguranti vicende dei patriarchi biblici, della galleria nel palazzo, fatta coincidere con lo scalone al 1726 circa (ibid.), oppure anticipata al 1723 per l’equilibrio «di incanto fiabesco e di umorismo, di gusto cifrato della forma e freschezza di racconto» (Mariuz, 2008, p. 307).
A Venezia Daniele III Dolfin, fratello del patriarca, nel testamento del 30 aprile 1726, scritto prima di partire per l’ambasciata a Costantinopoli (dove morì il 22 settembre 1729), espresse la volontà di far fare ai più celebri pittori veneziani dei dipinti per le pareti del salone del palazzo a S. Pantalon (cfr. Conticelli, in Giambattista Tiepolo, 1998, pp. 231 ss.): fu solo Tiepolo, invece, a dipingere dieci scene di storia romana, con la data 1729 apposta sul Trionfo di Mario (New York, Metropolitan Museum). In tale periodo firmò il Giudizio di Salomone affrescato nella sala rossa nel palazzo patriarcale di Udine, dove ridipinse, nella sala del trono nel 1729, sette antichi ritratti di presuli aquileiesi (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 213 s.).
A trentadue anni di età circa Tiepolo aveva già degli «scolari» (cfr. Bostock, 2009, p. 228): l’attività della sua bottega negli anni 1733-34 fu descritta dallo svizzero Johann Balthasar Bullinger (Aikema, 1996, pp. 23-25).
Nel 1730 Argelati curò per la Società Palatina gli Imperatorum romanorum numismata, con antiporta e una vignetta incise su disegno di Tiepolo da Francesco Zucchi (cfr. Ton, 2012, pp. 74 s.): l’erudito, come già detto, in rapporti con il residente veneziano a Milano, era bibliotecario dei nobili Archinto, nel cui palazzo milanese il pittore iniziò a lavorare già nell’estate di quell’anno (cfr. Magrini, 2002, pp. 71 s.). Gli affreschi, fotografati prima della distruzione del 1943, furono terminati nel 1731, in vista del matrimonio (22 aprile) tra Filippo Archinto e Giulia Borromeo (cfr. Finocchi Ghersi, 2016, pp. 38-46, 92-101), come documentano un frammento della decorazione (Milano, Museo del Castello Sforzesco) e una lettera del 14 aprile dell’artista a Giuseppe Casati (Magrini, 2002, pp. 73 s.), in cui s’impegnava a dipingere, entro la stagione, il grande salone del palazzo di costui a Milano (cfr. Finocchi Ghersi, 2016, pp. 46 ss.).
A Venezia nel 1732 Tiepolo eseguì, per il matrimonio tra Antonio Pesaro e Caterina Sagredo, il soffitto con Zeffiro e Flora (Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 118-121). Tra il 7 settembre 1732 (licenza di stampa della Descrizione delle pitture pubbliche veneziane di Antonio Maria Zanetti) e il primo gennaio dell’anno dopo (data della lettera di premessa al volume), lavorò all’Adorazione del Bambino destinata «in questi giorni» a S. Zulian (Zanetti, 1733, p. 486): erano già dipinti la pala con l’Educazione della Vergine per la chiesa della Fava e l’affresco con Cristo nell’orto agli Scalzi (pp. 190, 420), dove per la prima volta compariva il nome del collaboratore quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna (cfr. Pedrocco, 2002, p. 203).
Nel Compendio introduttivo alla Descrizione del 1733, il pittore vivente reputato più rappresentativo della scuola veneziana è Sebastiano Ricci (p. 59), anche se Tiepolo è lodato (p. 62) per «il pronto carattere d’inventare, e inventando distinguere e risolvere», e per un’«esatta intelligenza di chiaroscuro ed una lucidissima vaghezza».
Ancora nel 1732, a settembre, Tiepolo fu a Bergamo per iniziare gli affreschi della cappella Colleoni (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 227 s.).
In una lettera a Ludovico Ferronati, il 17 novembre 1734 (Magrini, 2002, pp. 76 s.), affermò di essere stato per tre mesi a Vicenza per un impegno fin troppo rimandato, da identificare con la decorazione ad affresco, datata da un’iscrizione nel salone, della villa di Nicolò Loschi al Biron di Monteviale (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 232-234), contemporanea dell’Immacolata Concezione per l’Araceli sempre a Vicenza (ibid.). Nello stesso 1734 eseguì la pala per la chiesa di Ognissanti di Rovetta (ibid., p. 235).
