Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Quando, intorno alla metà del Cinquecento, di ritorno da Roma e in viaggio verso le Fiandre, il giovane scultore fiammingo Giambologna approda a Firenze – dove soggiorna più di mezzo secolo – non sa di essere destinato a mutare l’evoluzione del linguaggio figurativo contemporaneo: lo stile virtuosistico e ricercato dell’artista, improntato sulla linea a serpentina e sulla molteplicità dei punti vista dell’opera, influenzerà numerosi e sofisticati artisti attivi presso le corti di tutta Europa.
L’ambiente principesco di Cosimo I e Francesco I de’ Medici è caratterizzato da un mecenatismo a volte retorico e declamatorio per motivi autocelebrativi, ma più spesso colto e raffinato. La scultura manierista riflette questo clima: accanto a una statuaria monumentale, tesa a imitare ossessivamente l’imponente ed eroico gigantismo michelangiolesco – con risultati non di rado tronfi e magniloquenti – si diffonde anche la produzione di opere di piccolo formato, eleganti bronzetti da esporre negli studioli o da offrire come preziosi doni diplomatici, improntati a uno stile artificioso e ricercato.
L’attività di Jean Boulogne, noto in Italia come Giambologna, ben si inserisce in questa duplice inclinazione del linguaggio scultoreo a lui contemporaneo, ma parimenti riesce a sintetizzare e superare i dettami dei maestri italiani, formulando uno stile nuovo e originale che funge da tramite tra l’opera rivoluzionaria di Michelangelo e quella barocca di Gian Lorenzo Bernini.
La sigla formale delle sue statuette, insuperate per virtuosismo tecnico, è la linea "a serpentina", formula costantemente adoperata dal maestro. Per la loro agevole circolazione presso le corti d’Europa, queste piccole sculture diffondono il verbo di Jean Boulogne, immediatamente recepito e imitato in Italia, in Germania e nelle Fiandre da una folta schiera di allievi e seguaci, depositari di uno stile edonistico e dégagé, e protagonisti della più felice e disincantata Maniera internazionale.
Di origine fiamminga, Jean Boulogne ha la prima formazione in patria, nella bottega dello scultore Jacques Dubroeucq, di cultura italianizzante. Verso la metà del secolo, il giovane artista compie un viaggio a Roma, per studiare la scultura classica e del Rinascimento; nella città papale si dedica alla copia di opere celebri in cera e in creta. Mel 1553, di passaggio per Firenze, viene trattenuto a studiare e a lavorare in città da Bernardo Vecchietti, colto mecenate legato alla famiglia Medici, che resta subito colpito dalle capacità tecniche dello scultore e dalla sua mente prolifica e versatile.
Nel 1560 Giambologna partecipa al concorso per la Fontana del Nettuno in piazza della Signoria a Firenze, ma al suo modello – che pure viene riconosciuto come il migliore – è preferito quello del più anziano Bartolomeo Ammannati (1511-1592). Il progetto di Giambologna non viene però abbandonato e pochi anni dopo gli viene commissionata una fontana con lo stesso soggetto a Bologna, su cui lavora tra il 1563 e il 1566. Dall’alto di un elegante basamento adornato da statue e rilievi bronzei si erge la statua del dio Nettuno, rappresentato con il tridente, mentre scende da un delfino. Con la mano sinistra, colta in un gesto rotatorio, quasi volesse calmare mari agitati, la statua invita l’osservatore a girarle attorno. Con questa creazione in movimento l’artista supera non solo la rappresentazione della figura umana in posa, ma anche il principio dei molteplici punti di vista, sviluppato da Benvenuto Cellini.
Rispetto alla fontana di Bartolomeo Ammannati, che risulta sgraziata per gli sproporzionati rapporti tra la ciclopica statua del Nettuno e le altre figure, l’opera di Giambologna risulta invece perfettamente armonica: la possente figura del dio è subito contenuta dall’inserimento di putti che giocano con sinuosi delfini, ai quattro angoli della cornice aggettante. La vista dei fanciulli è intervallata dalle teste rappresentanti i venti che spirano dai quattro punti cardinali, mentre gli stemmi e motivi che si ispirano alle grottesche fungono da tramite alla base più ampia della struttura piramidale che si espande ai quattro angoli, dove sono raffigurate impudiche sirene a cavallo di delfini.
