GIAMBO (ἴαμβος, iambus)
I versi e i sistemi giambici hanno a base un piede che porta il nome di giambo e che è costituito, nella sua forma originaria e pura, di una breve seguita da una lunga; sulla lunga cade l'ictus: il piede è pertanto di ritmo ascendente (⌣ -́).
I piedi giambici sogliono raccogliersi, per costituire l'unità di misura (alla stessa guisa dei piedi trocaici e anapestici) in gruppi di due: nel metro giambico dunque l'unità di misura è in genere la dipodia (⌣ -́ ⌣ -́) in cui sono, naturalmente, due ictus, uno principale e uno secondario, ma si fa sentire (e di solito si segna) solo il principale. La presente trattazione si restringe essenzialmente all'uso dei versi e sistemi giambici nella letteratura greca. Per i giambi latini nel periodo arcaico, seguenti regole proprie, v. senario giambico; quelli del periodo classico, da Catullo in poi, sono foggiati a imitazione dei greci. La dipodia o monometro giambico non si trova come verso a sé; s'incontra, tanto nella forma catalettica (⌣ -́ -́) quanto nell'acataletta, presso i lirici e nel dramma in mezzo ad altre serie giambiche oppure come proodo o epodo.
Largo è già l'uso della tetrapodia o dimetro giambico, sia in unione col trimetro (e allora ne risulta il sistema epodico, già usato da Archiloco e poi preferito da Orazio nei suoi epodi), sia da solo. Non ignoto neppure ai lirici più antichi, il dimetro in composizione stichica diviene però assai più frequente nel dramma: presso i latini lo troviamo spesso nelle tragedie di Seneca e negl'inni di Prudenzio: diviene poi metro frequentissimo negl'inni della Chiesa. Il primo piede di ogni dipodia ammette qualche volta non solo il tribraco e lo spondeo irrazionale (cioè di tre tempi primi invece che di quattro come il vero spondeo, quello che si sostituisce al dattilo), ma anche lo pseudo-dattilo (- ⌣́ ⌣) e lo pseudo-anapesto (⌣ ⌣ -́), ossia un dattilo di ritmo diverso dal vero e della durata complessiva di soli tre tempi primi, e un anapesto equivalente anch'esso a soli tre (invece di quattro) tempi primi. Il dimetro giambico catalettico si trova già in Anacreonte, ma diviene poi notissimo come uno dei metri preferiti delle cosiddette Anacreontee: fra i Latini l'usano Seneca, Petronio, Prudenzio.
Ma il verso giambico di gran lunga più usato è il trimetro. Sorto a dignità di forma letteraria per opera di Archiloco, dopo la grande fortuna presso i giambografi soppiantò assai presto il tetrametro trocaico nelle parti dialogiche del dramma, sia tragico sia comico. In trimetri giambici è anche l'Alessandra di Licofrone. La forma veramente pura del trimetro giambico è la seguente:
⌣ -́ ⌣ - ⌣ -́ ⌣ - ⌣ -́ ⌣ ⌣̲
ma essa non s'incontra troppo sovente neppure presso i più antichi e severi poeti, e meno frequente che mai diviene a mano a mano che si procede nella tragedia da Eschilo a Euripide. Catullo compone, per virtuosità, intere poesiole di giambi puri. Infinitamente maggiori che presso i tragici le libertà nel trimetro satiresco e nel comico. L'argomento delle sostituzioni e soluzioni, che abbiamo appena toccato dicendo del dimetro, richiede qui assai più ampio discorso. Intanto presso tutti i poeti, anche i più antichi e severi, si può trovare sostituita alla prima breve d'ogni dipodia la lunga irrazionale, per modo che lo schema già si complica, diventando
⌣̅ -́ ⌣ - ⌣̅ -́ ⌣ - ⌣̅ -́ ⌣ ⌣̲
Le brevi delle sedi pari restano sempre inalterate. Ma legittimo equivalente del giambo è il tribraco (con l'ictus, naturalmente, sulla seconda, non sulla prima; ché allora equivarrebbe al trocheo: dunque ⌣ ⌣́ ⌣), e tanto legittimo che, salvo nella sede sesta, esso viene ammesso a sostituire il giambo in tutte le sedi. Eccoci dunque a uno schema sempre più complicato
⌣̅ ⌣̲′⌣̲ ⌣ ⌣̲ ⌣̲ ⌣̅ ⌣̲′⌣̲ ⌣ ⌣̲ ⌣̲ ⌣̅ ⌣̲′⌣̲ ⌣ ⌣̲