Firmò e datò 1735 la Madonna del Rosario di collezione privata (cfr. Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 205-208). Fra l’aprile di quell’anno e il gennaio del 1736 furono registrati pagamenti per la Salita al Calvario per S. Alvise a Venezia (Favilla - Rugolo, in L’impegno e la conoscenza, 2009).
Nell’estate del 1736 lo svedese Carl Gustav Tessin cercò di farlo trasferire a Stoccolma per decorare il Palazzo Reale: in una lettera del 16 giugno definì Tiepolo «sectataire de Paul Veronese», affermando di aver acquistato a Venezia la Danae e la Decollazione di s. Giovanni Battista oggi al Nationalmuseum (cfr. Magrini, 2002, pp. 82, 84); il 29 agosto, Tessin abbandonò il progetto per le esorbitanti richieste economiche dell’artista (p. 87).
Commissionato nel 1734, il Martirio di s. Agata nella basilica di S. Antonio a Padova fu messo sull’altare nel gennaio del 1737, mentre a giugno avvennero i pagamenti dei Ss. Ermagora e Fortunato per il duomo di Udine e dell’Angelo custode per S. Maria Maddalena della stessa città, dipinti voluti dal patriarca di Aquileia Daniele Dolfin (cfr. Goi, in Giambattista Tiepolo, 1998, p. 186; Pedrocco, 2002, pp. 237 s.); a ottobre Tiepolo fu retribuito per il S. Francesco di Paola a Piove di Sacco (cfr. Grinzato, 2017). Inoltre, nel 1737 affrescò nella basilica di S. Ambrogio a Milano la cappella di S. Vittore e la sacrestia dei monaci (Lattuada, 1738).
A primavera del 1738 ricevette il compenso per la Trinità nel duomo di Udine, richiesta dal patriarca Dolfin; a luglio consegnò la pala per uno dei due altari Cornaro nella chiesa veneziana di S. Salvador, opera perduta ma il cui bozzetto è alla National Gallery di Londra (cfr. Pedrocco, 2002, p. 239).
Su commissione del principe elettore Clemente Augusto di Colonia, dipinse S. Clemente papa adora la Trinità (Monaco, Alte Pinakothek) per la cappella, consacrata nel 1739, nella chiesa di Notre-Dame di Nymphenburg, opera di «senso religioso così pungente e mistico ad un tempo, venendo incontro al trionfalismo della Germania cattolica» (Pallucchini, 1994, p. 403). Sempre in Baviera e nello stesso anno, gli agostiniani di Diessen gli commissionarono il Martirio di s. Sebastiano per il duomo (Molmenti, 1909, pp. 159 s.).
A Venezia, gli affreschi della chiesa dei Gesuati, il cui contratto risaliva al maggio del 1737, furono saldati nel settembre del 1739 (cfr. Favilla - Rugolo, in L’impegno e la conoscenza, 2009, p. 291), anno delle nozze tra Pietro Barbarigo e Caterina Sagredo, per le quali realizzò un’Allegoria (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 241-243).
Ai Gesuati, nell’Istituzione del Rosario Tiepolo «struttura il suo affresco con un sott’in su prospettico spettacolare», elaborando «una grande macchina scenografica di effetto ancora barocco» (Pallucchini, 1994, p. 404).
Il 21 dicembre 1739 fu incaricato dalla Scuola grande dei Carmini a Venezia di decorare il soffitto della sala capitolare, presentando il 19 gennaio due progetti (Urbani de Gheltof, 1879, pp. 104 ss.). Nel 1740, nonostante si fosse impegnato a finire entro Natale lo scomparto centrale del complesso e fossero pronte le cornici dorate per le tele a maggio (ibid.), quando a Camerino fu messa sull’altare della chiesa di S. Filippo Neri la pala con l’Apparizione della Vergine a s. Filippo Neri (cfr. Pedrocco, 2002, p. 244), Giambattista si trasferì a Milano per affrescare la galleria del palazzo di Antonio Giorgio Clerici, celebrandone l’ingresso nel patriziato urbano (Lucchese, in Finocchi Ghersi, 2016, p. 79).
