Giamblico
Filosofo neoplatonico, nativo di Calcide in Grecia (sec. III-IV d.C.); alunno di Porfirio e fondatore della scuola neoplatonica in Siria, innestò sulle più tipiche dottrine del neoplatonismo tematiche neo-pitagoriche e mistico-teurgiche. Esemplari in tal senso, oltre alcuni scritti di speculazione matematica, l'opera a lui attribuita, il De Mysteriis Aegyptiorum, che è un tentativo di giustificazione razionale della teurgia, dove confluiscono tradizioni di origine egizia, assira e caldaica.
Di G. a proposito di D. parlò dapprima E. Proto (La dottrina dantesca delle macchie lunari, in Scritti vari di erudizione e di critica in onore di R. Renier, Torino 1912, 197-220) per rilevare come la spiegazione dantesca delle macchie lunari esposta in Pd II 106 ss. fosse fondata su un'opinione di G. mediata da Tommaso (Comm. de Coelo II lect. XII) e accettata, a dire del Proto, solo come " fondamento... dottrinale naturalistico ".
In seguito B. Nardi (Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 8, 34-38, 161, 212), pur confermando l'ipotesi del Proto quanto alla derivazione da G., ne rigettava la mediazione tomista come sicura, arrecando altri possibili tramiti dossografici, e affermava come tutta la dottrina esposta in Pd II sulla gerarchia delle sfere, la loro animazione e la differenziazione della virtù celeste " non sia punto un innesto, ma il vero fondamento sul quale riposa la teorica di Giamblico, la quale è accettata come necessaria conclusione di quella dottrina ". Per Nardi, dunque, l'accettazione dell'opinione di G. da parte di D., lungi dall'essere mera giustapposizione naturalistica, rappresentava una congruente e naturale conseguenza del nucleo dottrinale (neo-platonico) della teoria dantesca.
Della dottrina di G. - pressoché sconosciuto agli scolastici - aveva infatti parlato Simplicio (Commentarla in quatuor libros de coelo II ad t.c. 34) che a proposito di un passo di Aristotele (Coel. II 8, 290a 25-27 " sed adhuc quod neque volvantur astra manifestum. Quod enim volvitur, verti necesse est: lunae autem semper patens est quod vocatur facies ") commentava: " Sed siquidem apparens facies differentia quaedam substantialis est lunaris corporis, aut exemplariter continentis multiformitatem [παραδειγματικῶς περιέχοντος τὸ πολυειδές] et diversitatem generationis indicans, ut Iamblicus ait ". Per G., cioè, le macchie che si trovano sulla faccia (facies, πρόσωπον) inferiore della luna non dipenderebbero, come altri affermavano (cfr., oltre al commento ad 1. di Tommaso al De Coelo, quello di Averroè, t.c. 49), da denso e raro, o dall'interposizione di un corpo tra noi e la luna, o dal riflettersi come in uno specchio di mari e monti ecc., bensì da una " diversitas... propter dispositionem suae [della luna] substantiae... Quidam enim dixerunt quod formae effectuum sunt quodammodo in suis causis, ita tamen quod quanto aliqua causa est superior, tanto diversae formae effectuum sunt in ea magis uniformiter; quanto vero est inferior, tanto formae effectuum sunt in ea magis distinctae. Corpora autem caelestia sunt causa inferiorum corporum; inter corpora caelestia infimum est luna; et ideo in luna, secundum inferiorem eius superficiem, continetur quasi exemplaris diversitas corporum generabilium. Et ista fuit sententia Iamblichi " (Tommaso Comm. de Coelo II lect. XII).
L'eterogeneità della superficie inferiore della luna deriva, dunque, per G. da un'interna diversificazione della sua sostanza, determinata dal confluire in essa delle varie virtù dei cieli precedenti che, già specificate e differenziate, sono pronte ad agire sul mondo sublunare per la generazione degli effetti naturali. Tale giustificazione, nel contenuto e nella terminologia, era coerente con tutta la spiegazione dantesca della graduale discesa e differenziazione della virtù celeste, e col suo impianto dottrinale di ascendenza neoplatonica.
La luna infatti, come afferma G., contiene exemplariter (παραδειγματικῶς) cioè a mo' di exempla o ‛ modelli ideali '; v. FORMA) la ‛ molteplicità delle forme ' (τὸ πολυειδές, multiformitas) corrispondenti ciascuna alle varie essenze specifiche delle specie naturali.
Ciononostante, la diretta dipendenza di D. da G. rimane sempre mera ipotesi. Se è vero che la teoria di G. si trovava riportata in commentatori accessibili a D., il silenzio di quest'ultimo su G. e la molteplicità dei tramiti medievali di dottrine neoplatoniche non permettono di attribuire a D. un consapevole prelievo dottrinale dal filosofo greco.