Quando nelle sedi 1ª, 3ª e 5ª si trovano contemporaneamente la soluzione della lunga in due brevi e la sostituzione della lunga irrazionale alla prima breve, il piede prende la forma di uno pseudodattilo (- ⌣́ ⌣). Questo pseudodattilo non è ammesso dai poeti più severi (giambografi e tragici) se non nelle sedi 1ª e 3ª: per trovare lo pseudo-dattilo nella quinta sede bisogna venire al dramma satiresco e alla commedia. La cesura del trimetro presso gli antichi giambografi è pentemimera o eftemimera. A tale trimetro si applica rigorosamente la legge di Porson, che non ammette fine di parola polisillaba dinanzi all'ultimo cretico se la quinta tesi è una lunga irrazionale. Nel trimetro dei tragici è più frequente che non in quello dei giambografi la soluzione delle arsi (rarissima peraltro quella della quinta); tranne che non è consentito lo strappamento, cioè le due brevi non possono appartenere a fine e principio di parole diverse. L'anapesto (cioè la soluzione della lunga irrazionale) è ammesso solo in casi eccezionali (nomi proprî), fuorché nel primo piede, che ha trattamento un po' più libero, rimanendo tuttavia anche per questo la limitazione che l'anapesto dev'esser compreso tutto in una parola o in due parole strettissimamente congiunte (preposizione e aggettivo dimostrativo). Inoltre talvolta la prima dipodia prende la forma di un coriambo, ossia il primo piede per anaclasi assume la forma di un trocheo. Gli esempî, forniti dalla poesia drammatica, tragica e comica, sono pochi, ma sicuri: così Eschilo, Sette, 488 e 547; Aristofane, Pace, 662.
Il trimetro dei comici è ancora più libero: non gli si può più applicare la legge di Porson; può persino, per quanto raramente, mancare la cesura; le soluzioni sono ammesse senza restrizione; e senza restrizione è ammesso l'anapesto in ogni sede, tranne l'ultima, fermo restando, però, di regola, il divieto dello strappamento (eccezioni in Aristofane, Rane, 652, 658; Uccelli, 1022, 1226, ecc.). Un'altra differenza fra il trimetro comico e il tragico è che nel primo muta + liquida non allunga la sillaba precedente, mentre nella tragedia tale allungamento può (non deve) aver luogo.
Una forma particolare del trimetro giambico è lo scazonte che incontriamo, fra i poeti antichi, presso Ipponatte, e che diviene il verso dei mimiambi di Eroda e dei mitiambi di Babrio: in questo verso la penultima, che è breve obbligatoria nel trimetro comune è sempre lunga, talché il ritmo porge l'impressione d'un urto.
Tra le altre forme di versi giambici, ricordiamo il tetrametro catalettico o ipponatteo, usato da Ipponatte e poi tanto nelle parti dialogiche quanto nelle liriche della commedia, e l'ottametro catalettico, detto pure boischio da Boisco che si vantò d'averlo inventato. Il giambo come elemento di verso lirico è adoperato molto, e in forme complesse, nel dramma: qui ognuna delle sue arsi può essere soppressa, dando luogo, secondo che sia soppressa l'una o l'altra arsi, o tutte e due, al cretico (-́ ⌣ -́), al baccheo (⌣ -́ -́), allo spondeo (-́ -́). Il trimetro giambico viene usato in composizione stichica dai giambografi e dalla poesia drammatica, come abbiamo veduto; o in qualche carme anche da Catullo e Orazio. Sistema giambico pure frequentissimo è, come abbiamo già ricordato, l'epodico di Archiloco ripetuto poi da Orazio; sistema giambico-trocaico è l'ipponatteo di Orazio, Carm., II, 18; sistemi giambico-dattilici sono l'archilocheo secondo e il terzo, il pitiambico primo e il secondo di Orazio; sistema logaedico giambico l'archilocheo quarto.
Bibl.: F. Zambaldi, Metrica greca e latina, Torino 1882, p. 300 segg.; H. Gleditsch, Metrik der Griechen und Römer, 3ª ed., Monaco 1901, p. 137 segg.; O. Schröder, Grundriss der griechischen Versgeschichte, Heidelberg 1930, p. 52 segg.; U. von Wilamowitz-Moellendorff, Griechische Verskunst, Berlino 1921, p. 285 segg. e passim; P. Maas, Griech. Metrik, 3ª ed., Lipsia 1927 (Einleitung in die Altertumswissenschaft di Gercke e Norden, I, 7), p. 13 segg.; C. Bione, Le forme poetiche dei Greci e dei Romani, Firenze 1931, p. 68 segg. e passim; A. Taccone, Il trimetro giambico nella poesia greca, Torino 1904, in Memorie dell'Accad. delle Scienze, s. 2ª, LIV, pp. 29-108; K. Witte, Porsons Gesetz, in Hermes, XLIX (1914), p. 229 segg.; A. D. Knox, The early Iambus, in Philologus, LXXXVII (1932), p. 18 segg.