La «perpetua joie de vivre» (Levey, 1986, trad. it. 1988, p. 96) della Corsa del carro del Sole di palazzo Clerici «rilancia il barocco in un’interpretazione originale, moderna, lucida, come quella di un vedutista che avesse una camera ottica incorporata nella mente e la puntasse sulle regioni sconfinate dell’immaginazione» (Mariuz, 2008, p. 314).
Rientrato a Venezia, approntò le decorazioni del gabinetto degli specchi in palazzo Cornaro a S. Polo, ricevendo un pagamento il 2 luglio 1741 per la tela del soffitto (M. Favilla - R. Rugolo, 2012a, pp. 70 ss.; cfr. Pavanello, 2016). Reca tale anno l’iscrizione sul retro della Beata Laduina (in collezione privata; cfr. Pedrocco, 2002, p. 247).
Nel 1742 Anton Maria Zanetti di Gerolamo (zio dell’omonimo autore della Descrizione) allegò i dieci Capricci tiepoleschi alla raccolta dei suoi Chiaroscuri per il conte di Carlisle (Bettagno, in Giambattista Tiepolo, 1998).
Le acqueforti, con i seguenti Scherzi (cfr. Succi, 2013, pp. 409-413, 450), «rappresentano le immaginazioni più intime di Tiepolo, i pensieri più liberi e personali, e pertanto non deve sorprendere il fatto che rimangano per sempre ambigui e allettanti, grazie al fascino che esercitano sulla nostra fantasia» (Levey, 1986, trad. it. 1988, p. 217).
Il 29 settembre 1742 (cfr. Magrini, 2002, p. 89) il pittore non aveva ancora consegnato le grandi tele della parrocchiale di Verolanuova (cfr. Pedrocco, 2002, p. 250). Il 2 giugno dell’anno dopo furono collocate le tele laterali del soffitto nella Scuola dei Carmini (p. 256). Il 29 luglio 1743 Tiepolo scrisse a Lodovico Campo di aver iniziato un affresco da terminare entro ottobre, identificato con quello di palazzo Pisani Moretta (cfr. Magrini, 2002, pp. 104 s.); in un’altra lettera, a Francesco Algarotti del 26 ottobre (pp. 118 s.), dichiarò di voler finire entro la prima decade di novembre gli affreschi del soffitto di villa Cordellina a Montecchio Maggiore, facendo così supporre che il ciclo decorativo, con La famiglia di Dario e La continenza di Scipione alle pareti del salone, sia stato completato entro la primavera-estate del 1744 (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 256 s.).
Al sodalizio con Algarotti (cfr. Craievich, in Giambattista Tiepolo, 2012) si riferiscono le incisioni in collaborazione con Tiepolo (cfr. Succi, 2013, pp. 448-450), il quale nel 1743 eseguì per l’amico una copia, da un originale che si dava a Veronese, del Ratto di Europa (cfr. Lucchese, 2018, pp. 285 ss.). Nell’estate di quell’anno Algarotti commissionò Mecenate presenta le arti ad Augusto (Pietroburgo, Ermitage) e il Trionfo di Flora (San Francisco, M.H. de Young Memorial Museum) per il conte Heinrich von Brühl a Dresda, dove fu spedito pure, per Augusto III il 5 marzo 1744, Il banchetto di Antonio e Cleopatra oggi al museo di Melbourne (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 261 s.), interpretazione in scala maggiore del dipinto (Parigi, Musée Cognacq-Jay) inciso nel 1743 quand’era nella collezione veneziana del console Joseph Smith (cfr. Levey, 1986, trad. it. 1988, pp. 131 s.). Della serie per la Sassonia è perduto Cesare che contempla il capo di Pompeo, portato a termine nel 1746 (Craievich, in Giambattista Tiepolo, 2012, p. 59).