Dopo la delusione di non vedersi assegnata la realizzazione della fontana di piazza della Signoria, finalmente arrivano a Giambologna le prime commesse importanti a Firenze da parte dei Medici. In un primo momento gli viene commissionato il gruppo di Sansone che abbatte il Filisteo, cui lo scultore lavora agli esordi del sesto decennio.
Di ispirazione apertamente michelangiolesca – Giambologna affronta il tema di due figure in combattimento – più intimamente l’opera palesa richiami alla scultura ellenistica. In seguito gli viene richiesto un secondo gruppo con Firenze che trionfa su Pisa, quale pendant alla Vittoria di Michelangelo che, donata a Cosimo I, è sistemata da Giorgio Vasari in Palazzo Vecchio. Il modello, a grandezza naturale, viene collocato in corrispondenza al gruppo michelangiolesco nel 1565, mentre la realizzazione in marmo viene eseguita almeno un quinquennio più tardi. L’artista è ancora influenzato dal grande Michelangelo e, per gli effetti di luce e spazio, dalla statuaria tardo-ellenistica, ma il risultato finale non cela una sottile ricercatezza e un artificioso virtuosismo formale, accentuato anche dalla lucente politezza edonisticamente conferita al marmo.
A Giambologna sono commissionate molte sculture e fontane per decorare i giardini all’italiana delle ricche dimore appartenute alla famiglia Medici.
L’artista ha già ideato modelli per gruppi scultorei e fontane da ergere all’interno di piazze, ma le opere che ora devono costellare i luoghi di delizia richiedono allo scultore una maggiore attenzione all’ambiente circostante. In questo genere di statuaria "pittoresca" è difatti necessaria una perfetta integrazione dell’opera d’arte con la natura, ricca di piante, alberi, laghetti, grotte: l’arte deve confondersi con gli elementi naturali fino a diventarne parte viva, quasi organicamente armonizzata. Agli esordi degli anni Settanta Giambologna elabora, per il Giardino di Boboli, la Fontana di Venere nella Grotticella di Buontalenti e la Fontana di Oceano.
La Fontana di Venere è costituita da una Venere Anadiomene, esempio mirabile di nudo femminile artificiosamente concepito da Giambologna, che si erge su di un monticello in roccia, ornato di conchiglie, collocato al centro della vasca di marmo variegato. Quattro satiri, i cui corpi emergono dagli elementi architettonici, quasi fossero delle erme, spiano lascivamente la dea, sporgendosi a fatica dai bordi della vasca. L’occasione per la realizzazione della Fontana di Oceano è data dall’utilizzazione scenografica commessa dai Medici di un grande sasso di granito, cavato dal Tribolo all’Isola d’Elba nel 1550 e trasportato a Firenze nel 1567. Giambologna, che deve portare a compimento l’opera non terminata da Tribolo e costituita fino a quel momento dalla sola monolitica vasca, scolpisce la possente figura di Oceano e le tre deità fluviali sottostanti, fermate nell’atto di versare l’acqua dalle loro anfore nel grande bacino.
Nel 1580 Giambologna lavora al celebre colosso dell’Appennino per la villa medicea di Pratolino, opera monumentale e bizzarra; l’artista dimostra come la figura umana possa subire una metamorfosi naturalistica: i capelli e la barba del vecchio diventano stalattiti, mentre il corpo si fa montagna e grotta allo stesso tempo.