Nel biennio 1744-45 Tiepolo dipinse a Venezia la cappella Sagredo nella chiesa di S. Francesco della Vigna e due sale di palazzo Barbarigo (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 265-267). Per il citato Lodovico Campo realizzò dopo il febbraio del 1745 il Ritratto di Antonio Riccoboni (Rovigo, Pinacoteca dei Concordi), commissionatogli due anni prima (Favilla - Rugolo, 2013). Concluse, tra l’aprile e il novembre del 1745, gli affreschi della volta nella chiesa degli Scalzi, mentre il 21 settembre fu messo in opera il Martirio di s. Giovanni vescovo per il duomo di Bergamo e, in concomitanza delle nozze in quel mese di Vincenzo Pisani e Lucrezia Cornaro, decorò la sala principale di villa Contarini alla Mira (Parigi, Musée Jacquemart-André); nello stesso anno morì il committente delle tre pale della chiesa padovana dei Ss. Massimo e Osvaldo (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 267-272). Nel 1746, a ottobre, nel palazzo Cornaro di S. Cassiano a Venezia furono preparate le superfici murarie per due suoi affreschi (Favilla - Rugolo, 2012b).
Tiepolo datò 1747 l’Incontro di Antonio e Cleopatra del museo di Arkhangelskoye (vicino a Mosca); verso quell’anno si situano gli affreschi di palazzo Labia a Venezia, da cui Franz Martin Kuen trasse copia grafica nel suo viaggio veneziano del 1746-47 (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 275-278).
L’Incontro e il Banchetto di Antonio e Cleopatra, con le altre figurazioni allegoriche e mitologiche della sala, sono illusionisticamente incastonati nelle quadrature di Mengozzi Colonna (Guarienti, 1753, p. 306): «varcando la soglia, l’ospite ha la sensazione di accedere a un altro spazio, a un altro tempo, [...] promosso a testimone diretto di quello che sta accadendo» (Mariuz, 2008, p. 489).
Nell’estate del 1747 Livio Retti dipinse nella cappella del castello di Ludwigsburg tre scene derivate da invenzioni pittoriche tiepolesche (Whistler, in Giambattista Tiepolo, 1998). Al matrimonio, quell’anno, tra Alvise Tiepolo ed Elena Badoer si fanno risalire i rovinati affreschi dell’attuale palazzo Papadopoli a S. Polo a Venezia, mentre le nozze nel 1748 tra Lodovico Manin ed Elisabetta Grimani sarebbero state l’occasione per due tele (Pasadena, The Norton Simon Foundation; collezione privata) di soggetto allegorico (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 278 s.).
Nell’aprile del 1748 consegnò la Madonna con le ss. Caterina, Rosa da Lima e Agnese da Montepulciano per i Gesuati (cfr. C. Whistler, in Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 222-225).
A dieci anni dal contratto con la Scuola dei Carmini, appose la data 1749 allo scomparto centrale del soffitto della sala capitolare (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 254, 256); in quell’anno ricevette da Antonio di Montegnacco la commissione del Consilium in arena, dipinto un decennio dopo dal figlio Giandomenico.
In coincidenza con l’elezione nel 1750 di Almorò Barbaro a procuratore di S. Marco, decorò due sale del palazzo veneziano con l’Apoteosi della famiglia Barbaro (New York, Metropolitan Museum) e quattro sovrapporte con storie romane (cfr. Bayer, in Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 157-166). Nel settembre del 1750, dopo essere stata ammirata in piazza S. Marco, giunse a Londra la pala con S. Giacomo maggiore per la cappella dell’ambasciata spagnola (cfr. Whistler, ibid., pp. 231-234). Nel dicembre di quell’anno Francesco Arnaldi segnalò la fine dei lavori nel palazzo vicentino di Angelo della Vecchia e la decorazione tiepolesca del salone (Milano, palazzo Isimbardi; cfr. Pedrocco, 2002, pp. 284 s.).
Il 12 ottobre 1750 Tiepolo firmò a Venezia il contratto per l’esecuzione degli affreschi nel Kaisersaal nella residenza del principe vescovo Karl Philipp von Greiffenclau a Würzburg, giungendovi il 12 dicembre con i figli e collaboratori Giandomenico e Lorenzo (Kossatz, in Tiepolo in Würzburg, 1996, p. 171, docc. 12-13). Ad aprile del 1751 iniziò a lavorare al dipinto del soffitto, Apollo conduce Beatrice di Burgundia al Genio dell’Impero, terminandolo l’8 luglio (p. 173, doc. 22). Passò quindi alle Nozze di Federico Barbarossa con Beatrice di Burgundia e all’Investitura del vescovo Aroldo, terminando il lavoro nel luglio del 1752 (doc. 24), anno iscritto nell’ultima scena.
Nel frattempo, il 21 aprile Greiffenclau prese visione del modello per la decorazione dello scalone, conferendo l’incarico al pittore nel giugno del 1752 (p. 174, docc. 27, 29). Tale data compare pure sulle due pale per la cappella della residenza (cfr. Pedrocco, 2002, p. 287).
Apollo illumina e vivifica i continenti fu iniziato nel luglio 1752, comportando 218 giornate di lavoro. Sul cornicione sotto l’Asia l’autore appose la propria firma e l’anno 1753.
«È la pittura che qui trionfa, in quanto è la pittura che rende visibili sia le cose create, sia quelle immaginate, rivelandole sub specie coloris; e il colore è sostanza della luce» (Mariuz, 2008, p. 361).
Nel 1753 realizzò l’Adorazione dei magi per l’altar maggiore della chiesa abbaziale di Schwarzach (oggi a Monaco, Alte Pinakothek) e probabilmente Coriolano davanti alle madri romane e Muzio Scevola davanti a Porsenna (Würzburg, Martin von Wagner - Museum der Universität) per l’architetto della residenza, Balthasar Neumann, morto il 19 agosto di quell’anno (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 287-289). In novembre partì da Würzburg con i figli.
Il 15 aprile 1754 gli furono commissionati gli affreschi della chiesa veneziana della Pietà, scoperti nell’agosto dell’anno dopo (pp. 290 s.). L’8 maggio fu collocata l’Apparizione della Vergine a s. Giovanni Nepomuceno nella chiesa veneziana di S. Polo (Notizie d’arte…, 1942, p. 11).
Vicino al 1755 dipinse il Martirio di s. Agata (Berlino, Gemäldegalerie) per le benedettine di Lendinara e nel 1756 circa S. Gaetano da Thiene per la parrocchiale di Rampazzo (cfr. Whistler, in Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 240-242). A Venezia in quell’anno dipinse il soffitto (perduto) della chiesetta delle Cappuccine presso S. Gerolamo (Notizie d’arte…, 1942, p. 21) e fu nominato primo presidente dell’Accademia di Venezia (Fogolari, 1913, p. 246).
Con Giandomenico lavorò agli affreschi di villa Valmarana ai Nani presso Vicenza, per il conte Giustino, morto il 20 giugno 1757: nella palazzina illustrò episodi tratti dall’Iliade, Eneide, Orlando Furioso e Gerusalemme liberata, mentre nella foresteria, dove il figlio appose la data 1757 sul Ciarlatano, decorò parzialmente la stanza dell’Olimpo.
«Più commoventi che esuberanti, gli affreschi di Giambattista nella palazzina hanno un tono autunnale nel gusto e nella colorazione. La separazione e l’addio formano una trama distinta che conduce dall’ingresso alle stanze, e da una stanza all’altra» (Levey, 1986, trad. it. 1988, pp. 241, 244).
Alla fine del 1757 affrescò due soffitti di Ca’ Rezzonico a Venezia per il matrimonio, nel gennaio successivo, tra Ludovico Rezzonico e Faustina Savorgnan (cfr. Pedrocco, 2002, p. 296).
Orientano a una cronologia verso questo momento (pp. 297 s.) le stampe, fatturate da Giandomenico a Pierre-Jean Mariette il 21 giugno 1758, riproducenti Venezia riceve l’omaggio di Nettuno (Venezia, Palazzo ducale) e Venere affida Cupido al Tempo per una sala di palazzo Contarini a Venezia (Londra, National Gallery).
Il 3 agosto 1759 consegnò la tela (Springfield, Museum of fine arts) da cui, tre anni dopo, fu tratto lo stendardo processionale della chiesa veneziana di S. Maria Mater Domini; dal 14 di quel mese al 16 settembre 1759 decorò a Udine con Giandomenico l’oratorio della Purità per il patriarca e cardinale Daniele Dolfin (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 299, 301), che commissionò pure due tele per la chiesa di S. Marco a Roma, non eseguite (Morassi, 1962, pp. 236 s.). Per S. Chiara a Cividale del Friuli dipinse la Visione di s. Anna (Dresda, Gemäldegalerie), firmata e datata 1759 (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 300 s.). Nell’estate del 1759 giunsero a Pietroburgo i soffitti di Tiepolo padre e figlio per palazzo Voronzov (Artem′eva, in Giambattista Tiepolo, 1998). Il 30 settembre di quell’anno fu consegnata la pala per S. Silvestro a Folzano; alla vigilia di Natale fu collocata nel duomo di Este la scenografica S. Tecla libera Este dalla peste (cfr. Christiansen, in Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 317-319).