Nel Museo Nazionale del Bargello è conservato il Mercurio volante, una tra le opere più conosciute e ammirate di Giambologna, continuamente riprodotta, tanto da divenire statua d’ornamento quasi indispensabile a ogni estetizzante apparato nell’Ottocento. Giambologna scolpisce più volte il messaggero degli dei. A Bologna, durante la sua permanenza per la Fontana del Nettuno, si propone per la prima volta di realizzare un Mercurio nell’atto di spiccare il volo, un’idea che sviluppa poco dopo, nella versione inviata all’imperatore Massimiliano II. Dopo aver realizzato varie repliche, finalmente nel 1580 Giambologna concepisce il Mercurio del Bargello, che va a ornare una fontana di Villa Medici a Roma. Il dio è raffigurato mentre si libra in aria, sospinto verso l’alto dal soffio di Zefiro che funge anche da instabile piedistallo: l’artista contravviene così all’iconografia tradizionale del Mercurio in corsa. La spinta verticale è accentuata dallo sguardo e dal gesto del dio, tesi verso l’alto, ma anche dalla figura esile e levigata dell’adolescente che sembra seguire, nel movimento elegante e manierato, l’indice che tiene alzato. In quest’opera è particolarmente evidente il virtuosismo dell’artista: sono esemplari la levigatura del bronzo, la resa anatomica del corpo di fanciullo, la classica bellezza del volto.
Ma ancor più rilevante è come Giambologna riesca a muovere lo sguardo dello spettatore ininterrottamente intorno all’opera che non ha un punto di vista predominante; la statua infatti, sebbene si slanci con forza verso l’alto, produce anche un effetto di andamento spiraliforme, dovuto al movimento rotatorio delle braccia piegate con grazia (la destra tiene il magico caduceo).
Giambologna, che aveva già sperimentato la composizione di due figure, nel Ratto della Sabina affronta quella – del tutto originale – di tre figure in movimento rotatorio. La figura serpentinata, qui triplicata nella rappresentazione di un vecchio, di un giovane e di una donna avviluppati in un vortice impetuoso, consente allo spettatore di compiacersi dell’opera da ogni punto di osservazione. Questo è il primo gruppo a più figure ideato da uno scultore senza partire da un unico punto ideale di osservazione; la Sabina si protende verso l’alto, e trascina l’osservatore in un ultimo, infinito movimento spiraliforme, come in uno spasimo. Giambologna, inoltre, si cimenta qui nella resa di una figura umana tenuta sospesa, alzata sopra la testa di un’altra, riuscendo a superare, per virtuosismo tecnico, non solo la scultura ellenistica, ma anche quella del Rinascimento maturo. Con quest’opera Giambologna vuole offrire un esempio strepitoso, capace di esibire tutta la forza del suo valore artistico: il titolo viene attribuito al complesso marmoreo a opera compiuta, a testimoniare come il soggetto rappresentato perda interesse a fronte delle caratteristiche plastiche e dinamiche del gruppo statuario. Il Ratto della Sabina, posto nella loggia dei Lanzi nel 1582, e scoperto nel 1583, suscita giudizi favorevoli da parte di estimatori letterati. Nel basamento della scultura, invece, Giambologna affronta la tecnica del bassorilievo: l’iconografia, più descrittiva e aderente alle fonti antiche, pare concepita per soddisfare il desiderio di coloro che tengono a identificare nel gruppo, dal soggetto elusivo, un momento del celebre rapimento delle donne sabine organizzato dai Romani.
Giambologna è conosciuto soprattutto per le opere di soggetto profano, ma egli realizza, con la stessa abilità e raffinatezza nel trattare il marmo e il bronzo, anche opere di contenuto religioso. La prima opera monumentale di carattere sacro è l’altare della Libertà nel duomo di Lucca, eseguito tra il 1577 e il 1579, per sostituire una precedente struttura lignea trecentesca. Importante esemplare dell’architettura manierista, l’altare comprende un’edicola centrale ad architrave, contenente una statua del Cristo risorto, affiancata da due nicchie che ospitano San Pietro e San Paolino.
In seguito Giambologna segue l’incarico commissionato dal genovese Luca Grimaldi: si tratta di sei statue in bronzo a grandezza naturale, raffiguranti le Virtù con sei putti, e sette bassorilievi, raffiguranti scene della Passione di Cristo (attualmente nella cappella dell’università). Negli stessi anni Giambologna progetta la risistemazione della Cappella Salviati in San Marco a Firenze, nella quale si distingue la figura dell’Angelo vittorioso, in equilibrio sul piede destro, quasi un contrappunto religioso alla figura del Mercurio volante.