Nel 1760 Tiepolo offrì un dipinto, di cui si sono perse le tracce, a Luigi XV re di Francia (cfr. Magrini, 2002, pp. 242 s.). A marzo Algarotti gli chiese di intervenire pittoricamente su alcuni dipinti di Prospero Pesci e di Mauro Tesi, e su una copia da Veronese che aveva acquistato (pp. 232 s., 236). In una lettera del 10 maggio ad Algarotti (pp. 239 s.) il pittore affermò di dover ancora eseguire il modello (Angers, Musée des beaux-arts) per il soffitto di villa Pisani a Stra. In quel mese Francesco Bartolomeo Rastrelli, con l’appoggio del cancelliere Michail Voronzov, informò la corte russa di aver chiesto a Tiepolo su ordine della zarina Elisabetta, per la quale dipinse a dicembre delle mezze figure femminili (p. 247), i soffitti per la grande sala e per la chiesa del palazzo imperiale di Pietroburgo (Androsov, in Giambattista Tiepolo, 1998, p. 308). Il 1° settembre il patrizio Pietro Gradenigo annotò la commissione, da parte del re d’Inghilterra, di un Ritratto equestre di Federico il grande (Notizie d’arte…, 1942, p. 62), ricordato da Tiepolo in una lettera ad Algarotti del 4 aprile (Magrini, 2002, p. 267). L’11 dicembre il pittore accettò la proposta di Carlo di Canossa di lavorare nel suo palazzo veronese, ma con «dilazione in altra stagione» e promettendo nel frattempo il modello (pp. 243 s.). Presumibilmente per le nozze tra Orazio e Lavinia da Porto nel gennaio del 1761 (Menegozzo, 1990, p. 118) decorò con Giandomenico l’omonimo palazzo a Vicenza (cfr. Pedrocco, 2002, p. 303).
Il 3 marzo 1761 chiese a Voronzov ragguagli sulla commissione per il palazzo imperiale a Pietroburgo, avendo ricevuto a luglio piante e misure dei due soffitti (Magrini, 2002, pp. 260-262). Nello stesso mese rifece, su tela e con varianti, la Carità per la cappella Colleoni a Bergamo (p. 266). Il 4 aprile scrisse ad Algarotti, per il quale aveva eseguito entro marzo una copia della Cena in casa di Simone di Veronese (Dublino, National Gallery), di essere «occupato in Ca’ Pisani» e di dover presto ottemperare agli obblighi veronesi (pp. 263 s., 268). Verso la fine dell’estate terminò di affrescare la sala, bombardata nel 1945, di palazzo Canossa (cfr. Pedrocco, 2002, p. 305): da Verona, il 28 settembre, riferì al duca di Montealegre, ambasciatore di re Carlo III, di accettare l’invito a trasferirsi in Spagna, a patto, però, di finire i dipinti in corso, e richiedendo misure o planimetrie della sala del trono nel Palazzo Reale di Madrid (Magrini, 2002, p. 289). Pressato a partire pure dal governo veneziano (p. 62), il 12 dicembre 1761 scrisse di aver tempo sino al febbraio 1762 per terminare le commissioni accumulate, tra cui i lavori di Stra (p. 301).
L’Apoteosi della famiglia Pisani, ultimo capolavoro di Giambattista in Italia, ritrae i bambini della casata patrizia: a differenza dei precedenti soffitti, «la fama della famiglia è assicurata non tanto dalle gesta di qualche antenato ma bensì dalle azioni che i giovani eredi compiranno in futuro. Più che un’apoteosi è una festa di buon augurio, che si svolge sotto la protezione della Vergine, essendo auspici, come le fate nelle fiabe, le Virtù e le Arti» (Mariuz, 2008, p. 330).