Giambologna concepisce inoltre un proprio mausoleo nella chiesa della Santissima Annunziata a Firenze, ornando la cappella mortuaria con una serie di rilievi con storie della Passione, fusi originariamente per Ferdinando I, e con un monumentale crocifisso a grandezza naturale, ottenuto nel 1594 dalle forme già utilizzate per l’esemplare destinato a Guglielmo V di Baviera.Con la statua di San Luca, per una nicchia di Orsanmichele, a cui Giambologna lavora tra il 1597 e il 1602, l’artista conclude quell’ideale galleria che accoglie i capolavori più significativi della scultura del Rinascimento italiano.
Nell’ultimo decennio del XVI secolo, Giambologna non lavora solo alla realizzazione di opere sacre, ma è impegnato anche a portare a compimento due importanti commesse medicee: il Monumento equestre di Cosimo I (collocato in piazza della Signoria a Firenze) e il gruppo marmoreo di Ercole che abbatte il Centauro, nell’attigua loggia dei Lanzi. Il monumento equestre, commissionato nel 1587 e scoperto nel 1595, mostra lo studio del Marco Aurelio a cavallo nella nuova sistemazione sul Campidoglio, dove era stato posto da Michelangelo che ne aveva anche ideato il plinto; Giambologna rispetta infatti il rapporto fra l’effigie di Marco Aurelio e il basamento, e il tono celebrativo dovuto al sito, creando un vero monumento di enfatica commemorazione, ormai lontano dal naturalismo dei cavalieri e dei cavalli quattrocenteschi. Dopo la realizzazione del monumento a Cosimo I, a Giambologna vengono commissionate altre opere dello stesso genere, in omaggio rispettivamente a Ferdinando I de’ Medici, Enrico IV di Francia e Filippo III di Spagna. Ercole che abbatte il Centauro, realizzato nell’ultimo quinquennio del secolo, è una delle opere maggiori dell’artista, per l’intensità drammatica, la forza e il movimento che il gruppo in combattimento riesce a trasmettere, in un impeto che a ragione viene definito protobarocco.
Artista di successo ed estremamente prolifico, Giambologna è in grado di far fronte alle numerose richieste dei ricchi mecenati, grazie all’aiuto di fedeli allievi di origine italiana e provenienti dall’Europa del Nord, ai quali trasmette la sua sapienza tecnica e infonde entusiasmo.
Lo scultore franco-fiammingo Pietro Francavilla – Pierre Francheville –, nato a Cambrai, aiuta Giambologna nell’esecuzione del Ratto della Sabina e dell’Ercole che abbatte il Centauro, divulgando in seguito lo stile del maestro a Parigi, dove riceve diverse commesse. Al manierismo e alla cultura italianizzante di Giambologna si rapporta anche Hubert Gerhardt, nato a Nimega, che realizza statue e fontane per il giardino del castello di proprietà Fugger a Kirckheim; alla fine degli anni Settanta del secolo lavora alla fontana del Municipio di Augusta che reca la statua dell’imperatore Ottaviano posta su di un alto plinto, alla cui base siedono putti con delfini, sirene e figure allegoriche. Ma l’artista che meglio rappresenta la cultura di Giambologna è il fiammingo Adriaen de Vries. Dopo la formazione fiorentina nella bottega di Giambologna, lo scultore lavora alla corte del duca di Savoia a Torino e poi alla corte di Rodolfo II, animata da un milieu fortemente internazionale popolato da pittori, scultori, architetti, miniaturisti, orafi, letterati, esperti di astrologia e alchimia. Nelle opere monumentali, come il gruppo con Mercurio e Psiche del Louvre, ma soprattutto nella produzione dei bronzetti – genere amato e spesso frequentato dal maestro – de Vries si fa interprete di quello stile tardomanierista, in cui i corpi di ninfe, Veneri e altre divinità del mondo antico sono trattati con un linguaggio figurativo aulico ed estremamente ricercato, mentre le superfici levigate e sensuali emanano un erotismo gelido e ambiguo.