Il 13 marzo 1762 Tiepolo scrisse ad Algarotti di aver quasi finito il modello (Washington, National Gallery of art) per il soffitto della sala del trono a Madrid, e una settimana dopo la Nuova Veneta Gazzetta avvisò dell’imminente sua partenza da Venezia (Magrini, 2002, pp. 313-317).
Nell’articolo si riportarono concetti cari all’artista, tra cui «riuscire nelle opere grandi, cioè in quelle che possono piacere alli signori nobili e ricchi», e «sempre tendere al sublime, all’eroico, alla perfezione» (ibid.).
Poco dopo, il 31 marzo, partì per la Spagna con i figli Giandomenico e Lorenzo, arrivando a Madrid il 4 giugno dopo un difficile viaggio (cfr. Aikema, 2008). Accolto dall’ambasciatore veneziano Sebastiano Foscarini e sistematosi alla fine di giugno in una casa in plazuela de S. Martín (cfr. Morassi, 1962, p. 239), iniziò a lavorare nella sala del trono in Palazzo Reale, affrescando nel soffitto la Gloria di Spagna, con firma e data 1764, e alle pareti due sovrapporte in monocromo (p. 21).
Pur venendo meno «la luminosità con la quale il pittore riusciva a dare validità poetica ai suoi spazi aperti» (Pallucchini, 1994, p. 470), la prima opera spagnola è «una brillante ricapitolazione delle precedenti esperienze tiepolesche, evidente nella ripresa di schemi e singole figure già utilizzati, ma anche nella superba capacità di dominare la prospettiva e di infondere alla scena una preziosa orchestrazione cromatica su toni chiarissimi» (Pedrocco, 2002, p. 306).
A testimonianza del buon successo a corte, il 7 agosto 1764 Giambattista chiese a un anonimo mecenate italiano di spedirgli in prestito il cartone di un Trionfo di Anfitrite da utilizzare nella realizzazione dei «molti soffitti del genere» che stava approntando a Madrid (Magrini, 2002, p. 325). In quel periodo dipinse due modelli preparatori raffiguranti l’Apoteosi della monarchia spagnola (cfr. Christiansen, in Giambattista Tiepolo, 1996, pp. 329-333) tradotti in affresco nella saleta di Palazzo Reale; altri due bozzetti precedettero l’Apoteosi di Enea nella sala degli Alabardieri (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 305-307), affresco concluso all’inizio del novembre 1766 (cfr. Magrini, 2002, p. 327).
Decise di non tornare in patria e, il 4 gennaio 1767, offrì i suoi servigi al re di Spagna, ricordando le sue esperienze pure nella pittura a olio (ibid.): a marzo fu incaricato dal re di realizzare i dipinti destinati ai sette altari della nuova chiesa francescana di S. Pasquale Baylon ad Aranjuez. Alla fine di agosto i modelli preparatori furono approvati (cfr. Pedrocco, 2002, pp. 308-310).
I dipinti per Aranjuez, «sebbene imponenti, dopo i prolungati tamburi e le fanfare della grandiosa fanfara pubblica, s’impongono come insistenti ‘pianissimi’. E nel cambiamento finale, in questa privatizzazione e umanizzazione, persino commovente, dei soggetti religiosi, egli sembra davvero ricordare il percorso di Tiziano» (Levey, 1986, trad. it. 1988, p. 269).
Il 19 agosto 1769 Tiepolo scrisse al segretario di stato Miguel de Múzquiz di aver terminato le sette pale, dimostrandosi preoccupato di non avere riscontri dal responsabile del programma iconografico, padre Joaquín de Eleta, sostenitore a corte di Anton Raphael Mengs; fu rassicurato il 9 settembre e incaricato di eseguire gli affreschi della cupola nella collegiata di S. Ildefonso alla Granja (cfr. Magrini, 2002, pp. 334-337). Per i bozzetti (forse eseguiti) ordinò i materiali necessari il primo dicembre, richiesti nuovamente l’8 gennaio 1770 tramite il figlio Lorenzo (De la Mano, 1997, pp. 539 s.).
Morì improvvisamente nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1770 a Madrid, e fu sepolto nella chiesa di S. Martín: la notizia giunse a Venezia il 21 aprile (Notizie d’arte..., 1942, pp. 191 s.).
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